domenica, Maggio 19, 2024
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LAVORO: Come impugnare il licenziamento

Fonte:
laleggepertutti.it

Giustificato motivo oggettivo o soggettivo, giusta causa: cosa sono e come
opporsi ad un licenziamento illegittimo? In quali tempi e con quali risultati?

===============

«Grazie, arrivederci».
«E’ stato un piacere». Magari tutti i rapporti di lavoro potessero risolversi
con queste due battute. Sappiamo che, purtroppo, non è così. I dati sulla
disoccupazione ci ricordano quante centinaia di migliaia di persone sono state sbattute
via dai loro datori di lavoro. Licenziate con o senza giusta causa.
E, uscite per l’ultima volta dalla porta dell’azienda, è facile che si
chiedano:come impugnare il
licenziamento? 
C’è,
sicuramente, una questione economica da risolvere, spesso se si ha una famiglia
alle spalle. Ma c’è anche una dignità da difendere, quando si è convinti che
non c’è una ragione per finire per strada.

Quando si decide di impugnare
un licenziamento
, la prima cosa da tenere in conto è la data
di assunzione
. I contratti siglati fino al 7
marzo 2015
, infatti, godono ancora dei benefici della legge
sulle norme sui licenziamenti individuali[1]e dell’articolo 18 dello Statuto
dei lavoratori 
[2], che tutela
i lavoratori licenziati in modo illegittimo, ai quali si è aggiunta la riforma
Fornero 
[3], che ha
modificato la procedura sulle cause di lavoro con cui si vuole impugnare un
licenziamento. I contratti stipulati, invece, dopo il 7 marzo 2015 sono
regolati dal cosiddetto Jobs Act del Governo Renzi[4].

I tipi di licenziamento da impugnare

La procedura
per il licenziamento per giustificato motivo oggettivo 
è stata
introdotta dalla riforma Fornero e riguarda la chiusura (forzata) di un
rapporto di lavoro per motivi economici dell’azienda: il posto di lavoro non
c’è più oppure la società non è più in grado di pagare quello stipendio.

Diverso il licenziamento
per giustificato motivo soggettivo
. In questo caso, la chiusura
del rapporto di lavoro avviene per un azione disciplinarmente rilevante
commessa dal lavoratore, ma non così grave da motivare un licenziamento per
giusta causa. Il giustificato motivo soggettivo comprende, ad esempio, lo
scarso rendimento o la negligenza del dipendente, la provocazione di una rissa
sul posto di lavoro, la minaccia verso un collega o un superiore.
 C’è, infine, il licenziamento per giusta causa.
Viene motivato da un’azione commessa dal dipendente di gravità tale da non
consentire una normale prosecuzione del rapporto di lavoro: insubordinazione,
sottrazione di beni dell’azienda, svolgimento di un’attività concorrenziale
rispetto a quella dell’azienda, ecc.

Come
impugnare il licenziamento per giustificato motivo oggettivo

Il primo passo per impugnare
il licenziamento per giustificato motivo oggettivo 
non si fa in Tribunale ma alla
Direzione Territoriale del Lavoro. La legge, infatti, ha imposto un tentativo
di conciliazione tra
le parti presso la Dtl quando il licenziamento viene fatto da
un’azienda con più di 15 dipendenti nella stessa unità produttiva o nell’ambito
comunale (5 dipendenti per le aziende agricole) o più di 60 dipendenti su scala
nazionale. La convocazione deve essere fatta entro 7 giorni dalla comunicazione
con cui l’azienda manifesta di voler licenziare il dipendente. La procedura
deve risolversi entro 20 giorni.

Davanti alla Direzione
Territoriale del Lavoro si arriva (possibilmente accompagnati da un avvocato) con
la lettera di licenziamento che, per essere in
regola
, deve riportare le motivazioni della volontà di recedere
dal contratto e un’eventuale misura di repechage, cioè di
ripescaggio all’interno dell’azienda, con un’altra mansione e un altro
stipendio. Se sulla lettera mancano queste indicazioni, il licenziamento non
sarà valido.
 Se il tentativo di conciliazione davanti alla Dtl va a buon fine, ci sono due
possibilità: che, come previsto dalla riforma Fornero,
il datore di lavoro revochi il licenziamento entro 15 giorni dalla data in cui
ha ricevuto l’impugnazione da parte del dipendente. In quel caso, è come se
nulla fosse successo: al lavoratore verrà pagata la retribuzione maturata e
tutto tornerà come prima. L’altra possibilità è che l’accordo preveda la
risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. In questo caso, il dipendente
avrà diritto al preavviso contemplato sul contratto nazionale in base
all’inquadramento più, eventualmente, le mensilità stabilite davanti ai
mediatori come risarcimento.

Se, invece, il tentativo
di conciliazione è nullo, cioè se non si trova un accordo dalle parti, il
dipendente può impugnare il licenziamento.

Come
impugnare il licenziamento?

Il dipendente
(eventualmente tramite il suo avvocato oppure tramite il sindacato a cui abbia
conferito il mandato) deve inviare al datore di lavoro una comunicazione
scritta entro 60 giorni dalla data in cui ha ricevuto la lettera di
licenziamento, in cui dia atto della sua intenzione di impugnare
il licenziamento 
stesso.

Inviata la comunicazione,
il lavoratore ha queste due opzioni:

procedere in
via amministrativa
, chiedendo al datore di lavoro un ulteriore
tentativo di conciliazione o arbitrato entro 180 giorni dalla data di
impugnazione. Se il datore di lavoro si rifiuta di sedersi di nuovo ad un
tavolo oppure le parti non trovano un accordo, il dipendente può procedere
all’impugnazione per via giudiziaria entro 60 giorni dalla data del rifiuto o
della mancata intesa;

·procedere in via
giudiziaria 
entro 180 giorni dalla data di impugnazione.

Quali sono
i passaggi dell’impugnazione per via giudiziaria?

Quando il dipendente
sceglie di impugnare il licenziamento per
via giudiziaria
, il giudice del Tribunale del Lavoro competente
cita le parti dopo avere letto le rispettive motivazioni e, di norma, inizia
con un tentativo di accordo. Se tale accordo non viene raggiunto, dopo un certo
numero di udienze, con l’eventuale audizione di testimoni di entrambe le parti,
il giudice emette un’ordinanza in cui dichiara legittimo o
illegittimo il licenziamento. La parte soccombente (cioè chi ha perso la causa)
può presentare opposizione all’ordinanza.
A questo punto, lo stesso giudice cita di nuovo le parti, ripropone un accordo
e, se di nuovo viene rifiutato, emette la sentenza. Qui
si concluderà il primo grado. Naturalmente, c’è, poi, la possibilità di
ricorrere in appello ed in Cassazione.

In quali
casi il giudice può dichiarare illegittimo il licenziamento?

Il giudice può decidere
di dichiarare illegittimo il licenziamento se:

·ci sono dei
motivi discriminatori alla base del provvedimento, compresi i casi in cui una
lavoratrice venga licenziata perché si è sposata o perché è rimasta incinta.
Dall’inizio della gravidanza fino all’anno di età del bambino, il licenziamento
è nullo;

·per un vizio
di forma (un licenziamento comunicato solo in forma verbale);

·il
licenziamento si basa su un motivo soggettivo.

In questi casi, il
datore di lavoro è condannato a reintegrare il dipendente nel suo posto di
lavoro e ad un risarcimento che consiste in:
 un’indennitàpari alle
mensilità maturate dal giorno del licenziamento a quello dell’effettivo
reintegro (in ogni caso non meno di cinque) sulla base dell’ultima retribuzione
globale di fatto. Vanno detratte le somme eventualmente percepite dal
dipendente se nel frattempo ha svolto altre attività (aliunde perceptum);

·il
versamento dei contributi previdenziali dal giorno del licenziamento a quello
dell’effettivo reintegro.

Il giudice può anche
ritenere che la motivazione del licenziamento sia carente o mancante o che le
procedure non siano state rispettate o, ancora, un difetto di giustificazione
da parte dell’azienda. In questi casi, il datore di lavoro viene condannato a
reintegrare il dipendente e al pagamento di un’indennità tra 6 e 12 mensilità,
comprese di contributi previdenziali e dedotto l’aliunde perceptum.

Può anche succedere che
il giudice dichiari illegittimo il licenziamento per mancata giustificazione
per sopraggiunta inidoneità fisica o psichica del lavoratore assunto
grazie alla legge sul collocamento dei disabili oppure per il mancato superamento
dei limiti temporali per la conservazione del posto di lavoro in caso di
malattia o infortunio. In questi casi, viene annullato il licenziamento ed il datore di lavoro deve
reintegrare il dipendente oltre a versargli un’indennità non superiore alle 12
mensilità comprese di contributi previdenziali e dedotto l’aliunde perceptum.

Che
succede se viene riconosciuta l’insussistenza del licenziamento per
giustificato motivo oggettivo?

L’insussistenza del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo può essere dichiarata in forma manifesta.
In questo caso, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di
lavoro a reintegrare il dipendente e a versargli un’indennità non superiore
alle 12 mensilità comprese di contributi previdenziali e dedotto l’aliunde perceptum.
Le mensilità possono arrivare a 24 se viene riscontrata l’inesistenza degli
estremi del giustificato motivo oggettivo.

Il
lavoratore è obbligato ad accettare il reintegro?

No. La legge consente al
lavoratore di rifiutare il reintegro entro 30 giorni dall’ordinanza del
giudice o dall’invito del datore di lavoro a rientrare in azienda. In questo
caso, gli verrà corrisposta un’indennità di 15 mensilità, oltre al risarcimento
già citato.

Come
impugnare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo

Impugnare il
licenziamento per giustificato motivo soggettivo comporta, come si diceva
all’inizio, guardare la data di assunzione ed il numero dei dipendenti
impegnati in azienda.

Come impugnare il licenziamento per giustificato motivo soggettivo se
sono stato assunto prima del 7 marzo 2015?

Come le procedure di
licenziamento per giustificato motivo oggettivo, anche quelle per giustificato
motivo soggettivo prevedono un tentativo di conciliazione.
Se questo tentativo va a vuoto, si parte con l’impugnazione giudiziaria.

Il licenziamento dei
lavoratori con contratto siglato prima del 7 marzo 2015(data in cui è entrato in vigore il Jobs
Act
) è regolato dall’articolo
18 dello Statuto dei lavoratori 
come
modificato dallariforma Forneroma anche da alcune leggi precedenti[6].

In caso di licenziamento
illegittimo 
del lavoratore di un’azienda con un massimo
di 15 dipendenti
, il datore di lavoro viene condannato al
reintegro entro tre giorni oppure ad un risarcimento tra 2,5 e 6 mensilità.

In caso di licenziamento
illegittimo 
del
lavoratore di un’azienda con più di 15 dipendenti,
ci sono queste ipotesi:

·che non ci
siano gli estremi del giustificato motivo soggettivo per insussistenza del
fatto contestato o perché quest’ultimo rientra tra le condotte punibili con una
sanzione conservativa. Il giudice condanna il datore di lavoro secondo il
criterio della tutela reale attenuata: reintegrazione e al pagamento di un indennizzo
fino a 12 mensilità sulla base della retribuzione globale di fatto più i
contributi previdenziali dalla data di licenziamento fino a quella del rientro
in azienda;

·che ci siano
altre ipotesi in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo
soggettivo. Il giudice condanna il datore di lavoro con il criterio della
tutela obbligatoria standard: indennità tra 12 e 24 mensilità sulla base della
retribuzione globale di fatto;

·che il
datore di lavoro non abbia rispettato la procedura sui licenziamenti
disciplinari
[7]. Il licenziamento viene dichiarato inefficace ed il
giudice condanna il datore di lavoro con il criterio della tutela obbligatoria
ridotta: risarcimento tra 6 e 12 mensilità sulla base della retribuzione
globale di fatto.

Che succede
se il mio contratto è stato firmato dopo il 7 marzo 2015?

Se si decide di impugnare
il licenziamento per giustificato motivo soggettivo 
e si lavora dal 7 marzo 2015 in
un’azienda con più di 15 dipendenti, il giudice può ordinare il reintegro solo se viene dimostrata direttamente
in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore.
Inoltre, il datore di lavoro deve risarcire il dipendente con le retribuzioni
maturate dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettivo reintegro
(non più di 12 in ogni caso). Ma, a differenza del licenziamento
per giustificato motivo oggettivo
, da questa indennità va
sottratta non solo la somma eventualmente percepita dal lavoratore in altre
attività svolte nel frattempo (l’aliunde
perceptum
) ma anche quella che il lavoratore avrebbe potuto
guadagnare se avesse accettato una congrua offerta di lavoro alternativa.

Se, invece, non viene
direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale
contestato al lavoratore ma il licenziamento viene dichiarato illegittimo,
il rapporto di lavoro si estingue e l’azienda dovrà corrispondere al lavoratore
un’indennità tra le 4 e le 24 mensilità senza il pagamento dei contributi
previdenziali oppure 2 mensilità per ogni anno di servizio (in ogni caso il
minimo è stabilito in 4 mensilità ed il massimo in 24 mensilità).

L’altra eventualità è
quella di impugnare un licenziamento per
giustificato motivo soggettivo 
avvenuto in un’azienda che occupa fino
a 15 dipendenti
. In questo caso, il Jobs Act prevede la stessa
procedura applicata alle grandi aziende con due eccezioni:
 non è prevista la reintegrazione in azienda;

·l’indennità è praticamente dimezzata. 

Come
impugnare un licenziamento per giusta causa

Il licenziamento
per giusta causa 
è
la più grave delle ipotesi di chiusura di un rapporto di lavoro. Al dipendente
potrebbe non essere riconosciuto nemmeno il preavviso, se il giudice decidesse
di dare ragione all’azienda. La quale, tuttavia, deve rispettare una proceduraprecisa affinché il licenziamento sia valido:

·deve
contestare in forma scritta la causa che ha giustificato il licenziamento;

·deve
contestare immediatamente il fatto alla base del licenziamento che non consente
la prosecuzione del rapporto di lavoro;

·deve provare
la sussistenza della giusta causa;

·deve rendere
immutabile la giusta causa del licenziamento: se ti mando via perché hai
rubato, non posso sostenere dopo che hai aggredito un superiore.

Se, però, il lavoratore
si sente ingiustamente cacciato via e vuole impugnare il licenziamento per
giusta causa 
ha
delle tutele.
 Fatta causa all’azienda davanti al Tribunale del Lavoro, il dipendente può
ottenere:

·la reintegrazione in azienda e l’indennità risarcitoria
fino a 12 mensilità se il giudice accerta che il fatto contestato al dipendente
non è stato commesso oppure che il fatto fosse di una gravità tale da essere
punibile con una sanzione conservativa del posto di lavoro;

·l’indennità risarcitoria da 12 a 24 mensilità senza la reintegrazione
nel posto di lavoro se, secondo il giudice, non c’è giusta causa alla base del
licenziamento ma ci siano stati degli altri motivi.

[1]Legge 604/1966.

[2]Legge 300/1970.

[3]Legge 92/2012.

[4]Dlgs 23/2015.

[5]Legge 68/1999.

[6]Art. 8 legge 604/1966 modificato da art. 2 legge
108/1990.

[7]Art. 7 legge 300/1970.

 

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