venerdì, Maggio 3, 2024
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RAPPORTO DI LAVORO & APPROPRIAZIONE INDEBITA : Non sussiste

        

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 ottobre 2013, n.
41162

Mancato versamento di emolumenti falsamente indicati in busta
paga – Truffa – Appropriazione indebita – Non sussiste.
 

Ritenuto in fatto 

1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di
Perugia ha assolto A. L. dal delitto di appropriazione indebita, per non avere
egli, quale datore di lavoro, versato ad una dipendente emolumenti per indennità
di malattia ed assegni per il nucleo familiare. Ha infatti ritenuto il Tribunale
che tale condotta, di inadempimento contrattuale e di mancato assolvimento degli
obblighi fiscali, non integri la fattispecie contestata, essendo e rimanendo il
denaro non versato nel patrimonio dell\’imputato.

2. Ricorre il procuratore generale di Perugia
lamentando che la condotta contestata – produzione all’INPS di documentazione
ideologicamente falsa, apparentemente attestante l\’esistenza del credito da
compensare, credito corrispondente alte somme asseritamente erogate alla
lavoratrice – integra comunque il delitto di truffa ai danni dell\’ente
previdenziale. Cosicché la qualificazione giuridica di detta condotta quale
reato procedibile di ufficio, avrebbe dovuto comportare l\’applicazione
dell\’articolo 516 c.p.p.
 

Considerato in diritto 

1. Il ricorso è infondato.

Nel capo di imputazione la condotta contestata quale
appropriazione indebita e descritta come omissione da parte del datore di lavoro
del versamento ad un proprio dipendente di emolumenti per indennità di malattia
ed assegni per il nucleo familiare. Dunque, la modalità della condotta è
ritagliata nel rapporto tra l\’imputato e la propria lavoratrice subordinata,
mentre nessuna menzione è fatta di eventuali coinvolgimenti dell\’Inps.

Correttamente il Tribunale osserva che tale condotta
di inadempimento contrattuale, consistendo semplicemente nel mancato pagamento,
non può integrare il delitto di appropriazione indebita: giacché il datore di
lavoro si limita a non versare al lavoratore una somma di denaro che sarebbe
dovuta, ma in nessun modo si appropria indebitamente di beni del lavoratore. Il
Pubblico ministero ricorrente non contesta un simile assunto ma ritiene che la
mancata erogazione al dipendente di somme falsamente riportate in busta paga
come corrisposte, e la presentazione di detto pagamento effettuata nei confronti
dell\’Inps al fine di ottenere una indebita compensazione con crediti che l\’ente
vanta rispetto all\’imputato, costituisce condotta raggirante ed artificiosa
intesa ad ottenere un ingiusto profitto ai danni dell\’ente pubblico; condotta
come tale punibile ai sensi dell\’articolo 640, comma 2°, codice penale, e
rimprovera al Tribunale di non aver assunto le determinazioni stabilite
nell\’art. 516 del codice di procedura.

Tuttavia, il fatto contestato al capo di imputazione
è radicalmente diverso da quello descritto nel ricorso in cassazione; del resto
nella parte conclusiva della motivazione il Tribunale, argomentando che “qualora
la somma sia stata in effetti versata al lavoratore direttamente dall\’lnps, ente
direttamente obbligato, ben potrebbe configurarsi, unitamente ad altri
presupposti, altra fattispecie criminosa nei confronti appunto dell\’ente
previdenziale”, si limita ad una mera ipotesi, opportunamente chiarendo che tale
fatto non è stato contestato all\’odierno imputato.

Inoltre, nella condotta ascritta all\’imputato neppure
potrebbe eventualmente configurarsi il reato di appropriazione indebita nei
confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro, necessitando quantomeno
a tal fine non la semplice contestazione che il datore di lavoro non versi
quanto dovuto al lavoratore bensì la diversa e molto più articolata
contestazione del fatto che il datore di lavoro trattenga le somme indebitamente
portate a conguaglio in relazione a prestazioni di cui si è sostanzialmente
riconosciuto debitore per conto dell\’ente previdenziale e corrispondenti a somme
di denaro determinate nel loro ammontare e già fatte figurare come erogate al
lavoratore (cfr. Cass. sez. II, 15.1.2013, n. 18762). Nemmeno conferente è il
richiamo all\’articolo 516 del codice di procedura penale, giacché l\’iniziativa
processuale in essa contemplata spetta non al Tribunale ma al Pubblico
ministero.

2. Ne consegue il rigetto del ricorso. 

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso.

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