sabato, Maggio 18, 2024
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DECRETO 231/01: La “territorialità”, quale importante requisito per l’applicazione della responsabilità da reato

L’articolo 4 del decreto 231 parla dei reati commessi in
territorio estero. In proposito prevede che, gli enti aventi la sede principale
nel territorio dello Stato rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero
nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7 e 10 del codice penale, a
condizione che nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo dove sia stato commesso il fatto illecito.

Pertanto, l’ente è perseguibile quando:

– In Italia
ha la sede principale, cioè la sede effettiva dove si svolgono le attività
amministrative e di direzione, eventualmente anche diversa da quella in cui si
trova l’azienda e la sede legale (enti dotati di personalità giuridica), ovvero
il luogo in cui viene svolta l’attività in modo continuativo (enti privi di
personalità giuridica);

– Nei confronti
dell’ente non sta procedendo lo Stato del luogo in cui è stato commesso il
fatto;

– La richiesta
del Ministro della Giustizia, cui sa eventualmente subordinata la punibilità, è
riferita anche all’ente medesimo.

Tali regole riguardano i reati commessi interamnete all’estero
da soggetti apicali o sottoposti.

Quanto all’ambito di applicazione della disposizione in
esame, è soggetto alla normativa italiana, quindi anche al decreto 231 – ogni ente
costituito all’estero in base alle disposizioni della propria legislazione domestica
che abbia, però, in Italia la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale.

Ne deriva il problema del riconoscimento da parte dell’ordinamento
italiano dell’efficacia esimente dei modelli organizzativi adottati in base a
leggi straniere. Tali modelli potranno ritenersi idonei a spiegare efficacia
esimente laddove rispondano ai requisiti previsti dal decreto 231 e risultino
efficacemente attuati (con particolare riferimento all’ipotesi di società
controllate con sede all’estero).

Infine, bisogna dare atto che la legge 146 del 2006, che
ha ratificato la Convenzione ed i Protocolli delle Nazioni Unite contro il
crimine organizzato transazionale, adottati dall’Assemblea generale del 15
novembre 2000 ed il 31 maggio 2001, ha previsto all’articolo 10 la
responsabilità degli enti per alcuni reati aventi carattere transazionale,
quali ad esempio associazione per delinquere anche di tipo mafioso,
associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, traffico di migranti.

Ai fini della qualificabilità di una fattispecie
criminosa come “reato transazionale”, è
necessaria la sussistenza delle condizioni indicate dal legislatore. In
particolare:

1. Nella
realizzazione della fattispecie, deve essere coinvolto un gruppo criminale
organizzato;

2. Il fatto
deve essere punito con la sanzione non inferiore nel massimo a 4 anni di reclusione;

3. È necessario
che la condotta illecita sia, alternativamente:

– Commessa
in più di uno Stato;

– Commessa
in uno Stato ma abbia effetti sostanziali in un altro Stato;

– Commessa
in un solo Stato, sebbene una parte sostanziale sella sua preparazione o
pianificazione o direzione e controllo debbano avvenire in un altro Stato;

– Commessa
in uno Stato, ma in essa sia coinvolto un gruppo criminale organizzato
protagonista di attività criminali in più di uno Stato.

Fonte:
Linee Guida Confindustria – Edizione 2014

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