giovedì, Maggio 2, 2024
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HOLDING: Responsabilità amministrativa dipendente da reato

   
 

 

 

 

Premessa

Al termine
di una lunga e complessa indagine svolta dal Nucleo di pt della Guardia di
finanza di Bari, anche basata su intercettazioni telefoniche e ambientali afferenti a presunti episodi corruttivi nella pubblica amministrazione e dopo
alcune pronunce di merito si è arrivati al giudizio della Corte di cassazione


[1]

.

L’indagine,
condotta nei confronti di amministratori, impiegati e funzionari della Regione
Puglia nonché imprenditori e amministratori di società private operanti nella
stessa regione, ha registrato il rinvio a giudizio di numerosi imputati
accusati di oltre novanta capi di imputazione caratterizzanti, secondo gli atti
dell’inchiesta,  un’associazione a delinquere.
Il sodalizio così costituito, era finalizzato a commettere reati come la
concussione, corruzione, finanziamento illecito dei partiti, falsi in atto
pubblico, violazione dell’articolo 615-ter cp e violazione segreti d’ufficio.

La sentenza
della suprema Corte di cassazione che per la prima volta ha affrontato il ruolo
della capogruppo


[2]

, al termine
dei giudizi di merito, ha chiarito le condizioni di applicabilità di sanzioni
amministrative dipendenti da reato di corruzione di una persona fisica (anche
amministratore di fatto) che agisce per conto di una holding, a vantaggio e
nell’interesse della capogruppo. La Corte infatti, sciogliendo i dubbi che
ancora dividono giurisprudenza e dottrina, con questa pronuncia ha delimitato
con maggiore precisione l’area degli illeciti amministrativi dipendenti da
reato (corruzione) connessi ad una competizione elettorale (capo 91, lettera g
della sentenza).

L’intera
vicenda risultava caratterizzata da numerose condotte delittuose, quali le
operazioni di corruzione, perpetrate da alcune società operanti nel settore
della sanità che, pur di ottenere appalti pubblici, avevano corrotto funzionari
della Regione Puglia.

Il giudizio
di legittimità espresso dalla Suprema Corte, in verità, pur confermando che le
holding, al pari di ogni altra società del gruppo possano rispondere sotto il
profilo della responsabilità amministrativa d’impresa di cui al D.lgs 231/01
per un reato commesso da soggetti appartenenti a società della holding
medesima, ha fissato un  importante
criterio di valutazione: il soggetto rappresentante la holding deve concorrere
con il soggetto che commette materialmente il reato. In altri termini, per gli
Ermellini della suprema Corte, non è apparso sufficiente un generico
riferimento al gruppo per affermare la responsabilità della holding a mente del
D.lgs 231/01.

I Giudici di
Cassazione pertanto, hanno sentenziato che non tutti i criteri contemplati nel
D.lgs 231/01 risultavano soddisfatti per determinare una responsabilità della
holding.  Infatti, sebbene il reato della
corruzione rientrasse tra quelli presupposto del D.lgs 231/01, nel caso esaminato
mancavano due condizioni ritenute indispensabili:


·      

Mancava l’interesse e/o  il vantaggio;


·      

L’agente non rivestiva una posizione
qualificata all’interno dell’ente.

Conclusioni

Dalla lettura
del dispositivo in discorso, sembrano individuarsi importanti elementi di
valutazione, come:


1.   

Per la prima volta la Corte di
cassazione sancisce l’idoneità della holding, al pari di altre società del
gruppo, di rispondere ai sensi del D.lgs 231/01 per reati commessi da soggetti
operanti in altre società del gruppo;


2.   

Ai fini della sussistenza della
responsabilità, non è sufficiente un generico riferimento al gruppo ma al
contrario, necessita che i soggetti agenti per conto della società (pensiamo ai
rappresentanti legali) devono concorrere con chi commette il reato (anche
amministratore di fatto). Nel caso che qui ci occupa, i soggetti che hanno
agito per conto della società sono stati prosciolti al termine dell’iter
giudiziario;


3.   

La condotta dell’agente deve essere
finalizzata all’interesse proprio o di terzi ma anche nell’interesse dell’ente; l’interesse
o il vantaggio quindi debbono essere presunti per tutte le società a cui la
responsabilità di cui al D.lgs 231/01 viene ricondotta. L’utilità deve essere
potenziale ed effettiva, non necessariamente di carattere patrimoniale in
conseguenza della commissione del reato presupposto.

Nel mentre nel recente passato la dottrina si era
marginalmente occupata della questione, ovvero della responsabilità degli enti
collettivi, al pari di ogni persona giuridica laddove, si diceva, la novella
del 2001, pur non facendo alcun riferimento a gruppi di società neanche pone  alcuna esclusione a favore di società aventi
partecipazioni azionarie secondo il naturale status di una capogruppo.

Alcuni autori infatti

[3]

,
hanno inteso precisare che i criteri di imputazione del fatto di reato alla società
capogruppo non potranno differenziarsi da quanto stabilito in via generale per qualsiasi
persona giuridica dagli articoli 5, 6 e 7 del D.lgs 231/01.

La Cassazione con la sentenza in commento ha sostanzialmente
affermato che tale responsabilità in capo alla capogruppo sussiste solo quando,
soggetti legati all’ente controllante (holding) da rapporti di rappresentanza o
subordinazione, abbiano di fatto partecipato alla commissione del reato
presupposto.

Infine, come peraltro già accennato, una particolare importanza
andrà attribuita  all’interesse e al
vantaggio, perché si possa parlare di responsabilità amministrativa in capo
alla holding. Infatti, si dice, la sola circostanza che il reato sia stato
commesso con il concorso degli amministratori della capogruppo, ma nell’ambito
di una società controllata rende l’interesse connesso all’azione delittuosa o
il vantaggio che ne consegue non immediatamente  riferibile alla società
controllante, con la conseguenza che una responsabilità di quest’ultima per fatti
di reato connessi all’esercizio di attività imprenditoriali di altre società,
sussiste solo se viene sufficientemente dimostrato che l’incremento
patrimoniale della controllata (per effetto dell’attività illecita come la
corruzione) sia economicamente vantaggiosa anche per la capogruppo.

Per concludere, appare pertanto ragionevole quanto sostenuto
in dottrina laddove, affinché si possa coinvolgere nella responsabilità
amministrativa dipendente da reato, non potrà ritenersi sufficiente, per
condannare la holding, solo una presunta istigazione  di natura morale o una semplice direttiva
volta a stimolare talune performance economiche per raggiungere determinati
risultati imprenditoriali, ma veri e propri suggerimenti penalmente illegittimi
o comunque al limite del codice penale.

Alla luce di quanto sommariamente commentato, secondo la
intervenuta giurisprudenza di cassazione, sembra ormai tracciata la strada per
una responsabilità allargata alla capogruppo sia pure nel rispetto dei canoni
basilari della disciplina dettata dal ripetuto D.lgs 231/01.






[2]

Cassazione – Sentenza della 5° sezione
penale nr. 24583 del 20 gennaio 2011



[3]

Ciro Santoriello, “Gruppi di società e
sistema sanzionatorio”, in Rivista 231, 18 luglio 2011

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