mercoledì, Maggio 1, 2024
spot_img

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE: Il dirigente risponde per dolo o colpa grave

Lavoro presso una pubblica amministrazione come dirigente. Per far fronte ad esigenze di ufficio, dovrei adibire personale dell\’ente a svolgere mansioni superiori rispetto a quelle per cui è stato assunto. So che di tale comportamento potrei essere chiamato a rispondere personalmente, ma vorrei sapere più chiaramente di che tipo di responsabilità si tratta e a che cosa andrei incontro nel caso in cui essa venisse accertata. Preciso, inoltre, che l\’assegnazione a mansioni superiori verrebbe da me disposta per far fronte ad esigenze dell\’amministrazione datrice di lavoro, dovute a carenze di organico, per cui ritengo che il tutto si risolverebbe in un vantaggio per l\’ente medesimo.
 
RISPOSTA
 
La responsabilità a cui si accenna nel quesito è qualificata dal nostro ordinamento come amministrativa e si configura ogni volta che il pubblico dipendente, causa un danno patrimoniale all\’amministrazione presso cui presta servizio o ad altro ente pubblico.
Le disposizioni legislative in materia, oltre ad inquadrare, nei termini indicati, la responsabilità amministrativa del pubblico dipendente, indicano la Corte dei conti quale giudice a cui ne è demandato l\’accertamento e al quale compete, nell\’ipotesi in cui sia stata raggiunta la prova della colpevolezza del lavoratore, condannarlo al pagamento della somma costituente il danno sopportato dalla pubblica amministrazione.
Dunque, il pubblico dipendente che provoca un danno patrimoniale alla pubblica amministrazione per cui lavora è obbligato a risarcire l\’ente personalmente.
Tale principio trova applicazione anche nell\’ipotesi in cui il dirigente adibisca un lavoratore dell\’ente pubblico allo svolgimento di masioni superiori rispetto a quelle che gli spetterebbero da contratto: cosi facendo, infatti, verrebbe violato l\’articolo 52 del Dlgs 30 marzo 2001m n.165, che vieta l\’assegnazione a mansioni superiori del dipendente, se non nei casi espressamente previsti dalla legge. Il dirigente, in questo caso, risponde personalmente del maggiore onere conseguente (ovvero della maggiore retribuzione dovuta al sottoposto), ove abbia agito con dolo o colpa grave.
 
I REQUISITI 
 
Ma in quali casi si può dire che il dipendente , nel causare un danno patrimoniale alla Pa, l\’abbia fatto con dolo o colpa grave?
Non vie è dubbio, infatti, che, in assenza dei requisiti citati, non si possa fondare un\’azione di responsabilità amministrativa in capo al dipendente: ciò non solo nell\’ipotesi dell\’attribuzione di mansioni superiori fuori dei casi previsti dalla legge, ma nache, più in generale, in qualsiasi altra circostanza in cui il pubblico dipendente arreca un danno alla pubblica amministrazione.
Secondo quanto disposto dall\’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n.20, la responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale ed è limitata ai fatti e alle omissioni commessi con dolo o colpa grave. Per quanto riguarda il dolo, prendendo come spunto l\’articolo 43 del codice penale, esso sussiste quando il dipendente prevede o vuole, come conseguenza della propria azione e del proprio comportamento, quei danni per la pubblica amministrazione.
Più complicato risulta delineare una definizione di “colpa grave”, il cui concetto non può prescindere dall\’esame del caso concreto, tenendo in considerazione la preparazione e le qualità professionali del dipendente, nonchè la sua qualifica all\’interno dell\’ente: ad ogni buon conto il dipendente in questione dovrà “macchiarsi” di una grave negligenza, ossia un comportamento non giustificato, prendendo a tal fine quale esempio l\’ordinaria diligenza di un dipendente con le medesime caratteristiche professionali.
Ovviamente, più elevato è il livello della qualifica ricoperta e più sarà considerato inescusabile l\’errore commesso dal dipendente, in ragione delle legittime aspettative della pubblica amministrazione sulla sua diligente condotta.
Da qui deriva, pertanto, una particolare attenzione all\’operato del dirigente pubblico, dal quale ci si aspetta, quantomeno, una puntuale conoscenza dei dati normativi quando questi sono chiari e inequivocabili, nonchè l\’adeguamento del proprio convincimento a prassi o indirizzi giurisprudenziali consolidati: in sostanza, il dirigente (in particolare, ma non solo lui) potrà vedersi attribuita la responsabilità del danno causato all\’ente quando, con il suo operato, abbia violato chiari disposti normativi o univoche prassi amministrative, sia ignorandoli sia ritenendo, erroneamente di non dovervisi adeguare.
 
I “COMPITI” ASSEGNATI
 
Delineati i principi e i presupposti della responsabilità amministrativa del dipendente pubblico, rimane da verificarne la loro applicazione al caso evidenziato dal quesito posto dal lettore.
In primo luogo è certamente da escludere la responsabilità in capo al dirigente ove egli abbia assegnato le mansioni superiori nei due casi consentiti dall\’articolo 52 comma 2, lettera a) e b) del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n.165, ossia, sempre ove ricorrano obiettive esigenze di servizio, qualora via sia la vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici nel caso siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti, oppure nell\’eventualità in cui sia necessaria una sostituzione di un dipendente assente con diritto alla conservazione del posto.
Al di fuori dei casi appena citati, l\’assegnazione delle mansioni superiori è nulla e il dirigente risponde personalmen te del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.
Ma, tralasciando l\’ipotesi di dolo, che, obiettivamente, si ritiene difficilmente ipotizzabile nel caso di specie, cosa si intende per colpa grave nell\’assegnazione di mansioni superiori da parte del dirigente?
Secondo la prevalente giurisprudenza della Corte dei conti, per dirsi accertata la colpa grave in capo al dirigente, è sufficiente che lo stesso abbia assegnato le mansioni superiori in violazione della normativa di riferimento, ossia senza  che ricorrano le condizioni di legittimità ivi indicate (Corte dei conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, 5 ottobre 2011, n.1435; Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione siciliana 11 maggio 2011, n.1866).
DAL SOLE 24 ORE DEL 26 MARZO 2012
 
 

Ti potrebbero interessare anche

ULTIMI ARTICOLI

Non sei ancora iscritto?

Prova la nostra demo

CATEGORIE

ATTUALITA'

Russia: Dominare il mondo

Non solo Ucraina, ecco come la Russia trama per sovvertire l’ordine globale

Non solo Ucraina, ecco come la Russia trama per sovvertire l’ordine globale Secondo un documento riservato, la Russia sta elaborando piani per sfruttare la guerra in Ucraina così da creare un ordine globale libero da...
6° Direttiva UE antiriciclaggio

Pacchetto antiriciclaggio: la nuova normativa approvata dal Parlamento UE

Pacchetto antiriciclaggio: la nuova normativa approvata dal Parlamento UE 29 Marzo 2023 Fonte: Diritto bancario Il Parlamento europeo ha approvato un pacchetto di norme più severe per colmare le lacune esistenti in materia antiriciclaggio (normativa antiriciclaggio), e di lotta al finanziamento...