martedì, Maggio 14, 2024
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AUTOCERTIFICAZIONE STRAORDINARIO FASULLO: Licenziamento legittimo

        

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 ottobre 2013, n.
23784

Lavoro – Licenziamento – Dipendente che auto-attesta ore di
straordinario mai effettuate – Legittimità – Sussiste.

Svolgimento del processo

Con sentenza del 25/3 – 2/4/2009 la Corte d’appello
di Torino ha respinto sia l’impugnazione principale proposta da B.L. avverso la
sentenza del giudice del lavoro del Tribunale dello stesso capoluogo piemontese
che le aveva rigettato il ricorso teso alla dichiarazione di nullità del
licenziamento intimatole il 14/6/2005 dalla ASL (..) e della sanzione della
sospensione dal lavoro per dieci  giorni inflitta con provvedimento del 14/16 –
2 – 2005, sia l’impugnazione incidentale formulata dalla predetta azienda
sanitaria per l’accertamento della decadenza della lavoratrice dall’impugnativa
del licenziamento per la tardività della sua proposizione.

La Corte ha spiegato che l’impugnativa del
licenziamento del 29/4/05 era tempestiva, dal momento che con quello successivo
del 27/7/05 l\’azienda si era limitata a recepire il contenuto del primo
provvedimento espulsivo, così come non poteva considerarsi tardiva la
contestazione disciplinare rispetto all\’accertamento dei fatti; inoltre, questi
non erano gli stessi che avevano formato oggetto del separato procedimento
penale, per cui era infondata la censura della lavoratrice che aveva fatto leva
sulla asserita violazione della norma di cui all\’art. 14 del contratto
collettivo di comparto che contemplava la sospensione del procedimento
disciplinare nel caso di commissione in servizio di gravi fatti illeciti di
rilevanza penale. Invero, secondo la Corte, dalla lettera allegata all\’esposto
inoltrato all’autorità giudiziaria si evinceva che la B. aveva artificiosamente
rappresentato lo svolgimento, da parte sua, di ore di lavoro straordinario mai
effettuato, mentre dalla contestazione disciplinare si ricavava che la medesima
aveva attestato con timbrature in uscita dal lavoro e, talvolta, in entrata, lo
svolgimento di straordinario in sedi diverse da quella ove svolgeva la propria
attività lavorativa senza essere stata autorizzata a farlo.

Infine, la massima sanzione irrogata poteva ritenersi
adeguata in considerazione della natura dolosa della condotta reiteratamente
realizzata in spregio alle regole  aziendali e in modo tale da ledere
irrimediabilmente il vincolo fiduciario.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso la
B. la quale affida l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso l\’Azienda sanitaria locale
Torino (..) del Servizio sanitarie nazionale della Regione Piemonte che propone,
a sua volta, ricorso incidentale condizionato affidato a due motivi.

Entrambe le parti depositano memoria ai sensi
dell\’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

Preliminarmente va disposta la riunione dei
procedimenti ai sensi dell’art. 335 c.p.c. Col primo motivo la ricorrente
principale lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 14 del contratto
collettivo di settore, nonché un vizio logico della motivazione della sentenza
impugnata, sulla base del presupposto che il fatto contestatole nel procedimento
penale ed in quello disciplinare era lo stesso, per cui avrebbe errato la Corte
di merito a non considerare che alla stregua della citata norma collettiva la
datrice di lavoro avrebbe dovuto sospendere obbligatoriamente l’iniziativa
disciplinare in attesa dell’esito dell’indagine penale; inoltre, erroneamente la
Corte d’appello avrebbe confuso l’accertamento del fatto oggetto dell’addebito
disciplinare, rappresentato dall’accusa di aver timbrato per trentadue volte il
cartellino degli orari di lavoro in luoghi differenti da quello di svolgimento
dell’attività principale, con le sue conseguenze, vale a dire l\’autonoma
rilevanza disciplinare di tale condotta rispetto all’artificiosa
rappresentazione di lavoro straordinario mai effettuato, avente, invece, rilievo
in sede penale.

Il motivo è infondato.

Infatti, la Corte d’appello, dopo aver esposto il
contenuto dell’art. 14 del summenzionato contratto collettivo con riferimento
all’ipotesi della sospensione del procedimento disciplinare in concomitanza di
quello penale, ha spiegato, con argomentazione adeguata ed immune da vizi logici
e giuridici, che era da escludere che nella fattispecie i fatti oggetto del
procedimento penale, avviato con I esposto del 2/5/2005 del Direttore generale
della ASL (…), fossero gli stessi di quelli oggetto del procedimento
disciplinare iniziato con la contestazione del 29/4/2005: – Invero, nel primo
caso si era ipotizzato che attraverso le trentadue timbrature non autorizzate la
B. avesse artificiosamente rappresentato lo svolgimento di lavoro straordinario
mai effettuato, mentre nel secondo le era stato contestato di aver apposto le
suddette timbrature nell’arco di nove mesi in sedi diverse da quella ove
svolgeva la propria attività lavorativa senza essere stata autorizzata a farlo
da parte dei suoi superiori. E’, pertanto, destituito di fondamento anche il
rilievo per il quale nella sentenza impugnata sarebbe stata fatta confusione tra
l’accertamento del fatto e le sue conseguenze giuridiche nel senso che ai fini
della sospensione del procedimento disciplinare sarebbe stata richiesta
l\’identità delle conseguenze penali e disciplinari del fatto oggetto di
addebito: invero, la Corte di merito ha correttamente incentrato sin dall’inizio
la propria decisione sulla rilevata diversità dei fatti oggetto dei due
procedimenti, cioè quello disciplinare e quello penale, per pervenire alla
conclusione logica che tale diversità non consentiva di far ritenere applicabile
nella fattispecie la sospensione contemplata dall\’art. 14 del citato contratto
collettivo che, al contrario, presupponeva che si fosse in presenza dello stesso
fatto.

Col secondo motivo la ricorrente principale contesta
la valutazione operata dalla Corte d’appello in merito alla ritenuta adeguatezza
della sanzione inflittale rispetto all\’entità del fatto addebitatole, in quanto
sostiene che la reiterazione della condotta oggetto di indagine per oltre un
anno senza che in tutto quel lasso di tempo le fosse stata mossa una
contestazione e l’assenza di un danno patrimoniale per la datrice di lavoro in
relazione ad una mera violazione di disposizioni interne comunicate verbalmente
dal superiore gerarchico non potevano integrare gli estremi della giusta causa
di licenziamento ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.

Il motivo è infondato.

Invero, con accertamento di fatto congruamente svolto
e con adeguata motivazione immune da rilievi di carattere logico-giuridico, la
Corte d’appello ha posto in evidenza che la massima sanzione era adeguata al
fatto contestato in considerazione della natura dolosa della condotta
reiteratamente realizzata dalla B. ad onta della negata autorizzazione del
superiore a svolgere la propria attività lavorativa fuori sede, la qual cosa
denotava la pervicacia della medesima nel disattendere le regole datoriali
ispirate ad un regolare funzionamento dei servizi ed alla possibilità di
effettuare controlli in relazione ad esso, per cu non poteva esservi dubbio sul
fatto che in tal modo veniva ad essere oggettivamente leso il necessario vincolo
fiduciario.

Pertanto, il ricorso principale va rigettato.

Quanto al ricorso incidentale si rileva che lo stesso
è stato proposto in via condizionata, per cui la sua disamina rimane assorbita
dal rigetto del ricorso principale.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza
della ricorrente principale e vanno poste a suo carico nella misura liquidata
come da dispositivo. 

P.Q.M. 

Riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale e
dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente principale alle
spese del presente giudizio nella misura di € 3500,00 per compensi professionali
e di € 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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