Non ha diritto all’interprete di madrelingua l’immigrato sotto processo in Italia. È infatti sufficiente un interprete che parli una lingua a lui nota, molto spesso l’inglese.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 18496 di oggi, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un bulgaro al quale non era stato messo a disposizione un interprete di madrelingua. Infatti le conversazioni erano state tradotte in inglese e, a quanto viene ricostruito in sentenza (già destinata all’ufficio del massimario) sembra che l’uomo fosse in grado di capire.
Questa nuova interpretazione fornita dai Giudici di Piazza Cavour semplificherebbe di molto i procedimenti a carico degli stranieri, nei palazzi di giustizia italiani.
Soprattutto se si pensa che il contenzioso nel quale l’immigrato solleva eccezioni sulle traduzioni degli atti e sull’interprete è ancora molto alto.
In particolare, ha messo nero su bianco la sesta sezione penale, “all\’imputato alloglotta, che non abbia una conoscenza della lingua italiana, l\’ordinamento processuale italiano (art. 143 c.p.p.) e la Convenzione europea dei diritti dell\’uomo (art. 6.3 lett. a L. 4.8.1955 n. 848) riconoscono non già il diritto all\’assistenza di un interprete di madre lingua, bensí quello di farsi assistere gratuitamente da un interprete, per la traduzione in una lingua a lui comprensibile, al fine di poter comprendere l\’accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa”.
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L’immigrato sotto processo in Italia non ha diritto all’interprete di madrelingua
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