CONSOLAZIONE
“”Mi addormento, bisognoso di una consolazione che non posso domandare agli uomini e non so implorare a Dio””.
S’intitola guerra del ’15. Dal taccuino di un volontario ed è il diario di uno scrittore triestino Gianni Stuparich, scritto appunto nella solitudine delle trincee del Carso.
In realtà, queste stesse righe potrebbero essere sottoscritte da molte persone anche oggi, persino all’interno di un affollato condominio urbano. Nel cuore hanno un’amarezza indicibile e invincibile. Anche chi sta sullo stesso pianerottolo non può e non vuole essere disturbato per chiedergli un po’ di ascolto o di compagnia.
E se poi è venuta meno anche la fede, non c’è neppure la possibilità di rivolgere a Dio una preghiera. E’ questa, la “desolazione” che deriva dall’aggettivo “solo” e filologicamente significa “lasciar solo”, e descrive lo stato di abbandono e di isolamento. Il contrario è appunto la “consolazione”, un’azione che spesso neghiamo al prossimo per indifferenza o per egoismo.
Eppure nei suoi Pensieri Pascal ammoniva che <<basta poco per consolare, perché basta ancora meno pera affliggere>>.
DAL SOLE 24 ORE DEL 2 APRILE 2017