mercoledì, Maggio 1, 2024
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GIUSTO LICENZIAMENTO: Condotta fraudolenta del dipendente

        

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 ottobre 2013, n.
22394

Lavoro – Licenziamento – Arbitrario abbandono del posto di
lavoro – Comportamento fraudolento del dipendente

 

Svolgimento del processo

 

Con sentenza del 14/10 – 18/11/2010 la Corte
d\’appello di Napoli ha rigettato l\’impugnazione proposta da U.L. avverso la
sentenza del giudice del lavoro del Tribunale di Napoli che gli aveva respinto
la domanda diretta all\’annullamento del licenziamento intimatogli il 10/11/04
dalla C. s.p.a per l\’arbitrario abbandono del posto di lavoro.

La Corte partenopea, dopo aver escluso che potesse
ritenersi rilevante nella fattispecie la mancata affissione del codice
disciplinare, essendo quella contestata una violazione di un dovere fondamentale
del rapporto di lavoro manifestamente contraria all\’etica comune, ha spiegato
che l\’istruttoria aveva consentito di appurare il comportamento fraudolento
tenuto nell\’occasione dal L., il quale aveva dapprima ammesso di aver
abbandonato il posto di lavoro, venendo così meno all\’obbligo della prestazione,
per porsi, poi, in stato di malattia non appena venuto a conoscenza che sarebbe
iniziato a suo carico un procedimento disciplinare, minando in tal modo il
rapporto fiduciario in guisa tale da far ritenere giustificata la sanzione
inflittagli.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso il
L., il quale affida l\’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso la società C. s.p.a. Il
ricorrente deposita, altresì, memoria ai sensi dell\’art. 378 c.p.c.

 

Motivi della decisione

 

1. Col primo motivo il ricorrente contesta la
ricostruzione del fatto operata dalla Corte d\’appello sulla base delle
deposizioni testimoniali, nonché la violazione delle norme di cui agli artt. 257
c.p.c. e 2697 cod. civ., oltre che l\’omessa e contraddittoria motivazione ai
sensi dell\’art. 360 n. 5 cpc. In particolare il ricorrente lamenta che la Corte
di merito avrebbe ricostruito le circostanze di fatto della vicenda in esame
sulla base della sola deposizione resa dal teste M.C., il quale si era riportato
a quanto riferitogli da terzi, mentre avrebbe omesso di attribuire rilevanza a
quella della teste R.G., al punto da giudicaria non veritiera sulla scorta di
considerazioni non condivisibili, in quanto contraddittorie ed irragionevoli.
Nel contempo il L. si duole del fatto che la Corte avrebbe erroneamente messo in
rilievo la circostanza per la quale esso ricorrente non aveva avanzato istanza
volta a conseguire l\’ordine di esibizione dei cartellini “marcatempo” di quel
turno di servizio per verificare se risultavano marcati i cartellini di tutti i
lavoratori presenti, disattendendo in tal modo il suo rilievo sul fatto che lo
stesso giudice di primo grado avrebbe potuto avvalersi dei poteri d\’ufficio per
una siffatta acquisizione.

Il motivo è infondato.

Invero, “in tema di giudizio di cassazione, la
deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata conferisce al
giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera
vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di
controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza
logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale
spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio
convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l\’attendibilità
e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo,
quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi
sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all\’uno o all\’altro dei mezzi di
prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge).
Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito
punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la
circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla
controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata
considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza. Pertanto,
il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a
fondamento della pronunzia, costituisce vizio di omesso esame di un punto
decisivo solo se le risultanze processuali non esaminate siano tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non dì mera probabilità, l\’efficacia
probatoria delle altre risultanze sulle quali il convincimento è fondato, onde
la “ratio decidendo venga a trovarsi priva di base. (Nella specie la S.C. ha
ritenuto inammissibile il motivo dì ricorso in quanto che la ricorrente si era
limitata a riproporre le proprie tesi sulla valutazione delle prove acquisite
senza addurre argomentazioni idonee ad inficiare la motivazione della sentenza
impugnata, peraltro esente da lacune o vizi logici determinanti).\’\’ (Cass. Sez.
3 n. 9368 del 21/4/2006; in senso conf. v. anche Cass. sez. lav. n. 15355 del
9/8/04).

Nella fattispecie, la Corte d\’appello di Napoli ha
attentamente valutato con argomentazioni logiche e ben motivate in ordine ai
riscontri eseguiti, immuni da vizi giuridici, il materiale istruttorio raccolto,
per cui le doglianze appena riferite non scalfiscono la validità della “ratio
decidendi” sottesa al rigetto della domanda. Né va sottaciuto che era una
facoltà discrezionale del giudicante quella di operare l\’acquisizione d\’ufficio
di determinati elementi istruttori e che in nessun caso un tale potere poteva
essere esercitato per surrogare carenze probatorie della parte.

2. Col secondo motivo il ricorrente denunzia la
violazione delle norme di cui agli artt. 2106 e 2119 c.c., all\’art. 7 della
legge n. 300/70 e della legge n. 604/1966, nonché la violazione dell\’art. 55 del
ccnl per i dipendenti dei magazzini generali, depositi, centri di distribuzione
ed intermodali, oltre che l\’omessa e contraddittoria motivazione ai sensi
dell\’art. 360 n. 5 c.p.c.

In concreto, il L. contesta la proporzione della
sanzione inflittagli rispetto all\’entità dell\’addebito contestatogli ed al
riguardo fa osservare che l\’art. 55 del ccnl per il personale dipendente da
magazzini generali e centri intermodali del dicembre del 1995 prevedeva tra le
ipotesi del licenziamento quella dell\’assenza ingiustificata per tre giorni
consecutivi, mentre nel caso di specie si era avuto l\’allontanamento
ingiustificato dal servizio per un solo giorno.

Il motivo è infondato.

Invero, la Corte di merito ha adeguatamente motivato,
con argomentazione logica ed immune da rilievi di carattere giuridico, il
proprio convincimento sulla proporzione della sanzione inflitta al L. rispetto
all\’addebito contestatogli, avendo spiegato che all\’esito dell\’istruttoria si
era potuto accertare che quest\’ultimo, dopo aver inizialmente ammesso di aver
abbandonato il suo posto di lavoro, avendo appreso che l\’ing. C. lo stava
cercando si era poi attivato per porsi in stato di malattia, tenendo in tal modo
un comportamento fraudolento finalizzato a raggirare i superiori. Ha aggiunto la
Corte che il disvalore sociale di tale fatto risultava piuttosto elevato in
quanto esso atteneva al nucleo essenziale della prestazione lavorativa,
soprattutto in considerazione delle modalità attuative rappresentate dal tentato
raggiro dei superiori e dalla violazione delle norme previste a tutela dello
stato di malattia dei lavoratori, per cui la gravità del fatto era tate da far
ritenere qualsiasi altra sanzione conservativa insufficiente a tutelare
l\’interesse dell\’impresa e da far venir meno la fiducia sull\’esattezza e sulla
puntualità dei successivi adempimenti della prestazione lavorativa.

Né ha pregio il tentativo del ricorrente di
estrapolare dal contratto collettivo di riferimento, del quale non produce
nemmeno il relativo testo nel presente giudizio, la norma che prevede la
sanzione espulsiva per l\’ipotesi dell\’assenza ingiustificata per tre giorni
consecutivi dal lavoro e di raffrontarla col contenuto della contestazione
disciplinare: invero, come la Corte di merito ha motivato in maniera logica ed
adeguata, l\’addebito disciplinare era da considerare in tutta la sua gravità
rapportata non solo all\’arbitrario allontanamento del L. dal posto di lavoro ma
anche al comportamento fraudolento dal medesimo operato in danno dei superiori
nel tentativo di neutralizzare gli effetti del procedimento sanzionatorio.

Pertanto, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza
del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. 

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese
del presente giudizio nella misura di € 3000,00 per compensi professionali e di
€ 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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