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“PENNIVENDOLO ” al cronista? E’ reato!

“PENNIVENDOLO ” al cronista? E’ reato!

 

Rischia una condanna per diffamazione il politico che, per contestare un articolo su di lui, apostrofa il cronista, in un comunicato stampa, come “pennivendolo”.
L’invito ai politici a moderare le parole, soprattutto nei comunicati stampa, lo ha fatto la Corte di cassazione che, con la sentenza n. 16702 del 20 aprile 2009 (1), ha confermato la condanna per diffamazione aggravata – con tanto di risarcimento danni – nei confronti di un consigliere regionale dell\’Assemblea siciliana che aveva definito, in un comunicato ufficiale, «pennivendolo» un giornalista della Rai del quale non aveva gradito i servizi sulla sua attività politica. Queste critiche, spiega dunque Piazza Cavour, non sono coperte dalle immunità riservate ai politici.

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(1) Cassazione penale, sez. V, sentenza 20/04/2009 n° 16702

Cassazione penale, sez. V, sentenza 20/04/2009 n° 16702

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE V PENALE

Sentenza 10 dicembre 2008 – 20 aprile 2009, n. 16702

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 29 febbraio 2008 la Corte d’Appello di Messina, confermando la decisione assunta dal locale Tribunale in composizione monocratica, ha riconosciuto P.U. responsabile del delitto di diffamazione aggravata in danno del giornalista televisivo B.F. per avere, in un comunicato stampa, definito lo stesso un “pennivendolo che utilizza la RAI per scopi di bassa cucina politica”; ha quindi tenuto ferma la condanna dell’imputato alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Ha proposto ricorso per cassazione il P., per il tramite del difensore, affidandolo a quattro motivi.

Col primo motivo il ricorrente ribadisce la linea difensiva basata sull’immunità riconosciuta ai consiglieri regionali dall’art. 122 Cost., comma 4, sostenendo sussistere il nesso funzionale tra le affermazioni rese nel comunicato stampa e i giudizi espressi nell’esercizio dell’attività consiliare.

Col secondo motivo, deducendo violazione di legge e carenza motivazionale, lamenta non essersi tenuto conto del fatto che il giudizio espresso nei confronti del B. costituiva esercizio del diritto di critica nei confronti della connotazione politica data dal giornalista ai suoi servizi.

Col terzo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione in ordine all’errore di fatto nel quale assume di essere incorso, per aver creduto che il B. si identificasse nel suo omonimo responsabile del partito democratico nella provincia di ****.

Col quarto motivo, infine, lamenta – siccome inadeguatamente motivato – il diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante contestata.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

In base all’assunto che informa il primo motivo, dovrebbe riconoscersi operante in favore del P. l’immunità riconosciuta ai consiglieri regionali dall’art. 122 Cost., comma 4, sebbene la diffusione di un comunicato stampa non rientri nell’esercizio delle funzioni consiliari tipiche; e ciò in quanto il comunicato ha rappresentato la proiezione esterna dell’attività svolta dal ricorrente come deputato regionale, in quanto ha ripreso i contenuti della seduta svoltasi nell’aula consiliare, nel corso della quale egli aveva espresso una sua opinione.

La tesi non può trovare consenso.

Ed invero, come esattamente osservato nella sentenza impugnata, l’argomento concernente i rapporti – “non certo idilliaci”, è il commento dell’estensore – fra un consigliere regionale e un giornalista televisivo non può certo considerarsi rientrare fra i temi devoluti alle attribuzioni del consiglio regionale: onde non è ravvisabile quel necessario nesso funzionale, rispetto all’attività svolta nell’esercizio delle funzioni consiliari tipiche, che costituisce l’indefettibile presupposto per l’applicabilità dei principi giurisprudenziali richiamati dal ricorrente.

A maggior ragione la linea difensiva suesposta si rivela inaccoglibile in considerazione del rilievo in fatto, che pure è dato cogliere nella motivazione della sentenza impugnata, secondo cui il comunicato stampa “non si limita a riprendere solamente i contenuti della seduta”: con ciò lasciandosi intendere che le espressioni offensive hanno costituito un’aggiunta ed un elemento di novità, rispetto all’intervento svolto dal P. nell’aula consiliare.

L’infondatezza del secondo motivo, facente riferimento all’esimente dell’esercizio del diritto di critica, si staglia con evidenza di fronte al rilievo per cui l’espressione “pennivendolo che utilizza la RAI per scopi di bassa cucina politica” eccede vistosamente il limite della continenza, stante la connotazione inutilmente denigratoria e la sovrabbondanza rispetto al concetto da esprimere.

E’ noto che, per costante giurisprudenza, la continenza costituisce (unitamente all’interesse pubblico verso la comunicazione e alla verità dei fatti narrati, quando su questi sia basata la critica) uno dei requisiti indispensabili perchè possa utilmente essere invocata la scriminante di cui all’art. 51 c.p. in rapporto al diritto di critica: donde l’inconsistenza della censura che su tale norma ambisce a fondarsi.

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. L’errore di persona, quando pure risultasse accertato, non potrebbe considerarsi incolpevole a fronte dell’onere – facente capo a chi esterna pubblicamente la propria critica verso determinati soggetti – di verificare scrupolosamente le fonti informative riguardanti i fatti posti a base del proprio dire. Nè, d’altra parte, è dato vedere per quale via un eventuale errore del P., circa l’identificabilità della persona offesa in altro soggetto impegnato nella vita politica, potrebbe valere a scriminare il ricorso ad espressioni gratuitamente offensive, eccedenti – come già constatato – il limite della continenza.

La manifesta infondatezza della linea difensiva or ora esaminata ha costituito valido motivo di esenzione, per il giudice di appello, dall’obbligo di motivare sul punto (Cass. 5 marzo 1999, Tedesco;Cass. 17 maggio 1993, Maiorano).

Da disattendere, infine, è anche il quarto motivo con cui il ricorrente rimprovera alla Corte d’Appello di non avere dato adeguata motivazione al giudizio di mera equivalenza, anzichè di prevalenza, delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante.

In realtà il collegio di seconda istanza si è fatto carico di esporre le ragioni della decisione assunta, col rilevare che il P. risultava gravato da un precedente penale per oltraggio (del quale, va detto, l’intervenuta abrogazione della norma incriminatrice non impedisce di tener conto nella valutazione della personalità dell’imputato) e con l’esprimere il convincimento che il giudizio di equivalenza delle circostanze rendesse la pena del tutto congrua in rapporto alla gravità del fatto e alla personalità del P..

La motivazione così addotta, logicamente e giuridicamente ineccepibile, impedisce il sindacato in sede di legittimità su una statuizione appartenente all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2008.

Depositato in Cancelleria il 20 aprile 2009.

 

 

 

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