Quando
si tratta di una nuova costruzione, viene da sé che il tecnico alla fine dei
lavori richieda la prescritta agibilità. Spesso, negli interventi di
ristrutturazione parziali, ampliamenti miglioramenti, interventi plurimi nel
corso degli anni per manutenzione straordinarie, negli edifici rurali o
storici, non viene richiesta.
Gli
edifici invecchiano, cambiano le leggi, esistono nuovi parametri (vedi
l’energetica, l’impiantistica) ma a nessuno viene in mente di verificare se i
requisiti sussistono ancora.
C’è
un criterio oggettivo o qualche obbligo di legge per cui la domanda va presentata?
In quali casi è prescritta l’agibilità, oppure quando è facoltativo richiederla
(per esempio, negli affitti, mi pare, non esiste obbligo dell’agibilità)?
M. S.– TOLENTINO
R I S P O S T A
L’articolo
24 del Dpr 380/2001, Testo unico di
edilizia, prescrive l’obbligo dell’agibilità, non solo per le nuove
costruzioni, ma anche per gli interventi sul patrimonio edilizio esistente che
possano influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio
energetico dell’immobile e degli impianti nello stesso installati. E’
necessario, perciò, verificare se gli interventi eseguiti nel tempo, sia
singolarmente che nel loro complesso, siano stati tali da incidere in modo
sostanziale sulle suddette condizioni (ad esempio, frazionamenti, creazioni vani,
mutamenti destinazione d’uso) per cui è necessario richiedere una nuova
agibilità ed eventualmente procedere all’aggiornamento catastale.
Il
locatore deve garantire che l’immobile sia idoneo all’uso contrattualmente
previsto, per cui lo stesso deve essere dotato dell’agibilità e l’eventuale
assenza della stessa comporta una responsabilità per inadempimento in capo al
locatore, a meno che il conduttore non fosse a conoscenza della situazione e
l’avesse accettata consapevolmente (Cassazione civile, sezione III,
12286/2011).
DAL “IL SOLE 24 ORE” DEL5 SETTEMBRE 2016