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CONCESSIONE EDILIZIA: Il Comune paga caro atteggiamenti dilatori

«Il Comune mi farà ammattire». A causa delle pastoie burocratiche l’imprenditore rischia di ammalarsi: il permesso di costruire in variante arriva con due anni di ritardo e l’ente, accanto al danno patrimoniale, paga anche quello biologico come lesione alla salute dell’interessato scaturita dall’inerzia della pubblica amministrazione; è stata la legge 69/2009, quella che contiene fra l’altro la riforma del processo civile, a introdurre tra i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale due elementi importanti come l’obbligo costituito in capo all’ente di concludere il procedimento entro il termine prefissato e le disposizioni relative alla durata massima dei procedimenti. È quanto emerge dalla sentenza n. 1271 del 28 febbraio 2011, emessa dalla quinta sezione del Consiglio di Stato.
Incassa un risarcimento di oltre 55 mila euro, di cui più di 11 mila solo a titolo di danno biologico (più rivalutazione e interessi), l’imprenditore che ha ottenuto con due anni di ritardo il permesso di costruire in variante per la sua unica attività aziendale in corso; né rileva che sull’originaria concessione fosse aperto un contenzioso: la pendenza del giudizio non può paralizzare l’azione amministrativa. Il ristoro sarebbe potuto essere addirittura più corposo, se solo l’interessato fosse riuscito a provare il nesso di causalità tra il ritardo nel rilascio dell’atto abilitativo e la differenza di prezzo degli immobili tra i contratti di compravendita preliminari e quelli definitivi. Ciò che invece l’imprenditore riesce a dimostrare perfettamente è il danno alla salute, con una sindrome d’ansia somatizzata con disturbi dermatologici: l’inerzia della pubblica amministrazione, dettata da una condotta dell’ente rivelatasi inutilmente dilatoria, risulta lesiva di un diritto della persona tutelato dalla Costituzione e fa scattare il risarcimento del danno biologico laddove ha inciso sull’equilibrio psico-fisico dell’interessato (il ristoro è quantificato definitivamente in via equitativa sette punti percentuali anche in base ai criteri del D.lgs. 20905). Insomma: costano cari all’amministrazione i pretesti addotti per ritardare l’adozione del provvedimento finale.

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