giovedì, Maggio 2, 2024
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UNA BELLISSIMA PARODIA: Il “Giurista minchione”

     

Intimités

 

BRUNO CAPPONI (*)

Il giurista minchione: anomala diffusione del tipo ai giorni nostri

Nella diffusissima specie umana dei minchioni, le cui caratteristiche sono a tal punto note da non dover essere qui spiegate nel dettaglio, un posto d’onore va certamente riservato ai giuristi minchioni. Chi sono costoro, e perché esistono?

Sebbene possano sembrare ordinati a loro volta in distinte quanto curiose tipologie, si registrano già al primo esame taluni elementi fissi che valgono ad identificarli, in modo abbastanza sicuro, come categoria unitaria.

Il giurista minchione, anzitutto, è del tutto inconsapevole di esserlo; anzi, non deve affatto meravigliare se, occasionalmente, predichi coi suoi colleghi minchioni la minchionaggine di altri, minchioni o non minchioni secondo gli altrui apprezzamenti. Il minchione, in generale, non è il più adatto a riconoscere la minchioneria: è mitridatizzato dall’essere minchione. Come il pazzo non riconosce la sua propria pazzia, e dubita della compostezza mentale di tutti i suoi simili, così il minchione si autoconvince fatalmente non soltanto di non essere un minchione, ma anzi di essere proprio lui il migliore: e non solo dei minchioni, beninteso. Lui è proprio il migliore di tutti i suoi simili. Sebbene il minchione, avendo generalmente un’altissima opinione di sé, fatichi non poco ad ammettere di avere veri e propri simili: nessuno, pensa lui, è ad uno stadio abbastanza elevato da poterglisi assimilare.

Vivendo in quest’inconsapevolezza, il minchione è in genere di ottimo umore. Ride sovente. Si guarda attorno eternamente soddisfatto di sé, platealmente soddisfatto di sé, minchionicamente soddisfatto di sé. Ha fronte stretta e mascella larga, ricordando un fiasco. Si fa fotografare soltanto quando sorride, ovvero sorride talmente spesso da farsi così fotografare con estrema facilità, senza alcuna programmazione. Se entra in una sala, pensando che ogni sguardo debba e non possa che dirigersi verso di lui, assume d’istinto un’aria impettita, a volte trionfante. Non di rado è gongolante, con gli occhi che diventano due fessure. Il trionfo del giurista minchione potrebbe ben essere una pittura allegorica, un quadretto manierista, la consacrazione per la posterità d’un tipo sociale passato immutato attraverso il rotolamento dei secoli: ed è strano, a rifletterci, che nessun artista ci abbia mai pensato. Davvero molto strano.

L’allegria del giurista minchione è non di rado contagiosa. Ma non è un’allegria del mondo, è allegria soltanto di sé. È, appunto, non altro che l’allegria autoreferenziale del minchione. I minchioni ne sono protagonisti, i non minchioni vittime: nel senso che non possono impedirsi di ridere in faccia ai minchioni, sebbene a volte lo giudichino sconveniente.

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(*) Estratto dal capitolo VI de Il concorso, edito nel 2013 da Editoriale Scientifica nella collana « Verba manent. Racconti di giuristi », diretta da B. Capponi e A. Celotto.

 

Il giurista minchione parla sempre, in ogni occasione. È infaticabile, alimentandosi della sua ghiotta minchioneria. Non concepisce una riunione, un convegno, un incontro, un seminario di studi in cui la parola possa essergli inibita. Chiede sempre di parlare, si programma sempre di parlare, e lo fa per il semplice gusto minchionesco di farlo. Crede che gli altri abbiano bisogno di sentirlo parlare, almeno quanto lui stesso ne ha di farsi ascoltare. Si prepara sempre un intervento, scritto o pensato – meditato più o meno – ma poi la sua minchionaggine lo fa decampare, lo fa deviare, lo porta lontano da quel piccolo, sicuro sentiero che s’era tracciato per garantirsi un positivo effetto sull’uditorio. Parlando per parlare, in genere le sue affermazioni risulteranno allineate con la sua dirompente personalità: si tratterà sempre di autentiche minchionate. Dette però con tale sicumera, tale ottimismo stridulo, tale apparente risolutezza da far dubitare anche i non minchioni: forse che, per una volta, il minchione non abbia sparato minchionate? Poi, riflettendo solo un momento, non si tarda a realizzare che la caratteristica del minchione che parla, per come lo fa, è sempre quella di apparire, appunto solo per un momento, meno minchione di quel che effettivamente è. Ma si tratta sempre e soltanto di un attimo ingannevole. La minchioneria non può essere dissimulata a lungo: emerge prepotente, e l’unico a non avvedersene è appunto lui, proprio perché tale: il nostro minchione.

Il giurista minchione quando parla, come del resto quando scrive, non esprime mai dubbi ma soltanto certezze. Procede di certezza in certezza, sino all’approdo finale della sua ingombrante minchioneria. È convinto, il giurista minchione, che avere dubbi sia proprio da minchioni; e così, proprio per evitare di apparirlo, diventa inevitabilmente sempre più minchione. Non ha scampo. È prigioniero, in un moto circolare senza fine, della sua stessa minchionaggine.

Dopo aver parlato, il giurista minchione si guarda attorno, soddisfatto. Sembra quasi che riesca a guardarsi dall’esterno, ammirandosi. È del resto assolutamente certo di aver provocato ammirate reazioni in tutti i presenti. In genere gli altri lo guardano interdetti, chiedendosi cosa abbia mai detto. Lui interpreta quegli sguardi sperduti come se volessero dire: devo riconsiderare tutta la mia vita alla luce di quel che ho appena ascoltato.

Dopo aver parlato, il giurista minchione è ancora certissimo di aver dato la prova definitiva di quel che egli stesso ha sempre pensato di sé: è lui il meglio della sua specie, l’apice dell’evoluzione, è lui il solo a dialogare con la Verità, e tutti gli altri dovrebbero ringraziarlo soltanto perché è e soprattutto perché, nonostante sia proprio qual è, parla ancora con loro. Ha parlato, e loro hanno ascoltato. Tutto qui, ed è tutto molto semplice. È la Legge del Minchione.

Il giurista minchione, però, non parla soltanto: in genere scrive anche. E – la cosa non deve troppo meravigliarci – lo fa sempre da autentico minchione.

Qual è lo stile dello scrittore giurista minchione? È presto detto: egli si prefigge sempre di dimostrare non la giustezza della propria tesi, se mai ne abbia una, ma l’ingiustizia capitale di quelle degli altri. Scrive sempre contro qualcuno. Contesta sempre qualche altro. Gli altri infatti non sono documentati come lui. Gli altri sanno meno cose di lui. Gli altri hanno, in alto loco, meno contatti e relazioni di lui. Gli altri sono, in una parola, meno bravi e meno aggiornati di lui. E quindi il solo obbiettivo del suo scritto sarà quello di dimostrare – la minchionaggine occulta è la sua vera ossessione – che lui è meglio

degli altri. Senza dubbi, senza eccezioni. L’egotismo è la sua unica dottrina. In tal modo l’oggetto del suo studio, quando c’è, passa del tutto inosservato, anche per lui stesso, e la sua penna finisce per parlare, in realtà, soltanto e sempre dell’autore, di sé, di lui. Il minchione parla monumentalmente di se stesso, anche quando non vorrebbe. È che neanche se ne accorge. È talmente occupato da se stesso, che non avverte il bisogno né ha voglia di qualsiasi altra minchionata.

Il suo periodare è sempre poco comprensibile. Farraginoso, è a cavaliere tra due secoli grammaticalmente in conflitto. Sceglie le parole, meglio se desuete, non per fare chiarezza ma per confondere. Il primo sforzo che richiede al lettore non è su ciò che viene scritto, ma sul come. La tecnica di costruzione della frase è quella circense. È un acrobata senza rete che precipita e rimbalza ogni volta, senza ferirsi mai. Un miracolo minchiato, come un salto carpiato. Caprioleggia su se stesso, lo scritto tipico del giurista minchione. Le frasi si succedono come se il proto avesse fatto cadere il piombo a terra e lo avesse poi ricomposto a caso, per non farsi sgridare dal padrone della stamperia. Il “chiarissimo”, anteposto al “professore”, è, in riferimento allo scrittore giurista minchione, la più smaccata e grottesca delle menzogne. Questo perché, nel momento in cui si accinge a scrivere – cosa che si ritiene in diritto, non meno che in dovere di fare – egli non ha alcuna precisa idea di ciò che andrà a sostenere (ma lo farà comunque e sempre con minchionesca veemenza) e tale chiarezza di idee non verrà attinta nemmeno al termine del suo esercizio. In tal modo, egli potrà essere citato, dai tanti giuristi minchioni che scriveranno dopo di lui, tanto a favore, quanto contro una determinata tesi: non importa ciò che si sostiene, quanto come lo si sostiene, se a sostenere la tesi è un giurista minchione che si indirizza ad altri giuristi minchioni. Le minchionate vanno sempre bene, sia pro, sia contra qualsiasi soluzione giuridica. Tutto può essere minchionescamente sostenuto. È questa la grande verità, soprattutto cara al giurista minchione: è la migliore garanzia che egli non potrà sbagliare mai. Nessuno potrà mai contestargli nulla, e davvero, al termine dei giochi, non c’è minchione che tenga.

Ogni scritto del giurista minchione è una specie di caccia all’errore. Lui non percepisce significati elevati, non vede profili stagliati all’orizzonte, non avverte i movimenti delle grandi trasformazioni: si accanisce, maniacalmente, contro quelli che classifica come errori altrui. Tratta tutta la sua materia come fosse un problema enigmistico. Crede di applicare una logica cartesiana, ma gli mancano tutti i fattori del calcolo esatto. Una volta scovato l’errore non sa che farsene di tutto ciò che resta, giusto o non giusto che sia, e pertanto rimette quell’errore al posto suo, tutto contento per il solo fatto d’averlo saputo riconoscere. Il resto gli è indifferente. L’esame analitico e maniacale del dettaglio gli impedisce sempre di avere la giusta visione d’insieme.

Il giurista minchione conta sempre il numero dei propri scritti. Ha sempre pronto, nel computer o nel cassetto, un curriculum aggiornato in cui sono diacronicamente ordinati i suoi interventi a convegni, le relazioni scritte o sbobinate, le pubblicazioni su riviste nazionali, gli studi monografici. Egli concepisce la sua carriera scientifica come un affastellamento di pagine prescindendosi da ciò che vi risulta scritto.

Il giurista minchione, in genere, è religiosissimo. Sebbene preferisca non farlo sapere troppo in giro.

Il giurista minchione sente molto il limite dell’ambiente nel quale le riottose circostanze della vita lo hanno costretto ad operare. Le riviste scientifiche sono piccole nicchie, nelle quali il suo pensiero potrà essere raggiunto soltanto da pochi privilegiati lettori. Rapidamente si convince, il giurista minchione,

che la sua voce non potrà essere a lungo confinata in fogli specialistici, in ristretti speculi, in dibattiti che si svolgono lontano dall’onnivora società civile. Non è giusto. Serve una tribuna più ampia. L’aspirazione del giurista minchione è sempre verso l’universalità. La sua voce non può confondersi con le altre.

La massima promozione per il giurista minchione è così quella di scrivere sui quotidiani, per raggiungere le grandi masse. Quotidiani politico-economici, quotidiani seri: non certo di gossip, del quale è peraltro assai ghiotto. E però lui è un giurista, non un giornalista. Se scrivesse da giornalista, i suoi colleghi potrebbero pensare che ha smesso di essere giurista per diventare giornalista. Un giornalista-giurista, unicefalo dissociato o associato bicefalo? Ciò che, in fondo, a lui neanche dispiacerebbe troppo, perché nell’intimo foro il suo essere giornalista si cumula, non ha dubbi, col suo essere giurista: e lui, da vero minchione, intende essere entrambe le cose. Fortemente. Minchionicamente. Un giurista che, da giornalista, ha qualcosa in più dei giuristi; un giornalista che, essendo giurista, ha qualcosa in più dei giornalisti. Insomma, come sempre, è lui, sempre più minchiònico, ad essere il più bravo di tutti. Non vede quindi che una soluzione: scrivere sui giornali da giurista. Nessuno lo capisce, però: ed è ciò di cui più spesso si lamenta il giurista-giornalista minchione, si lagna di venire frainteso. Attribuisce il tutto, ovviamente, alla minchionaggine altrui. Passa il suo tempo a spiegare a voce ciò che ha oscuramente scritto, ma ogni volta cambia versione.

Il giurista minchione parla, scrive, ma soprattutto legge. Legge di tutto, avidamente. Legge per tenersi impegnato. Gli va bene qualsiasi cosa. Nota anzitutto i refusi e gli errori di stampa. Capisce poco di quel che legge, o, meglio, quel che legge viene inconsapevolmente filtrato dal suo spirito irredimibile di minchione, divenendo per ciò stesso un’automatica minchionatura. Il giurista minchione seleziona naturalmente quel che legge, registrando solo le minchionate e trascurando tutto il resto. Tutto viene tradotto nella severa metrica personale del minchione.

Per questa ragione, certi dibattiti scientifici occupano soltanto i giuristi minchioni. Si capiscono, infatti, solo tra di loro. E, paradossalmente, quando si arrabbiano si danno reciprocamente dei minchioni. Sei un vero minchione!, dicono. E, altrettanto paradossalmente, dicono per una volta la verità.

Si è detto che i giuristi minchioni presentano caratteristiche fisse, che li rendono riconoscibili senza incertezze consentendoci di ordinarli entro una categoria unitaria. Ciò non toglie però che, osservandoli più da vicino, sia dato anche di classificare le specie all’interno del genere.

Una che merita senz’altro di essere segnalata è quella del minchione che ritiene di poter primeggiare sugli altri (minchioni o no, non sarà certo lui in grado di stabilirlo) non per caratteristiche sue proprie (ragionare di meriti è qui certamente fuori luogo) ma per una sorta di diritto ereditario o investitura della Storia: egli è infatti figlio o nipote – e nei casi più seri sia figlio che nipote – di giuristi illustri, che hanno consacrato la loro opera ad una particolare branca del diritto (che in genere non è la stessa di padre in figlio: non si deve mai dar troppo nell’occhio), giustappunto illustrandola. Chi eredita un nome importante – sia pure nel ristretto e controverso circolo degli studi giuridici – pensa sia naturale che gli altri debbano tributargli una particolare deferenza, la stessa che si sarebbe tributata – ma a ben diverso titolo – al padre o al nonno o allo zio illustre o a tutti costoro insieme ove, beninteso, tutti da ritenersi parimenti illustri.

 

Questi minchioni d’ultima generazione, inconsapevoli come tutti gli altri di esserlo, sono però consapevolissimi dei loro natali dai più giudicati illustri, e da questi si sentono condizionati nella loro quotidiana attività e, quel ch’è peggio, credono che quegli stessi natali non possano non condizionare anche tutti gli altri: specie i meno illustri, gli aspiranti illustri o gli affatto illustri, che sempre debbono tenere in gran conto gli illustri per una convenzione sociale tacita ma radicatissima che nessuno oserà mai mettere in discussione.

Per costoro potremmo senz’altro coniare la categoria dei minchioni illustri: il minchione illustre, soddisfatto della sua ascendenza, sente di non dover dare alcuna diretta dimostrazione del suo valore e delle sue qualità, sempre che ne sia fornito, perché ad illustrare la sua schiatta avranno già provveduto, coi sacrifici certificati dai ripetuti ed illustrati studi, il padre o il nonno, e nei casi più seri tutt’e due, e fors’anche, di rinforzo, uno zio, paterno o materno non importa, purché zio effettivo e non un amico di famiglia impropriamente chiamato zio. Ove la minchionaggine attinga il grado più elevato, il minchione illustre giunge a giocare la carta dell’equivoco, lasciando l’interlocutore nel dubbio di aver avuto a che fare non col discendente minchione, bensì con l’ascendente illustre. Ma è quindi proprio lei il tale, esclama l’interlocutore con sorpresa ed ammirazione, e il giovane minchione, pavoneggiandosi gongolante, sussurra: eh già!, è il mio nome a parlar chiaro. Solo a distanza di qualche tempo l’interlocutore in buona fede realizzerà che il minchione illustre non poteva aver pubblicato un manuale all’età di due anni, o addirittura ancor prima di nascere, ma oramai la prima impressione ci sarà stata, e la prima impressione è sempre quella che conta.

Il minchione illustre è sempre richiestissimo quando si tratti di comporre un importante collegio di difesa in cui, a chi contribuisce col lavoro, debba affiancarsi l’opera muta di chi contribuirà col nome illustre. A un certo punto dello studio di un’importante causa c’è sempre qualcuno che dice: qui, per finire, ci vorrebbe un nome illustre nel collegio di difesa. Ci sarebbe il tale, suggerisce uno che può metterci, oltre al suo lavoro, soltanto il nome non illustre. Ma quello lì è un minchione, qualcun altro obietta, nella disperata ricerca dell’illustre di rimbalzo che non sia anche un minchione, caccia a dir poco disperata. Meglio, così ci farà lavorare in pace, rintuzza l’altro. Ma ciò dipenderà anche dal tipo di minchionaggine di cui soffre l’illustre di rimbalzo, esistendone di vari gradi: c’è anche il minchione che, non accontentandosi di apporre il proprio nome illustre, pretenderà anche che gli si spieghi di che si tratta, facendo perdere del tempo prezioso magari a ridosso dello spirare d’un termine decadenziale. Ragion per cui l’illustre, se il suo compito è soltanto rappresentativo, meglio che sia il minchione precipitato all’ennesima potenza: quello, cioè, che non chiede neppure di che si tratti, perché già sa che avrebbe difficoltà a comprenderlo, e appone quindi l’inconsapevole firma sugli atti processuali tutto contento solo di poter anteporre, a quello degli altri che avranno lavorato, il suo nome così illustre.

Non posso terminare questa breve relazione senza almeno accennare, per quanto brevemente, a un’altra categoria ampiamente rappresentata di minchioni: il giurista minchione anglofilo. Detto giurista è persona che intervalla, quasi ad ogni frase, qualche motto d’inglese, convinto di farsi così capire meglio o, almeno, di fare migliore impressione. Una conversazione o battuta riservata, a margine di una riunione ufficiale, è sempre off the record (secondo alcuni records, non essendosi mai chiarita la regola sull’utilizzo del plurale pei vocaboli stranieri); una clausola vincolante è binding; un credito litigioso è un claim; una comunicazione è un report; una situazione in evoluzione è sempre in progress; un appunto sintetico è un draft; i danni sono damages, non si scappa; una conferenza telefonica a più voci è

 

una conference call o anche, confidenzialmente, solo conference; una prova è detta evidence; la parcella è più elegantemente definita fee; una situazione che procede per gradi va ovviamente seguita step by step; una situazione di pericoloso andirivieni è definita stop-and-go. Gli esempi potrebbero continuare. Il latinorum sette-ottocentesco è stato sostituito dal giuridichese inglese, con analoghi risultati. Capita di chiamare un avvocato italiano in Italia, e la segretaria è un’inglese che risponde solo in inglese. La carta intestata dello studio legale, con sede a Roma o Milano, meglio se tutt’e due, è rigorosamente in inglese; soltanto i nomi propri non vengono tradotti (Pietro Galli non diventerà, fortunatamente, Peter Cocks), ma tutto il resto nasce in inglese e, se del caso, verrà tradotto da un madrelingua, storpiato, in italiano. Addirittura giungono a dirti: se proprio non vuoi esprimerti, cerca almeno di pensare in inglese.

Per questa particolarissima categoria di minchioni si deve parlare di anglominchioni, o minchinglesi, o ancora britishminchions (forse più propriamente, dato il contesto). Categoria in fortissima espansione.

Altre specie potrebbero individuarsi, ma il rischio sarebbe quello del riferimento personale trasparente, sempre dietro l’angolo in questi delicati casi. Già in base alle poche informazioni che abbiamo fornito, un congruo numero di giuristi dubiteranno di essere dei minchioni, ed un congruo numero di quelli che avranno dubitato, prescindendo da come risolveranno in scienza e coscienza il loro dubbio nel loro foro interno, minchioni lo saranno certamente. È bene non esagerare coi dettagli: i minchioni hanno quasi sempre un pessimo carattere. E poi, quando si parla di persone, i riferimenti personali sono sempre piuttosto sconvenienti.

Perché esistono i giuristi minchioni? Ma è semplice: per assicurare una rappresentanza alla categoria professionale alla quale appartengono. I minchioni si candidano sempre come rappresentanti di un gruppo, come esponenti di una professione, come i migliori della loro generazione. Pensano che sia giusto, nell’interesse obbiettivo di tutti. Dalle edicole si catapultano nelle segreterie dei partiti, e rischiano di darsi alla vita politica d’un colpo. Un colpo d’ala, che li porta subito in alto. Il giurista minchione è infatti sempre attratto dalla politica, e sogna in cuor suo di diventare ministro. Ministro di che? Ministro, il resto si vedrà.

Abbiamo avuto, nella nostra storia, giuristi minchioni diventati ministri, o almeno sottosegretari?

Certamente no, dobbiamo rispondere. I giuristi minchioni sono infatti non soltanto molto suscettibili, ma anche molto vendicativi.

E non puoi evitarli facilmente: dovete infatti sapere, al termine di questo breve discorso, che il genere è molto più diffuso di quanto possiate mai credere.

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