Omesso versamento Iva e ritenute certificate: Condanna estesa oltre gli amministratori!
Con la sentenza n.34475 del 3 dicembre 2020 della 3° Sezione penale della Cassazione, è stato ribadito un concetto già espresso dalla giurisprudenza di legittimità.
I ricorrenti, nelle loro doglianze alle condanne ed ai provvedimenti di confisca per equivalente per il danno erariale provocato alle casse dello stato per il mancato versamento dell’Iva e ritenute certificate,
In diritto va precisato che del reato di omesso versamento dell’IVA previsto dall’art. 10-ter d.lgs. 74 del 2000 – così come di quello di omesso versamento delle ritenute certificate previsto dal precedente art. 10-bis – commesso in favore di una società risponde, sussistendo il dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice e salvo che sia configurabile una causa di non punibilità, l’amministratore in carica al momento della scadenza del termine previsto per l’adempimento (cfr., ex multis, Sez. 3, n. 46459 del 29/03/2017, Olivetto, Rv. 271311; Sez. 3, n. 14432 del 19/09/2013, dep. 2014, Carminati, Rv. 258689), anche se persona diversa da chi ebbe a presentare la relativa dichiarazione (cfr. Sez. 3, n. 34927 del 24/06/2015, Alfieri, Rv. 264882; Sez. 3, n. 38687 del 04/06/2014, Decataldo, Rv. 260390; Sez. 3, n. 3636 del 09/10/2013, dep. 2014, Stocco, Ry. 259092).
Il precetto penale, infatti, è diretto a chi ha il potere-dovere di adempiere all’obbligo fiscale penalmente sanzionato e, nelle società – salvo che sia diversamente disposto dallo statuto – tale incombenza spetta a chi ricopre la carica di amministratore.
Secondo il consolidato orientamento della Corte, peraltro, di consimili reati omissivi l’amministratore di una società risponde anche se si tratti di mero prestanome di altri soggetti che abbiano agito quali amministratori di fatto, in quanto l’accettazione della carica attribuisce allo stesso doveri di vigilanza e controllo sulla corretta gestione degli affari sociali, il cui mancato rispetto comporta responsabilità a titolo di dolo generico, nell’ipotesi di accertata consapevolezza che dalla condotta omissiva possano scaturire gli eventi tipici del reato, ovvero a titolo di dolo eventuale in caso di semplice accettazione del rischio che questi si verifichino (cfr., con riguardo all’analogo reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali: Sez. 3, n. 7770 del 05/12/2013, dep. 2014, Todesco, Rv. 258850; Sez. 3, n. 14432 dei 19/09/2013, dep. 2014, Carminati, Rv. 258689; Sez. 3, n. 22919 del 06/04/2006, Furini, Rv. 234474).
Analogo – e, anzi, ancor più stringente – principio va affermato nel caso in cui gli amministratori di diritto siano più d’uno, essendo in tal caso tutti egualmente destinatari del precetto penale e non essendovi quindi dubbio che trattisi sempre e comunque di responsabilità per reato omissivo proprio, e non già di responsabilità per fatto altrui ex art. 40 cpv. cod. pen., ovvero di responsabilità ex art. 110 cod. pen. per concorso nell’altrui reato proprio.
Ciò premesso, la sentenza impugnata attesta che anche i ricorrenti Roveta e Bayraktutan – all’epoca della consumazione del reato, rispettivamente, Vice Presidente del C.d.A. e Amministratore delegato – avevano ex lege (evidentemente non risultando diverse disposizioni dall’atto costitutivo o dall’atto di nomina) gli ordinari poteri di gestione di cui all’art. 2475 cod. civ., sicché, anche disgiuntamente, avrebbero potuto e dovuto adempiere all’obbligo di estinguere il debito tributario e come e tali, sono equamente responsabili.