“Una mera espressione di volontà dei genitori, una speranza di recupero delle capacità genitoriali non è sicuramente idonea al superamento dell’abbandono”. A questa conclusione è giunta la Corte di cassazione che, con la sentenza n.16795 del 17 luglio 2009, ha accolto il ricorso del curatore di una bambina che si opponeva alla revoca della adattabilità pronunciata dal giudice sulla base di un miglioramento dei rapporti sociali e psicologici di mamma e papà.
Nelle motivazioni il Collegio di legittimità insiste a più riprese su un concetto fondamentale: il bene del minore visto caso per caso.
“È necessario da un lato trasmettere al minore – scrivono i giudici – con l’educazione e l’istruzione, i valori necessari per fargli progressivamente acquistare la capacità e posizioni proprie di ogni membro della collettività: a svolgere tale alta e delicatissima funzione la famiglia è lasciata da sola; essa ha comunque un ruolo preminente ed insostituibile. Ma è pure indispensabile provvedere anche finanziariamente al soddisfacimento dei bisogni del minore e alle sue esigenze di crescita: si tratta evidentemente di un compito assai complesso e articolato, ben più ampio di quella minima prestazione di cure che serve a mantenere in vita il soggetto”. Ma non solo. A questo punto, sottolinea ancora Piazza Cavour, “Non ogni irregolarità o ritardo nell’adempimento dei doveri genitoriali potrebbe dar luogo ad adozione; varie possono essere le misure pre viste, da quelle amministrative di aiuto e sostegno alla famiglia, all’affidamento familiare”. In sostanza la dichiarazione di adattabilità deve tener conto soprattutto del bene del bambino, in relazione alla sua personalità: bisogna guardare – si legge ancora in sentenza – non solo ai comportamenti del genitore ma alle conseguenze sulla personalità del minore”.