GEN. DALLA CHIESA & CONSORTE: A trenta anni dalla morte

Questa è
stata la frase scritta da uno sconosciuto sul muro di Via Carini, a Palermo, adiacente al luogo della strage che il 3 settembre
1982 vide la morte il  Generale Carlo
Alberto Dalla Chiesa, barbaramente assassinato insieme alla di lui e giovane
moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta.

Leggo in
questi giorni il ripetersi della triste commemorazione dell’evento tragico che,
in modo stanco, ci propina la solita liturgia della lotta alla mafia.

E’ vero, la
lotta alla mafia.

All’epoca, l’illustre
e compianto servitore dello Stato, a più riprese, chiedeva ripetutamente una
legge in grado di assalire i patrimoni della mafia.

Legge che,
purtroppo, soltanto dopo una settimana dalla sua morte, venne finalmente
approvata nella aule Parlamentari[1].

E’ stata la
prima vera legge nel complesso dispositivo di contrasto alle associazioni
mafiose, tanto sotto il profilo giuridico del suo significato, con l’introduzione
dell’art.416 bis che relativamente alla introduzione di misure di carattere
patrimoniale.

C’è voluta l’altra
strage “Falcone-Borsellino” del 1992, per meglio affinare tale dispositivo con
la introduzione del concetto della “Inversione dell’onere della prova” di cui
all’articolo 12 quinquies della legge n.356/92.

Il nostro, è
il Paese delle stragi, che riesce a produrre leggi efficaci solo in condizioni
di drammatica emergenza.

Vorrei tanto
ritrovare quella speranza morta nella città di Palermo.