giovedì, Maggio 2, 2024
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Malagiustizia: I diritti del cittadino, fra limiti ed eccessi!

“La libertà e l’innocenza non hanno nulla da temere dalla pubblica indagine, a condizione che regni la legge e non l’uomo – Cit. Maxmilian Robespierre“, conosciuto con l’appellativo “l’incorruittibile”, filosofo ed intellettuale francese di fama mondiale che, dopo alterne fortune ai vertici della politica francese, venne decapitato il 28 luglio 1794.

Nel caso che qui ci occupa, per parlare di “malagiustizia” di quale legge parliamo?

Mi riferisco alla facilità con cui i Pubblici ministeri – accusatori nel nostro Codice penale – veri super man nelle nostre aule di giustizia, ricorrono esageratamente ed in malo modo alla “custodia cautelare”.

Lo dico questo in premessa, per ricordare che ogni cittadino, dovrebbe andare in galera al termine di un regolare processo laddove, in un sano contraddittorio – fra accusa e difesa – viene costruita e trovata la prova delle sue responsabilità.

Misura cautelare

Nella realtà cosa succede in pratica, sapendo che la legge fissa dei criteri molto rigidi e precisi per fare ricorso alla “Custodia cautelare” da irrogare prima del processo, durante la fase delle indagini preliminari in presenza di precise circostanze – ex art.276 del Codice di procedura penale:

a. Rischio di inquinamento probatorio

Pensiamo l’imputato per gravi reati che, in condizioni di libertà (in attesa del processo perché già rinviato a giudizio), minaccia i testimoni dell’accusa, altera i fatti di causa etc..

b. Concreto rischio di fuga

Immaginiamo l’imputato che si sottrae alla prova dibattimentale, dandosi alla fuga e facendo perdere le proprie tracce.

In questi casi, il ritiro del passaporto potrà ridurre o contenere questo evento.

c. Reiterazione del reato

Pensiamo al soggetto, imputato, già noto alle cronache giudiziarie in base a precedenti condanne in quanto trattasi di recidivo – semplice o reiterato – che continua a commettere gravi reati.

Esempi di cronaca

Il più grande e atroce caso di errore giudiziario della nostra storia è stato compiuto il 17 giugno 1983, alle quattro di mattina quando, in un albergo romano, veniva tratto in arresto per un presunto traffico di stupefacenti e associazione mafiosa di stampo camorristico per fatti risalenti a qualche decennio prima, sulla base di accuse mai riscontrate, il noto ed amato presentatore “Enzo Tortora”, in quanto accusato da un pluripregiudicato in stato di detenzione – Giovanni Melluso, alias “il bello”.

Nella retata, furono tratti in arresto 856 persone – circa duecento vennero scagionati per omonimia. Arresti senza prove, senza riscontri, unicamente teoremi, di alcuna utilità per la giustizia ma solo per far fare carriera ai pubblici ministeri pur in presenza di orrori pacchiani, allucinanti.

Cinque anni anni dopo, il 17 marzo del 1988, quando la Cassazione confermò l’assoluzione decisa in appello, quell’arresto si confermò ingiusto: Tortora era una vittima innocente della giustizia italiana e delle false accuse dei pentiti, che lo fecero rimanere per sette mesi in carcere portandolo poi, lentamente, alla morte.

Più recentemente, senza inquinamento di prove, rischio di fuga o reiterazione del reato sono stati tratti agli arresti domiciliari due settantenni – genitori dell’allora Premier Matteo Renzi – perché accusati di false fatturazioni e bancarotta fraudolenta.

Secondo l’accusa, trattavasi di una vicenda di alcuni anni prima, nell’amministrazione di alcune cooperative di servizi da tempo liquidate.

Anche in questo caso, nel secondo grado della Corte di Appello – confermata in Cassazione – è giunta l’assoluzione piena.

Per ambedue le vicende, solo accennate, si conferma allora l’antica usanza, tutta italiana, per cui è più facile finire in galera prima di una condanna e non dopo perché in Italia, per rovinare l’esistenza e la vita di una persona per bene è sufficiente il teorema di un Pubblico ministero: Amen!

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