martedì, Maggio 7, 2024
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MUTUO IPOTECARIO: Giurisprudenza in movimento

La contestazione delle clausole di un mutuo e la difesa rispetto a
decreti ingiuntivi e procedure esecutive promosse da Istituti di
Credito in caso di inadempimento del cliente mutuatario si basano,
essenzialmente, su alcune fondamentali questioni che impegnano, con
sempre maggiore frequenza, i giudici di merito.

In primo luogo, è
ampiamente discussa la modalità di verifica dell\’eventuale usurarietà
dei tassi di interesse corrispettivi e di mora che sono stati pattuiti
nel contratto. Inoltre, si dibatte in merito alla illegittimità del
sistema di ammortamento alla francese. Non mancano, poi, casi in cui si
rileva la indeterminatezza e/o indeterminabilità dell\’oggetto del
contratto per effetto dell\’equivoca pattuizione degli interessi. Né va
dimenticata la questione relativa al superamento dei limiti di
finanziabilità.

La giurisprudenza di merito più recente ha preso posizione su ciascuna di tali problematiche.

Con riferimento alla verifica dell\’usurarietà dei tassi è noto che, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n.350
del 2013, si è diffusa la tesi secondo la quale, nel caso in cui la
semplice somma aritmetica degli interessi corrispettivi e di mora
pattuiti, superi la soglia fissata dai decreti ministeriali, le relative
clausole sarebbero nulle e il cliente sarebbe tenuto a restituire alla
banca, solo il capitale.

La giurisprudenza di merito
prevalente, finora, non sembra sia orientata a condividere tale
interpretazione della sentenza n.350. Infatti, fatta salva un\’ordinanza
del Tribunale di Rovereto del 30 dicembre 2013 e una sentenza del
Giudice di Pace di Domodossola del 2 maggio 2014, non risulta che ci
siano stati altri provvedimenti che abbiano confermato la correttezza
del metodo della somma aritmetica degli interessi corrispettivi e di
quelli di mora ai fini della verifica dell\’usurarietà. Peraltro, i
provvedimenti appena citati non argomentano l\’opzione a favore del
metodo della somma aritmetica, limitandosi a rinviare a quanto
stabilito dalla citata sentenza della Corte di Cassazione.

Sono,
invece, più numerosi i provvedimenti nei quali diversi giudici di
merito hanno esaminato criticamente la sentenza n.350 sostenendo che, in
realtà, essa non avrebbe sancito un principio di diritto innovativo ma
si sarebbe limitata a ribadire la necessità di sottoporre a verifica di
usurarietà, non solo gli interessi corrispettivi, ma anche quelli di
mora pattuiti nel contratto.

In particolare, sul punto si sono
pronunciati il Tribunale di Milano (ordinanze del 28 gennaio 2014 e del
22 maggio 2014), il Tribunale di Napoli ( ordinanze del 28 gennaio 2014
e del 15 aprile 2014, sentenza dell\’11 maggio 2014), il Tribunale di
Brescia (ordinanza del 16 gennaio 2014), il Tribunale di Trani
(ordinanza del 10 marzo 2014), Il Tribunale di Verona (sentenza del 30
aprile 2014 con ampia e dettagliata motivazione) e il Tribunale di
Treviso (ordinanza dell\’11 aprile 2014).

Secondo i citati
provvedimenti, la somma aritmetica dei tassi corrispettivi e di mora non
è praticabile, attesa la diversa natura giuridica delle due tipologie
di interessi. L\’unica ipotesi in cui tale sommatoria può configurarsi ai
fini della verifica dell\’usurarietà del mutuo è quella in cui, in caso
di inadempimento, l\’istituto di credito calcoli il tasso di mora
sull\’intera rata scaduta, costituita da capitale ed interessi
corrispettivi. In tal caso, peraltro, potrebbe configurarsi anche un
fenomeno anatocistico che, però, in base alla delibera CICR del 2000, è
legittimo se espressamente previsto con apposita clausola (in tal
senso si veda, per tutte, la sentenza della Corte di Cassazione Sezione I
n. 11400 del 22 maggio 2014).

Escludendo la possibilità che si
addivenga alla sommatoria degli interessi corrispettivi e di mora, il
Tribunale di Padova con ordinanza dell\’ 08.05.2014 ha sostenuto che
quando i soli interessi di mora,
separatamente considerati rispetto a quelli corrispettivi, al momento
della pattuizione superano il tasso soglia, non sono dovuti e la loro
usurarietà rende indebiti anche gli interessi corrispettivi non usurari,
in virtù della ratio punitiva della disciplina antiusura.




In altri termini, basterebbe l\’accertamento dell\’usurarietà dei soli interessi di mora pattuiti nel contratto per fare in modo che il cliente mutuatario sia tenuto a restituire esclusivamente il capitale.

Altri
provvedimenti di merito, invece, (Tribunale di Milano ordinanza del 28
gennaio 2014; Tribunale di Trani, ordinanza del 10 marzo 201 e
Tribunale di Napoli ordinanza del 28 gennaio 2014), escludono tale
possibilità e sostengono che, qualora il solo tasso di mora pattuito nel
contratto si rivelarsi usurario, sono comunque dovuti gli interessi
corrispettivi.

Infine, alcuni provvedimenti hanno precisato che
è da escludere a priori l\’usurarietà degli interessi di mora laddove
il contratto preveda una clausola di salvaguardia con la quale, cioè, è
stabilito che essi saranno sempre adeguati al limite della soglia.
(Tribunale di Napoli ordinanze dell\’ 8 gennaio 2014 e del 04 giugno
2014).

Ad ogni modo, non si può ignorare che manca un parametro
di riferimento validamente utilizzabile per la verifica dell\’usurarietà.
Infatti, attualmente, nella determinazione del tasso soglia, in base
alle istruzioni della Banca d\’Italia, non si tiene conto del tasso di
mora.

Come si è detto, un\’altra questione sottoposta ai giudici di merito con riferimento ai mutui è costituita dalla presunta illegittimità del sistema di ammortamento alla francese che produrrebbe anatocismo. Ebbene, a tal proposito va rilevato che
l\’orientamento già espresso dal Tribunale di Benevento con sentenza
n.1936 del 19 novembre 2012 e da quello di Milano con sentenza del 30
ottobre 2013, è stato recentemente confermato dal Tribunale di Pescara
con sentenza del 10 aprile 2014 e da quello di Treviso con sentenza
dell\’ 11 aprile 2014, già citata con riferimento alla questione
dell\’usurarietà. Peraltro, il Tribunale di Milano, con sentenza del 05
maggio 2014, rinviando alle risultanze della perizia e ricostruendo l\’iter argomentativo del consulente, ha escluso nuovamente che
nell\’ammortamento alla francese sia insito il fenomeno anatocistico e
che esso sia, di per sé, illegittimo.

Il Tribunale di Milano con sentenza del 30 ottobre del 2013, poi, ha affrontato un caso in cui l\’oggetto del contratto di mutuo risultava indeterminato e/o indeterminabile a
causa della oggettiva equivocità della clausola con cui era
disciplinata la modalità di determinazione degli interessi corrispettivi
a tasso variabile. In base a tale sentenza il contratto di mutuo
formulato in modo tale da non consentire una univoca ricostruzione del
piano di ammortamento e delle modalità di determinazione del tasso di
interessi (ciò accade soprattutto nei mutui a tasso variabile dove,
peraltro, il piano di ammortamento allegato è puramente orientativo), è
nullo ai sensi dell\’art.1419 c.c. e trova applicazione il tasso legale
ai sensi dell\’art.1284 c.c..

Con riferimento specifico
al credito fondiario, che è definito dall\’art.38 I comma del Testo
Unico in materia Bancaria (TUB) come l\’operazione avente ad oggetto la “concessione, da parte di banche, di finanziamenti a medio e lungo termine garantiti da ipoteca di primo grado su immobili” si pone il problema del superamento del limite di finanziabilità che la Banca d\’Italia, in conformità delle deliberazioni del CICR, ha
determinato in rapporto al valore dei beni ipotecati o al costo delle
opere da realizzare sugli stessi. L\’attuale limite massimo di
finanziabilità è fissato dalla delibera del CICR del 22 aprile 1995 (e
dalle conseguenti istruzioni applicative di Banca d\’Italia) nell\’80% del
valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da eseguire sui beni
medesimi. E\’ prevista anche la possibilità di elevare tale percentuale
al 100% attraverso il rilascio di garanzie integrative.

L\’importo
finanziato, dunque, in linea generale, non deve superare il limite
dell\’80% del valore dei beni ipotecati o del costo delle opere da
eseguire su di essi.

Il valore dei beni ipotecati e, quindi, del credito ipotecario, in base alla Direttiva 2000/12/CE è “determinato da
un perito in base ad un prudente apprezzamento della futura
negoziabilità dell\’immobile stesso tenendo conto degli aspetti durevoli a
lungo termine dell\’immobile, delle condizioni normali e locali del
mercato, dell\’uso corrente dell\’immobile e dei suoi appropriati usi
alternativi
” Accade, tuttavia, che il perito incaricato dalla
Banca non sempre si ponga nell\’ottica prudenziale richiesta dalla
Direttiva europea, sovrastimando l\’immobile ipotecato o il costo delle
opere da realizzare e determinando un valore del credito ipotecario
superiore a quello effettivo. Pertanto, in tali casi, l\’importo
finanziato finisce col superare l\’80% del valore dei beni ipotecati o
delle opere da realizzare.

Gli effetti del superamento del
limite di finanziabilità non sono pacifici. Infatti, il Tribunale di
Venezia, con sentenza del 26 luglio 2012, ha mostrato di condividere
quanto statuito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 9219 del 1°
settembre 1995, e ha statuito che, qualora attraverso apposita stima
si dimostri l\’avvenuto superamento del limite di finanziabilità, il
mutuo è nullo ai sensi dell\’art.1418 c.c. per violazione di norma
imperativa, essendo la disciplina del credito fondiario, posta a tutela,
non solo degli interessi del ceto bancario, ma anche dell\’interesse al
corretto funzionamento del sistema bancario e, di conseguenza, al
regolare andamento dell\’economia. Secondo la sentenza in esame, quindi,
la determinazione dell\’importo massimo finanziabile attiene alla
struttura del contratto di credito fondiario.

Tuttavia, la Corte
di Cassazione con sentenza n. 26672 del 28 novembre 2013 ha respinto
tale ricostruzione affermando che dalla violazione del limite di
finanziabilità pari all\’80% del valore dell\’immobile, non possa
discendere la nullità del contratto di mutuo fondiario.
La Corte,
infatti, ha rilevato che non si può configurare un\’ipotesi di nullità
per contrarietà del contratto a norme imperative in difetto di espressa
previsione, posto che la disposizione imperativa non incide sul
sinallagma contrattuale ma investe esclusivamente il comportamento della
banca tenuta ad attenersi al limite prudenziale stabilito dall\’art 38,
comma secondo, del TUB e dalla circolare del CICR del 1995. Il
superamento del limite, dunque, comporterebbe solo la violazione di
norme di buona condotta e l\’irrogazione delle sanzioni previste
dall\’ordinamento bancario, senza ingenerare una causa di nullità,
parziale o meno, del contratto di mutuo.

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