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PENA DI MORTE: una voce contro la moratoria

Oggi, 18 dicembre 2007, è considerata una data da ricordare perché l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, al Palazzo di vetro di New York, ha approvato la moratoria contro la pena capitale scrivendo, forse, una delle più belle pagine della sua storia. I commenti sono pressoché unanimi, anche perché il voto è passato a larghissima maggioranza con 104 a favore e 54 paesi contro.

L’Italia, prima firmataria e promotrice della importante iniziativa umanitaria, sostenuta dalla Unione Europea, ne è felice e insieme orgogliosa. Il nostro illustrissimo signor Presidente della Repubblica è prontamente intervenuto complimentandosi per il grande successo conseguito, dicendo: “Per l’Italia la lotta contro la pena di morte è uno dei temi prioritari nel campo dei diritti umani. Il successo di questa fondamentale azione è dovuto all’impegno del Parlamento, del Governo, del Ministro degli affari esteri, della rappresentanza d’Italia presso le Nazioni Unite nonché della società civile…a tutti rivolgo il più vivo apprezzamento.”

Bene, tutti bravi e di chi la pensa allo stesso modo, sono contento per voi di tanto entusiasmo sicuramente sincero.

Personalmente, non condivido l’iniziativa, non condivido quasi niente e meno che mai il voto a favore della moratoria votata dall’organizzazione delle Nazioni Unite.

Si tratta a mio avviso, di un’azione ipocrita, inutile e forse addirittura dannosa.

Per quello che serve, pur ritenendomi parte integrante della stessa società civile cui si è riferito l’illustrissimo ed amato Presidente,  voglio tentare di spiegare le ragioni alla base della mia contrarietà.

E’ ipocrita, perché si sa benissimo che la realtà, ovvero l’applicazione concreta della pena di morte, almeno per situazioni particolari è diversa ed assolutamente giustificata. A tale proposito, voglio ricordare il recente patibolo “sofferto” dal dittatore iracheno, giunto al termine di un lungo processo.  Mi chiedo, con una riflessione a voce alta, come si fa a biasimare il sentire comune di un intero popolo – come pure è stato fatto – che per circa mezzo secolo ha patito sulla propria pelle le tirannie di questo personaggio peraltro osannato e coccolato dall’intero pianeta. Ancora, come si fa ad intrattenere affari, firmare trattati di collaborazione con personaggi simili, autori di genocidi, torture – individuali e collettive – e massacri di ogni genere e lamentarsi solo quando gira la pagina della storia. La comune decenza, vorrebbe, al contrario, il levarsi di espressioni di sdegno e forti proteste, cessando ogni rapporto e condannando questi c.d. “statisti” all’isolamento internazionale. So bene che è difficile…gli affari sono affari…la coerenza costa!!!

E’ inutile sul piano concreto, trattandosi semplicemente di un orientamento morale, sia pure espresso nel massimo Consesso internazionale dalla maggioranza degli Stati.

In altri termini, si tratta di una sorta di “moral suasion” laddove sappiamo bene che, ci sono ben altre risoluzioni ONU puntualmente ignorate e spesso violate senza che succeda assolutamente nulla.

Adesso, alla luce di questa inedita risoluzione, possiamo veramente pensare di spaventare qualcuno dei tanti dittatori in circolazione? ho qualche dubbio…

E’ dannosa, per tanti disgraziati che ahimé ancora oggi subiscono il terrore e le persecuzioni di secolari dittature.

A questi sventurati, ai quali va la mia più profonda solidarietà, lasciamogli almeno la speranza di immaginare il proprio dittatore penzolare “a mezza altezza”.

Almeno la speranza, in certi contesti, spesso aiuta a vivere.

Per concludere, ritengo che la pena di morte per quanto odiosa, sia un male necessario, pur sottolineando che io stesso non la invocherei mai.

Potrà sembrarvi una contraddizione con quello che ho detto dianzi, ma non è così.

Non la invocherei mai per la semplice ragione che la mia vita, le mie libertà, la mia formazione è chiaramente diversa dal mio coetaneo iraniano, sudanese, cinese o coreano etc..

Il senso di libertà e di giustizia di un popolo è insito e connaturato al suo sentire comune che si forma sulla base del proprio vissuto, come un qualcosa di personale che tocca l’anima di ognuno. Imporre una regola – sia pure umanamente giusta e comprensibile – a gente con un tale vissuto è pura violenza.

Ne consegue che, se un despota ha alimentato quel sentire comune con una gestione arrogante del potere, provocando miseria, sottosviluppo, disperazione e quant’altro, deve anche sapere che, al termine di un  percorso,  oltre al giudizio divino – se mai arriverà – ci sarà sicuramente quello terreno direttamente proporzionale alle nefandezze compiute.

Chi la fa, l’aspetti!!!

Bari, 18 dicembre 2007

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