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POLITICA & PROFESSIONE FORENSE: La denigrazione del professionista è censurabile

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

 

Sentenza 23.6.2010 n. 37220

 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSINI Giangiulio – Presidente –

Dott. AMATO Alfonso – Consigliere –

Dott. SCALERA Vito – rel. Consigliere –

Dott. SANDRELLI Gian Giacomo – Consigliere –

Dott. SAVANI Piero – Consigliere –

 

ha pronunciato la seguente: sentenza sul ricorso proposto da: vari ricorrenti

 

avverso la sentenza n. 189/2004 CORTE APPELLO di BRESCIA, del 27/10/2009; visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/06/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. VITO SCALERA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Sostituto Dott. Gioacchino Izzo, che chiede il rigetto del ricorso;

udito l’avv. PERUGINI Luca, difensore della parte civile ricorrente C.F., che si riporta al ricorso ed alle conclusioni

depositate;

udito l’avv. Giorgio Gallico del Foro di Brescia, difensore di fiducia degli imputati che chiede la conferma della sentenza impugnata.

 

Fatto

 

1.- C.F. Propone ricorso, nella qualità di parte civile ed ai soli effetti civili, avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 27 ottobre 2009, che ha confermato l’assoluzione di Q.G. E Qu.Gi. Dal reato di diffamazione, pronunciata in primo grado da quel Tribunale.

Al Q. ed al Qu., rispettivamente Sindaco e Consigliere di maggioranza del Comune di Mairano, era contestato di aver offeso la reputazione della signora C., consigliere di minoranza ed avvocato , con l’accusarla, nel corso di una pubblica assemblea, di avere indotto un cittadino, tale Ca.Gi., carpendone scorrettamente la buona fede, a sottoscrivere un ricorso amministrativo con cui veniva impugnata una concessione edilizia  relativa ad un’area verde denominata “(OMISSIS)”, sita nel centro abitato.

La signora C. era stata anche tra i promotori del comitato “(OMISSIS)”, il cui scopo era quello di impedire l’urbanizzazione dell’area.

La sentenza impugnata, partendo dal presupposto – ritenuto dal Tribunale di Brescia – che non vi fosse dubbio alcuno in ordine sia alla valenza diffamatoria delle espressioni usate che alla consapevolezza dell’imputato di porre in essere una condotta illecita, ha ritenuto sussistente la scriminante dell’esercizio del diritto di critica politica, atteso che a suo avviso la C., carpendo la buona fede del Ca., la cui fiducia aveva conquistato difendendolo in altra vicenda giudiziaria, aveva commesso una grave scorrettezza, strumentalizzando la sua professione per fini politici, ed era interesse della collettività venirne a conoscenza per comprendere come l’opposizione non si facesse scrupolo neppure di ricorrere a siffatti mezzi, definiti in sentenza “riprovevoli”, per perseguire i suoi scopi.

Aggiunge la corte territoriale che, scontata la pertinenza e verità del contenuto delle espressioni diffamatorie, la continenza formale era stata comunque rispettata, atteso che era stato censurato il modo scorretto con cui la ricorrente aveva svolto nella circostanza la sua funzione di opposizione, mentre non era stata rivolta censura alcuna sul piano personale o professionale.

2.-Deduce la ricorrente contraddittorietà ed illogicità della motivazione della sentenza impugnata, atteso che a suo avviso i risultati dell’istruttoria dibattimentale, ampiamente trascritta in ricorso, erano stati distorti, in quanto la corte territoriale s’era avvalsa in motivazione di talune parti delle deposizioni testimoniali che apparivano confermare l’immagine di una professionista scorretta e spregiudicata.

La sentenza impugnata, ad avviso della ricorrente, si avvolge in insuperabile contraddizione quando per un verso sostiene la veridicità dell’assunto secondo il quale la condotta della C. era stata riprovevole per la scorretta strumentalizzazione della professione di avvocato , per l’altro ritiene sussistente il requisito della pertinenza, assumendo che la collettività aveva interesse a conoscere le vicende del “(OMISSIS)”, che avevano un collegamento assolutamente incidentale con la denuncia pubblica della asserita scorrettezza del comportamento della ricorrente.

3.- Il ricorso è fondato.

Se, come appare pacifico dalla stessa sentenza, il discorso pubblico del Sindaco e del Consigliere di maggioranza conteneva espressioni assolutamente diffamatorie dell’avvocato C., della quale stigmatizzava la scorrettezza, denigrandone apertamente dignità e credibilità professionale, non si vede come tale opera di discredito professionale e personale potesse assurgere alla dignità di una legittima critica politica, atteso che l’invettiva non appariva intesa a lumeggiare l’erroneità delle opinioni di minoranza sulla destinazione del “(OMISSIS)” e l’utilità per la collettività del progetto di urbanizzazione del parco che la maggioranza intendeva perseguire, bensì a diffamare un professionista per il modo di acquisizione della clientela e la strumentalizzazione della professione a fini politici, o della politica per l’acquisizione di clienti.

L’enfatizzazione infatti della scorrettezza professionale di un avvocato  che carpisce la buona fede di un cliente, inducendolo a sottoscrivere un mandato difensivo per una lite che non avrebbe mai proposto, non era certamente giustificata dall’interesse dell’opinione pubblica, che aveva semmai il diritto di conoscere bene le ragioni delle parti politiche in contrasto sulla destinazione del (OMISSIS), ma non certo anche che un avvocato si fosse comportato, o si comportasse, in modo scorretto. né è accettabile che la contesa politica possa svolgersi sul piano dell’invettiva personale, di modo che per acquisire consensi in danno dei contraddittori ad una parte politica sia lecito diffondere in pubblico considerazioni denigratorie di particolari aspetti personali o professionali degli oppositori.

La sentenza impugnata da invece per pacifica la diffamazione sul piano personale e professionale della ricorrente, senza dare adeguata contezza delle ragioni che indurrebbero a ritenere sussistente la scriminante del diritto di critica politica, ma anzi rincarando a sua volta la dose, definendo espressamente ed acriticamente come “riprovevole” la condotta personale e professionale della ricorrente, senza dar conto delle effettive modalità di espressione della suddetta riprovevolezza, né della sua valenza politica, né dell’interesse che avrebbero i concittadini ad averne conoscenza.

La sentenza impugnata va pertanto annullata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore quale giudice di appello, che provvederà anche alla liquidazione delle spese processuali dell’intero giudizio in relazione a tutti i suoi gradi e fasi.

 

P.Q.M.

 

La Corte annulla la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2010

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