venerdì, Maggio 17, 2024
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CASSAZIONE: Possibilità di leggere in dibattimento le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti




Facciata del palazzo della cassazione

Con la sentenza n. 53415/2014 la Corte di Cassazione ha sostenuto
l\’utilizzabilità in dibattimento delle dichiarazioni delle persone
informate sui fatti qualora, sussistendo fondato motivo per ritenere
tali dichiarazioni irripetibili, il pubblico ministero

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abbia richiesto l\’incidente probatorio al fine di cristallizzare le dichiarazioni stesse, poichè “in caso di
impossibilità di assumere le dichiarazioni in incidente probatorio per
impossibilità di reperire il testimone, verrà certificata per tabulas una situazione di impossibilità sopravvenuta di ripetizione,
legittimante, vista la diligente e tempestiva attivazione
dell\’inquirente, la lettura delle dichiarazioni assunte in indagini”.


Nel caso di specie, i difensori dell\’imputato, condannato in appello in sede di rinvio, ricorrevano per Cassazione contestando l\’acquisizione in secondo grado delle dichiarazioni della persona offesa, poiché la mancata compiuta identificazione della stessa ne pregiudicava il giudizio di credibilità soggettiva.





Le
censure mosse riguardavano, in particolare, l\’inutilizzabilità delle
medesime dichiarazioni stante, in primo luogo, la prevedibile
impossibilità dell\’audizione dibattimentale quale conseguenza dell\’irreperibilità manifestatasi subito dopo i fatti,
in secondo luogo, la volontaria sottrazione all\’esame dello stesso
soggetto imputato in procedimento connesso in assenza di riscontri
estrinseci.

La Suprema Corte, accogliendo il ricorso sotto questo profilo, ha rilevato che le dichiarazioni potevano essere utilizzate contra alios, atteso che, al momento in cui veniva sentita, la persona offesa non
aveva ancora assunto la veste di persona sottoposta ad indagini, ma che
il giudice d\’appello avrebbe comunque dovuto verificare, in base alle
circostanze fattuali, se l\’impossibilità della ripetizione in fase di
dibattimento fosse realmente imprevedibile.


Ad avviso
della Corte, l\’irreperibilità non può essere unicamente dedotta dalla
circostanza che il dichiarante sia cittadino extracomunitario privo di
permesso di soggiorno ma “essendo estremamente probabile, se non certa,
la futura impossibilità di reperimento, costituisce diritto-dovere per
il P.M. procedente di richiedere l\’incidente probatorio (Cass. Sez. 6,
n. 14550 del 30/01/2004, Danesi, Rv. 229241)”.

Fonte: Cassazione: possibilità di leggere in dibattimento le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti
(www.StudioCataldi.it)

SENTENZA INTEGRALE

Cassazione Penale, sentenza 22 dicembre 2014, n. 53415

Fatto

1.
Con sentenza dell’8 marzo 2013, giudicando a seguito di annullamento
con rinvio disposto con sentenza del 22 maggio 2009 da questa Corte di
cassazione, in riforma della sentenza assolutoria del 6 giugno 2006 del
Gup di Santa Maria Capua Vetere, la Corte d’appello di Napoli ha
condannato S.G. e L.G.F. in ordine ai reati di cui agli artt. 110,
56-629 cod. pen. (capo A) e artt. 110, 628, commi 1 e 2, cod. pen. (capo
B), commessi in danno di Si.Sa. , in data (omissis) .
In via
preliminare, il giudice di secondo grado ha chiarito che, nel giudizio
di rinvio, non possono essere dedotte nullità verificatesi nel
precedente giudizio, nella specie quella realizzatasi dinanzi alla Corte
di cassazione per omesso avviso della udienza innanzi alla stessa Corte
al difensore Avv. Sorge (essendo stato erroneamente avvisato l’Avv.
Cammuso, revocato già nel 2004).
Nel merito, il giudice
d’appello ha rilevato che le dichiarazioni rese dalla persona offesa
Si.Sa. , acquisite ai sensi dell’art. 512 cod. proc. pen. (alla luce del
principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella sentenza
del 22 maggio 2009), sono pienamente utilizzabili in quanto
soggettivamente credibili, intrinsecamente attendibili nonché confermate
da diverse emergenze probatorie, in particolare dalle dichiarazioni
rese dai testi di P.G. I.D. e M.L. ; che, sulla scorta delle
dichiarazioni della persona offesa, si devono ritenere integrati tanto
il delitto di tentata estorsione, sussistendo l’ingiustizia del profitto
anche se la violenza e minaccia sia usata dall’agente per ottenere
l’adempimento di un’obbligazione naturale non azionabile davanti al
giudice, quanto il reato di rapina, aggravato dalla circostanza delle
più persone riunite. La Corte territoriale, ritenuta sussistente la
recidiva contestata a S. , ha quindi determinato la pena nei confronti
di S. nella misura di anni cinque mesi nove di reclusione e 2000 Euro di
multa e di L. nella misura di anni cinque mesi sei di reclusione e 1800
Euro di multa.
2. Avverso il provvedimento hanno presentato
ricorso gli Avv.ti Giovanni Aricò e Alfredo Sorge, difensori di fiducia
di S.G. e di L.G.F. , chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.
2.1.
Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 178, 179, 180 e 185, 612, 613 e 614 cod. proc. pen.
nonché all’art. 14 delle Preleggi, per avere la Corte d’appello
respinto l’eccezione preliminare di nullità della sentenza della Corte
di cassazione per omesso avviso della udienza del 22 maggio 2009 al
difensore Avv. Alfredo Sorge, essendo stato avvisato l’avv. Camusso,
revocato già dal 2004; contrariamente a quanto argomentato dalla Corte
d’appello, nella specie non può trovare applicazione in via analogica il
divieto previsto dall’articolo 627, comma 4, cod. proc. pen. in quanto
trattasi di analogia in malam partem, sicché si impone una lettura
costituzionalmente orientata nel senso di ritenere che le nullità
realizzatesi nel giudizio di cassazione siano deducibili entro la
pronuncia della sentenza nel successivo giudizio di rinvio, dovendo
altrimenti essere sollevata questione di legittimità costituzionale
della medesima norma per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..
2.2.
Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 178, 179, 180 e 185, 601 e 602 cod. proc. pen., per
avere la Corte d’appello dichiarato la contumacia degli imputati
nonostante manchi la prova della notifica del decreto al domicilio
determinato a norma del comma 2 dell’art. 161 del codice di rito.
2.3.
Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 129, 61, 63, 66, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 392,
512, 526, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen. e 6 CEDU, per
avere la Corte territoriale utilizzato a sostegno della decisione di
condanna le dichiarazioni rese da Si.Sa. , soggetto non compiutamente
identificato rispetto al quale non può esprimersi un valido giudizio di
credibilità soggettiva; per avere il giudice d’appello ritenuto
acquisibili le dichiarazioni del medesimo ai sensi dell’art. 512 codice
di rito nonostante l’impossibilità della sua audizione dibattimentale
fosse prevedibile, dal momento che egli si era reso irreperibile subito
dopo i fatti; per avere la Corte utilizzato le dichiarazioni di soggetto
che si era volontariamente sottratto all’esame dibattimentale, imputato
in procedimento connesso (avendo egli commesso il reato di
contrabbando), le cui dichiarazioni non avrebbero pertanto potuto essere
utilizzate non solo contra se, ma anche contra alios, e stante la
mancanza di riscontri esterni.
2.4. Violazione di legge penale
e processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191,
192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen.,
artt. 157, 647 e 624 cod. pen., per avere la Corte d’appello qualificato
il fatto anziché come rapina come appropriazione di cosa smarrita o
come furto.
2.5. Violazione di legge penale e processuale e
vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196,
197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen., artt. 56-610
cod. pen., per avere la Corte d’appello qualificato il fatto anziché
come estorsione come violenza privata tentata.
2.6. Violazione
di legge penale e processuale e vizio di motivazione in relazione agli
artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628
cod. proc. pen., per avere la Corte d’appello omesso di dichiarare,
previa esclusione della circostanza aggravante ex art. 628, comma 2,
cod. pen., la prescrizione di entrambe le contestazioni.
2.7.
Violazione di legge penale e processuale e vizio di motivazione in
relazione agli artt. 129, 191, 192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544,
546, 627, 628 cod. proc. pen. e artt. 62-bis e 62 n. 4 cod. pen., per
avere la Corte d’appello escluso l’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche e della circostanza attenuante della lieve entità
del danno patrimoniale.
2.8. Violazione di legge penale e
processuale e vizio di motivazione in relazione agli artt. 129, 191,
192, 194, 196, 197, 349, 530, 533, 544, 546, 627, 628 cod. proc. pen. e
art. 133 cod. pen., per avere la Corte d’appello applicato la pena non
sui minimi edittali.
3. In udienza, il Procuratore generale
Dott. Aldo Policastro ha chiesto che il ricorso sia rigettato. Gli
Avv.ti Giovanni Aricò e Alfredo Sorge, nell’interesse degli imputati,
hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

1.
Il ricorso è fondato con riguardo al terzo motivo di ricorso, ragione
per la quale la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla
Corte d’appello di Napoli per un nuovo giudizio.
2. Con il
primo motivo i ricorrenti si dolgono che la Corte d’appello, nel
rigettare l’eccezione preliminare di nullità della sentenza della Corte
di cassazione del 22 maggio 2009 per omesso avviso dell’udienza al
difensore dell’imputato (essendo stato avvisato l’avv. Camusso, revocato
già dal 2004, e non il difensore di fiducia Avv. Alfredo Sorge), abbia
applicato in via analogica, e dunque in malam partem, il divieto
previsto dall’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., evidenziando che,
secondo una lettura costituzionalmente orientata della norma, le nullità
realizzatesi nel giudizio di cassazione devono potersi ritenersi
deducibili entro la pronuncia della sentenza nel successivo giudizio di
rinvio; in via subordinata, i ricorrenti hanno sollecitato questa Corte a
sollevare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 627,
comma 4, cod. proc. pen., per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost..
3.1. Il motivo è infondato.
Secondo
il chiaro disposto della norma di cui all’art. 627, comma 4, del codice
di rito, “non possono proporsi nel giudizio di rinvio nullità, anche
assolute, o inammissibilità, verificatesi nei precedenti giudizi o nel
corso delle indagini preliminari”. Ne discende che nel giudizio di
rinvio non possono essere dedotte dalle parti né rilevate d’ufficio per
la prima volta cause di inutilizzabilità o di nullità concernenti atti
formati nelle fasi anteriori del procedimento, atteso che la sentenza
della Corte di cassazione, da cui origina il giudizio stesso, determina
una preclusione con riguardo a tutte le questioni non attinte dalla
decisione di annullamento (ex plurimis Cass. Sez. 6, n. 47564 del
14/11/2013, Tuccillo, Rv. 257470; Sez. 5, n.4115 del 09/12/2009, El
Hallal Rv. 246099).
Sulla scorta della delineata regula iuris
non è dunque revocabile in dubbio che, nel giudizio di rinvio, non siano
deducibili vizi che siano incorsi nei precedenti giudizi, neanche
allorché essi riguardino il giudizio celebrato innanzi alla Suprema
Corte, come appunto nel caso in oggetto.
Giusta il chiaro
disposto dell’art. 627, comma 4, nel giudizio d’appello celebrato
innanzi alla Corte partenopea non era pertanto deducibile, in quanto
processualmente preclusa, la nullità della notifica dell’avviso di
fissazione della udienza del 22 maggio 2009 celebrata innanzi a questa
Suprema Corte e del tutto correttamente il giudice a quo si è
pronunciato in tale senso sull’eccezione.
3.2. Né, come
propone il ricorrente, sarebbe possibile un’interpretazione della norma
nel senso di ritenere ammissibile la deduzione nel giudizio di rinvio
dei vizi occorsi nella fase celebrata innanzi alla Corte di cassazione.
Ed
invero, il dettato normativo – avuto riguardo al senso fatto palese dal
significato proprio delle parole usate secondo la connessione di esse
(in ossequio al disposto dell’art. 12 delle Preleggi) -, è netto nel
precludere la deduzione di qualunque nullità o inammissibilità
verificatasi “nei precedenti giudizi”, con ciò segnando un limite
invalicabile fra il giudizio di rinvio e tutte le fase processuali ad
esso precedenti.
D’altra parte, la preclusione scolpita
nell’art. 627, comma 4, costituisce naturale corollario della
inoppugnabilità delle sentenze della Corte di cassazione, che – salvo
non contengano errori materiali o di fatto emendabili con il mezzo
straordinario di cui all’art. 625-bis cod. proc. pen. – coprono il
dedotto ed il deducibile e, quindi, anche l’implicita decisione negativa
in ordine all’esistenza di eventuali cause di nullità, di
inutilizzabilità o di inammissibilità.
Come ha osservato la
Corte Costituzionale nel dichiarare manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale dell’art. 627, comma 4, cod.
proc. pen., in riferimento agli artt. 3, primo comma, 24, primo e
secondo comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui impedisce di
rilevare nel giudizio di rinvio nullità, anche assolute, verificatesi
in precedenti fasi o gradi del giudizio, “la norma denunciata risulta
pienamente rispondente all’obiettivo di evitare la perpetuazione dei
giudizi che costituisce un interesse fondamentale dell’ordinamento e che
risponde alla logica che ispira il sistema delle impugnazioni ordinarie
rispetto alla quale è incompatibile un controllo del giudice del rinvio
circa la sussistenza o meno di vizi in procedendo nella fase del
giudizio svoltasi dinanzi alla Corte di cassazione”. Ed invero, “è
connaturale al sistema delle impugnazioni ordinarie che vi sia una
pronuncia terminale – identificabile positivamente in quella della
Cassazione per il ruolo di supremo giudice di legittimità ad essa
affidato dalla stessa Costituzione (art. 3, settimo comma) – la quale
definisca, nei limiti del giudicato, ogni questione dedotta o deducibile
al fine di dare certezza alle situazioni giuridiche controverse e che,
quindi, non sia suscettibile di ulteriore sindacato ad opera di un
giudice diverso” (C. Cost., ord. del 17/11/2000, n. 501). Nello stesso
senso si era, del resto, già pronunciato il giudice delle leggi nel
ritenere non fondata, con riferimento agli artt. 3, 24 e 101, comma
secondo, Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 384
cod. proc. civ., nella parte in cui prevede la soggezione del giudice
di rinvio al principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione
anche nell’ipotesi in cui una delle parti non abbia potuto, senza sua
colpa e contro la sua volontà, esercitare in alcun modo il proprio
diritto di difesa nella fase di legittimità. Al riguardo la Corte
Costituzionale ha difatti evidenziato che il principio della
definitività delle sentenze della Corte di Cassazione – preclusivo,
salvo i rimedi straordinari, dell’ulteriore riesame di ogni questione di
rito o di merito – è espressivo dell’esigenza di certezza circa i
rapporti giuridici controversi, costituzionalmente protetta in quanto
direttamente collegabile alla effettività del diritto alla tutela
giurisdizionale; che da tale inoppugnabilità consegue che il vincolo
derivante al giudice di rinvio dall’affermazione del principio di
diritto contenuto nella sentenza di cassazione non può essere rimosso,
in assenza della formale caducazione della sentenza medesima, a seguito
di un inammissibile controllo da parte dello stesso giudice di rinvio,
sulla sussistenza o meno di vizi “in procedendo” nella fase del giudizio
di legittimità; che, comunque, il vizio costituito da assoluta
violazione del principio del contraddittorio nel corso di tale giudizio –
ove non rimediabile attraverso lo strumento della revocazione ex art.
391 bis cod. proc. civ. – potrebbe essere rimosso soltanto attraverso la
previsione di idoneo mezzo straordinario di impugnazione che rientra
nelle attribuzioni discrezionali del legislatore (C. Cost. sent.
26/6/1996, n. 224).
3.3. In ogni caso, non vi sarebbe comunque
spazio per sollevare la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 627, comma 4, cod. proc. pen., come richiesto, in via
subordinata, dai ricorrenti.
Anche a prescindere dal
precedente dictum dei giudici della Consulta nel senso sopra ricordato,
la questione proposta si appalesa nel caso di specie non rilevante,
atteso che, anche a ritenere possibile la deduzione della nullità
verificatasi nel precedente grado di giudizio celebrato innanzi a questa
Corte per omessa notifica al difensore – a regime intermedio piuttosto
che assoluta poco rileva -, comunque la Corte d’appello, ammessa
l’eccezione e rilevatane la fondatezza, non potrebbe mai addivenire ad
una pronuncia di annullamento della sentenza della Corte di cassazione
con rinvio avanti alla stessa, non essendo tale iter processuale
percorribile nell’ambito del nostro ordinamento, giusta il principio di
tassatività dei mezzi di impugnazione e l’impossibilità di inquadrare un
giudizio di gravame siffatto negli schemi processuali tipici.
4. Il secondo motivo concernente il vizio di notifica gli imputati per l’udienza in appello è manifestamente infondato.
4.1.
In primo luogo, le doglianze svolte sul punto dal ricorrente si
appalesano generiche laddove non è dato di comprendere le ragioni per le
quali dovrebbe ritenersi viziata la notifica del decreto di citazione a
giudizio innanzi alla Corte d’appello compiuta al difensore ai sensi
dell’art. 161, comma 4, cod. proc. pen..
L’evidenziata
genericità delle censure riverbera di per sé in termini di
inammissibilità del ricorso, laddove i motivi di ricorso in cassazione
devono essere specifici e quindi, pur nella libertà della loro
formulazione, devono indicare con chiarezza le ragioni di fatto e di
diritto su cui si fondano le censure, al fine di delimitare con
precisione l’oggetto del gravame ed evitare, di conseguenza,
impugnazioni generiche o meramente dilatorie (Cass. Sez. 6, n. 1770 del
18/12/2012, P.G. in proc. Lombardo, Rv. 254204).
4.2. D’altra
parte, deve essere richiamato il principio più volte affermato da questa
Corte alla stregua del quale è inammissibile, per difetto di
specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deduca la
nullità della notifica di un atto in quanto effettuata presso il
difensore di fiducia, pur in assenza di rituale elezione di domicilio,
ove il ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato dalla
mancata conoscenza dell’atto stesso e dal non avvenuto esercizio del
diritto di difesa (Cass. Sez. 6, n. 8971 del 21/05/2013, Fanciullo Rv.
255629; Sez. 6, n. 34558 del 10/05/2012, P., Rv. 253276).
4.3.
Ad ogni buon conto, l’eventuale nullità della citazione risulta sanata
in quanto, per un verso, gli imputati non risultano avere subito alcun
concreto pregiudizio, avendo esercitato appieno, a mezzo del loro
patrocinatore, il diritto di difesa, per altro verso, l’eccezione non è
stata comunque dedotta nel giudizio d’appello.
Come questa
Corte ha avuto modo di chiarire anche a Sezioni Unite, è affetta da
nullità di ordine generale a regime intermedio la notificazione operata
con forme diverse da quelle previste, ove non appaia in astratto, o
risulti in concreto, inidonea a determinare la conoscenza effettiva
dell’atto da parte del destinatario e di esercitare il diritto di difesa
(Cass. Sez. 4, n. 6211 del 12/11/2009, Calcò, Rv. 246639; Cass. Sez. 2,
n. 35345 del 12/05/2010, Rummo Rv. 248401; Sez. U, n. 19602 del
27/03/2008, Micciullo Rv. 239396). Detta nullità di ordine generale a
regime intermedio deve ritenersi priva di effetti e quindi sanata se non
dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di
cui all’art. 184, comma primo, alle sanatorie generali di cui all’art.
183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai
termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc. pen. (Cass. Sez.
U, n. 19602 del 27/03/2008, Micciullo Rv. 239396).
L’eccepita
nullità si appalesa pertanto infondata atteso che, per un verso, la
notificazione compiuta al difensore era idonea a determinare l’effettiva
conoscenza dell’atto da parte dei ricorrenti, tenuto conto del rapporto
fiduciario tra difensore e imputati, e nulla essendo stato comunque
dedotto in contrario; per altro verso, il difensore comparso all’udienza
in appello non ha eccepito la nullità di notifica compiuta agli
appellanti presso il proprio studio.
5. Ritiene il Collegio
che la sentenza impugnata debba invece essere annullata per difetto di
motivazione in relazione al motivo con il quale si è contestata la
sussistenza dei presupposti per la lettura delle dichiarazioni della
persona offesa Si.Sa. , a norma dell’art. 512 cod. proc. pen., con
specifico riguardo all’aspetto della imprevedibilità della
irripetibilità delle dichiarazioni stesse.
5.1. Giova
rammentare che, con la sentenza del 22 maggio 2009 di annullamento della
decisione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere del 6 giugno 2006
(che aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona
offesa Si.Sa. per il loro carattere auto indiziante), questa Corte,
richiamata la propria costante giurisprudenza, ha affermato che dette
dichiarazioni potevano essere utilizzate contra alios, atteso che, al
momento in cui veniva sentito, Si. non aveva assunto la veste di persona
sottoposta ad indagini, dovendosi ancora accertare se il quantitativo
di tabacchi da egli detenuto per la vendita superasse o meno il limite
per cui è reato. Ne consegue che l’aspetto concernente la qualità
soggettiva del dichiarante quale persona offesa piuttosto che di
indagato/imputato in procedimento connesso risulta non più sindacabile
ai sensi dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen., in quanto oggetto
della decisione di questa Corte del 22 maggio 2009.
5.2. Ferma
l’insussistenza di alcuna preclusione all’acquisizione delle
dichiarazioni di Si.Sa. in considerazione della veste di indagato di
reato connesso originariamente prospettata dal Tribunale di Santa Maria
Capua Vetere, nondimeno il giudice d’appello, prima di procedere
all’acquisizione ex art. 512 del codice di rito delle dichiarazioni rese
da Si.Sa. , avrebbe dovuto verificare se, avuto riguardo alle
specifiche circostanze di fatto al momento in cui venivano raccolte le
dichiarazioni e venivano svolte le prime indagini, fosse realmente
imprevedibile da parte degli inquirenti l’impossibile ripetizione delle
dichiarazioni nella sede dibattimentale.
Ed invero,
l’utilizzazione, previa lettura, delle dichiarazioni predibattimentali
di un soggetto divenuto successivamente irreperibile, in funzione di
provare la colpevolezza dell’imputato presuppone, da parte del giudice,
un rigoroso accertamento sulla causa dell’irreperibilità, in modo da
escludere che essa dipenda dalla volontà di sottrarsi all’esame
dibattimentale (Cass. Sez. 6, n. 12374 del 11/02/2013, Tiani e altro,
Rv. 255390). Come questa Corte ha sancito a Sezioni Unite, ai fini
dell’operatività (art. 526, comma primo, bis cod. proc. pen.) del
divieto di provare la colpevolezza dell’imputato sulla base di
dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all’esame dell’imputato o del suo difensore,
non è necessaria la prova di una specifica volontà di sottrarsi al
contraddittorio, ma è sufficiente – in conformità ai principi
convenzionali (art. 6 CEDU) – la volontarietà dell’assenza del teste
determinata da una qualsiasi libera scelta, sempre che non vi siano
elementi esterni che escludano una sua libera determinazione (Cass. Sez.
U, n. 27918 del 25/11/2010, D. F., Rv. 250198).
5.3. D’altra
parte, se costituisce principio di diritto ormai consolidato quello
secondo il quale non può dirsi prevedibile l’irreperibilità in
dibattimento del soggetto dichiarante per il solo fatto che questi sia
un cittadino extracomunitario privo di permesso di soggiorno (ex
plurimis Cass. Sez. 2, n. 14850 del 4/3/2009, Del Gaudio Rv. 244055),
tuttavia, le circostanze di fatto sussistenti nel caso di specie, bene
evidenziate nell’atto d’appello (e riprodotte nelle pagine 11 e seguenti
del ricorso), avrebbero dovuto indurre la Corte territoriale a
verificare in modo approfondito se la sopravvenuta impossibilità di
ripetizione delle dichiarazioni di Sa.Sa. nella sede dibattimentale
fosse effettivamente imprevedibile in tale fase pre-processuale.
Ed
invero, come questa Corte ha avuto modo di chiarire, condizione
essenziale per la legittima lettura, ex art. 512 cod. proc. pen., delle
dichiarazioni rese nella fase delle indagini preliminari da persone
informate dei fatti è che la loro impossibilità di ripetizione sia
dovuta a fatti o circostanze imprevedibili (Cass. Sez. 6, n. 14550 del
30/01/2004, Danesi, Rv. 229241). L’imprevedibilità va valutata con
riferimento alle conoscenze di cui la stessa parte poteva disporre fino
alla scadenza del termine entro il quale avrebbe potuto chiedere
l’incidente probatorio (Cass. Sez. 3, n. 25110 del 13/02/2007, La Tela,
Rv. 236962).
in particolare, questo giudice di legittimità ha
ritenuto che, nel caso di dichiarazioni pre-dibattimentali rese da un
cittadina extracomunitario non in regola con il permesso di soggiorno,
che fornisca solo una residenza rivelatas, sin da subito inesistente,
essendo estremamente probabile, se non certa, la futura impossibilità di
reperimento, costituisce diritto-dovere per il P.M. procedente di
richiedere l’incidente probatorio (Cass. Sez. 6, n. 14550 del
30/01/2004, Danesi, Rv. 229241).
Allorché sussista un fondato
motivo per ritenere non ripetibili nel dibattimento le dichiarazioni di
una persona informata dei fatti, il pubblico ministero è dunque tenuto a
chiedere l’incidente probatorio allo scopo di cristallizzare le
dichiarazioni del teste, con la conseguenza che, in caso di
impossibilità di assumere le dichiarazioni in incidente probatorio per
impossibilità di reperire il testimone, verrà certificata per tabulas
una situazione di impossibilità sopravvenuta di ripetizione,
legittimante, vista la diligente e tempestiva attivazione
dell’inquirente, la lettura delle dichiarazioni assunte in indagini.
5.4.
Tirando le fila di quanto sopra, ritiene il Collegio che i giudici di
merito non abbiano adeguatamente motivato in ordine alla ragione per la
quale si possa ritenere che, al momento in cui il pubblico ministero era
ancora in tempo per chiedere l’esperimento dell’incidente probatorio,
fosse imprevedibile l’irreperibilità a dibattimento di un soggetto, come
Si.Sa. , del tutto privo di documenti, che aveva indicato un domicilio
di residenza risultato inesistente e si era reso irreperibile pochi
giorni dal fatto.
6. Gli ulteriori motivi sono assorbiti.

P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli per nuovo giudizio.


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