UN PATRIMONIO ANONIMO: Ricco di gusto e piacere
“Gli imprevisti della vita!”
Quando un patrimonio, seppur grande e non quantificabile né dimostrabile alla vista, diventa giammai identificabile.
Si tratta di un patrimonio enorme, ma solo al gusto dell’intenditore perché non avendo un nome, una codifica, un biglietto da visita, è un illustre sconosciuto.
Questa è la morale che si ricava dalla lettura della metafora che segue, ripresa da un ignoto filosofo che era solito affermare che “il Pessimismo si deve conservare per i giorni migliori”.
“””Un anziano signore da quasi mezzo secolo collezionava vini di grande prestigio e valore. Li teneva nell’ampia cantina seminterrata. Tutto quel che guadagnava finiva là sotto, in forma di bottiglie, che contemplava come icone preziose, e accudiva neanche fossero creature viventi. Nel silenzio di quegli umidi e oscuri locali udiva persino le mute voci dei fermenti. E se ne beava. Erano vini di tutta una vita, costosi, francesi e italiani, alcuni di antica data: un sogno da aggiornare, vendemmia dopo vendemmia. Un brutto giorno, non era mai successo, venne giù il cielo inondando la regione e facendo straripare i fiumi. Dai finestroni alti si rovesciarono dentro la cantina ettolitri d’acqua piovana e fanghiglia.
Passata la tempesta, il vecchio signore, incredulo, immerso fino alle ginocchia, con la torcia elettrica in mano, osservava il disastro intorno a se. Si consolò subito perché vide che ogni cosa era rimasta al suo posto. I turaccioli, con la loro chiusura ermetica, avevano perfettamente difeso tutte le bottiglie. Solo che sull’acqua navigavano, in beatitudine, in lungo e in largo, le etichette, che si disperdevano incrociandosi.
L’etichetta di un Romanée Conti del ’27 sorpassava allegramente quella di un Barolo Vigna Cicala dell’89. Più in là un Lèoville Barton dell’82 s’andava ad incollare su un Rasteau del ’64. E si avvicinava a lui, ondeggiando con dolcezza, l’etichetta di un magnifico Le Griffon del ’99. Il nobile signore gettò un’occhiata alle bottiglie, erano tutte uguali, nude ed infreddolite, allineate e senza nome, soldatini degradati e derelitti. Prima formavano un popolo con le sue gerarchie, adesso erano un’informe società di massa. Il vino s’era salvato, era rimasto lo stesso di prima, ma non valeva quasi niente. Il valore di ogni pezzo, ogni bottiglia non si poteva vedere ad occhio nudo, dall’esterno, bisognava scoprirlo nella qualità intrinseca del suo contenuto, assaggiandolo e indovinandone i pregi.
Quella cantina s’era di colpo trasformata nella grotta di Prospero: le bottiglie erano solo fantasmi, si scioglievano nell’aria, nell’aria sottile.