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LEGGE BOSSI-FINI SULL’IMMIGRAZIONE: Tutto da rifare!

Da www.cassazione.net—————–Il fantasma del passato Natale si aggira per i Palazzi romani. Entro il 24 dicembre scorso l’Italia avrebbe dovuto adeguarsi alla direttiva rimpatri Ue, la 2008/115/CE, però non l’ha fatto. E adesso corre il rischio che sia dichiarata incostituzionale, perché contraria ai principi comunitari, la norma introdotta dalla Bossi-Fini che prevede la reclusione da uno a cinque anni per lo straniero destinatario dell’espulsione e poi di un nuovo ordine di allontanamento (articolo 14, comma 5 quater, del decreto legislativo 286/98). Il punto è che ora le pene detentive previste dalla legge italiana sono diventate troppo severe rispetto agli standard comunitari. A porre la questione di legittimità è il giudice unico del tribunale di Modica, in provincia di Ragusa (cfr. il documento correlato, depositato il primo marzo scorso): a investire la Consulta, dunque, è proprio quella Sicilia che in questi giorni è in prima pagina per l’emergenza-profughi dal Nordafrica, Libia ma anche Tunisia, con l’inevitabile corollario di polemiche sui “paletti” da porre fra rifugiati e immigrati. Non finisce qui: mercoledì 30 marzo, alle 10,30, è prevista davanti alla prima sezione della Corte di giustizia europea di Lussemburgo l’udienza relativa alla questione pregiudiziale sollevata il 10 febbraio scorso sulla normativa italiana (laddove prevede la pena della reclusione da uno a quattro anni «per il cittadino di un paese terzo» il quale, in seguito alla comunicazione di un provvedimento di espulsione, continua a permanere illegalmente nel territorio nazionale). «La Consulta attenderà l’esito dei rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia: il primo, quello che si discuterà mercoledì prossimo, è relativo al rinvio della Corte d’appello di Trento», informa Bruno Nascimbene, ordinario di diritto dell’Unione europea all’Università di Milano e responsabile del centro di eccellenza “Jean Monnet” che promuove nell’Ateneo studi, ricerche e iniziative sull’integrazione europea.

Fuoco amico
La Bossi-Fini, dunque, è finita al centro di un tiro incrociato: vediamo perché. Il giudice siciliano, Antongiulio Maggiore, sospende il processo contro un cittadino albanese e trasmette gli atti a Roma perché la norma introdotta dalla Bossi-Fini nel testo unico sull’immigrazione potrebbe essere in contrasto con gli articoli 3, 11, 27 e 117 della Costituzione. A eccepire l’illegittimità è l’avvocato di Modica Piero Sabellini, difensore dell’imputato, anche se la questione è poi sollevata per un altro procedimento, parallelo e analogo (lo straniero è oggi detenuto per altra causa, ma questo non sposta di un millimetro la questione). Alle spalle l’albanese ha una lunga storia di clandestinità: a fine 2009 è espulso dal questore di Ragusa, poi patteggia cinque mesi di reclusione a Brescia ed è il questore lombardo, nell’ultimo scorcio del gennaio 2010, a ordinargli di nuovo di lasciare l’Italia: un anno dopo lo straniero è arrestato dai carabinieri ancora nella Sicilia meridionale. Ma il magistrato di Modica non applica alcuna misura cautelare: sospetta il contrasto fra la normativa penale nazionale e la direttiva respingimenti della Ue. Com’è possibile? Secondo la direttiva 2008/115/CE, che ancora non trova applicazione in Italia, lo straniero da espellere non può essere trattenuto per più di diciotto mesi: un periodo che è messo a disposizione delle autorità soltanto per preparare il rimpatrio. Da noi, invece, un clandestino come l’albanese, espulso una volta e raggiunto da un nuovo ordine di lasciare il territorio nazionale, rischia la reclusione da uno a cinque anni. Non c’è proporzione, insomma: specie se si considera che chi non rispetta un ordine dell’autorità per motivi di ordine pubblico rischia ben meno, cioè l’arresto fino a tre mesi. Ma soprattutto, sostiene il giudice siciliano, la pena inflitta al clandestino non ha la funzione rieducativa prevista dalla Costituzione né tuttavia serve a preparare il rimpatrio dello straniero.

Ordine e ordinamento
Intendiamoci: l’Unione europea non vieta esplicitamente di sanzionare penalmente chi non rispetta l’ordine di allontanarsi dal territorio nazionale. È pur vero, tuttavia, che il trattenimento nel Cie, il centro di identificazione ed espulsione, secondo la normativa sovranazionale ha l’unico obiettivo del respingimento e consiste in una detenzione amministrativa: potrebbe quindi configurarsi la preclusione, per lo Stato membro, di aggiungervi una sanzione penale detentiva. Saranno comunque i supremi giudici a fare chiarezza. Di certo c’è che in Italia la sequenza fra detenzione nel Cie, ordine di espulsione e arresto potrebbe continuare all’infinito, almeno per come è delineata dalla Bossi-Fini. A questo punto, direbbe qualcuno, la domanda nasce spontanea: che c’entrano le norme comunitarie ai fini della questione di legittimità sollevata rispetto alla Costituzione italiana? Il punto è che l’Italia, come ogni altro Stato Ue, è obbligata dal Trattato di Lisbona ad adeguare la propria legislazione alla direttiva europea: si potrebbe dunque individuare un preciso punto di riferimento «costituzionalmente obbligato» a rendere più miti le pene previste secondo un canone di ragionevolezza. Vedremo allora che cosa deciderà la Consulta.

Conto alla rovescia
Intanto incombe l’udienza di mercoledì davanti alla prima sezione della Corte di giustizia europea dopo la trasmissione degli atti dalla Corte d’appello di Trento. Quando arriverà la decisione dei giudici Ue? «A breve: un mese, forse meno – spiega Bruno Nascimbene, che insegna anche diritto degli stranieri – Si tratta di un procedimento pregiudiziale d’urgenza e di solito i Ppu si risolvono in due-tre mesi al massimo». Secondo i magistrati trentini la direttiva comunitaria è “self-esecuting”, dunque operativa con disapplicazione dell’eventuale normativa interna incompatibile. Ma c’è un “ma”: in Italia la sanzione penale della violazione interviene non alla fine della procedura graduale (partenza volontaria, ordine di allontanamento ed eventuale trattenimento) dettata dalla direttiva, ma dopo l’accertata violazione di un suo passaggio intermedio (inottemperanza al solo ordine di allontanamento). Insomma: è meglio che siano i giudici del Lussemburgo a dirimere la questione. E anche con urgenza, visto che l’imputato, in passato arrestato per spaccio di droga, è «detenuto per questa causa». Com’è il procedimento? Dopo la discussione, conclude il professore di diritto della Ue Nascimbene, la Corte si ritira ma non pronuncia il dispositivo, cui segue entro un certo termine, il deposito: il dispositivo sarà letto in una successiva udienza e, contemporaneamente, sarà depositata la sentenza. Staremo a vedere.

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