Va escluso il danno da mancata rielezione per il deputato convenuto in un giudizio risarcitorio per la (presunta) diffamazione contenuta nell’interrogazione parlamentare. Che il rappresentante del popolo non possa essere chiamato a rispondere delle opinioni espresse nell’esercizio del suo mandato è pacifico: lo prevede la Costituzione. Il privato che si senta diffamato, tuttavia, può ben promuovere l’azione civile volta ad accertare se effettivamente sussista il collegamento tra le frasi incriminate e la funzione parlamentare. Lo precisa la sentenza n. 4196 del 21 febbraio 2011, emessa dalla terza sezione civile della Cassazione.Non sarà risarcito l’ex deputato che sosteneva di non essere stato rieletto per il danno all’immagine patito dopo essere stato trascinato di fronte al tribunale civile. Il parlamentare, infatti, non può invocare il ristoro del pregiudizio di cui all’articolo 2043 Cc, che riguarda un fatto illecito che risulta offensivo del decoro della persona. E l’onore dell’onorevole non risulta infangato dalla citazione civile con cui un privato o una società chiedono al giudice del merito di valutare se il fatto commesso dal parlamentare, pur se a contenuto diffamatorio, debba o meno essere scriminato ai sensi dell’articolo 68 della Costituzione. Il fatto che il deputato (o il senatore) possa beneficiare di una causa soggettiva di non punibilità non incide sull’eventuale oggettiva illiceità dell’atto contestato. Insomma: non si può trasformare il presunto diffamato in sicuro diffamatore soltanto perché si è rivolto al tribunale contro il parlamentare.
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