giovedì, Maggio 2, 2024
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LAVORO: Licenziamento giusto & obbligo di ripescaggio

        

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 novembre 2013, n.
25197

Rapporto di lavoro – Licenziamento per giustificato motivo
oggettivo – Soppressione delle mansioni assegnate al lavoratore – Obbligo di
repechage

Svolgimento del processo

1. – Con ricorso al Giudice del lavoro di Lucera,
A.T. impugnava il licenziamento per giustificato motivo oggettivo irrogatogli in
data 29.06.01 da M. s.p.a., chiedendo la reintegrazione e il risarcimento del
danno.

2. – Costituitosi il datore di lavoro, il Tribunale
rigettava la domanda rilevando che il g.m.o. andava ricercato nella
insindacabile decisione imprenditoriale di sopprimere le mansioni assegnate al
lavoratore (pulizia dei locali aziendali) e di esternalizzare il servizio dallo
stesso prestato.

3. – Proposto appello dal lavoratore, la Corte
d’appello di Bari con sentenza del 12.03.09 accoglieva l’impugnazione e
dichiarava illegittimo il licenziamento, concedendo inoltre il risarcimento del
danno. Rilevava la Corte che il lavoratore aveva provato che, oltre le mansioni
di addetto alle pulizie, egli svolgeva altri compiti rispondenti
all’inquadramento ricevuto, mentre il datore non aveva provato di non poter
utilizzare il predetto in altre mansioni compatibili con il suo livello
professionale. Risultava, inoltre, dal libro matricola che M. aveva assunto dopo
il licenziamento un altro lavoratore, che era stato inquadrato nello stesso
livello contrattuale di A. ed aveva il suo stesso livello professionale (operaio
di secondo livello del ccnl degli addetti all’industria metalmeccanica).
Ritenendo violato l’obbligo di repechage; la Corte riteneva illegittimo il
licenziamento

4. – Propone ricorso per cassazione M. s.p.a. Si
difende con controricorso A..

 

Motivi della decisione

 

5. – La ricorrente società con due motivi di ricorso
deduce:

5.1. – Carenza di motivazione e violazione dell’art.
414 c.p.c., avendo il giudice erroneamente ritenuto che il lavoratore fosse
addetto con continuità anche ad altri compiti, oltre quelli di addetto alla
pulizia dei locali, avendo l\’istruttoria dimostrato che le altre mansioni era
solamente occasionali e temporalmente limitate. Lo stesso lavoratore, inoltre,
aveva violato l’onere di allegazione, non avendo indicato nel ricorso le
mansioni alternative, compatibili con le sue capacità professionali, idonee a
consentire un diverso impiego; pertanto, a carico del datore non era scattato
l’onere di provare che non esisteva nell’azienda la possibilità di una diversa
utilizzazione del dipendente.

5.2. – Carenza di motivazione, in quanto il giudice
nel valutare le dichiarazioni dei testimoni non avrebbe tenuto conto di due
ulteriori circostanze e cioè: a) l’A. era persona appartenente a categoria
protetta avviata obbligatoriamente al lavoro, priva di competenza specifica in
relazione al tipo di produzione effettuato nell’azienda, di modo che –
esternalizzato il servizio di pulizia – era impossibile una sua adibizione ad
altre mansioni di carattere produttivo; b) il secondo livello contrattuale, già
assegnato all’A., era stato erroneamente attribuito al lavoratore assunto dopo
il licenziamento (tale T.L.), tanto è vero che nel libro matricola già pochi
mesi dopo lo stesso allo stesso risultava attribuito il terzo livello.

6. – Quanto al primo motivo, deve rilevarsi che in
tema di licenziamento per giustificato motivo oggettivo determinato da ragioni
tecniche, organizzative e produttive, la giurisprudenza di legittimità ritiene
che compete al giudice il controllo in ordine all\’effettiva sussistenza del
motivo addotto dal datore di lavoro e non il sindacato della scelta dei criteri
di gestione dell\’impresa, che sono espressione della libertà di iniziativa
economica tutelata dall’art. 41 Cost. In ordine al motivo addotto, il datore di
lavoro ha l\’onere di provare, anche mediante elementi presuntivi ed indiziari,
l’impossibilità di una differente utilizzazione del lavoratore in mansioni
diverse da quelle precedentemente svolte. Tale prova non deve essere intesa in
modo rigido, dovendosi esigere dallo stesso lavoratore che impugni il
licenziamento una collaborazione nell’accertamento di un possibile repechage,
mediante l’allegazione dell’esistenza di altri posti di lavoro nei quali egli
poteva essere utilmente ricollocato, e conseguendo a tale allegazione l’onere
del datore di lavoro di provare la non utilizzabilità nei posti predetti (Cass.
8.02.11 n. 3040 e 18.03.10 n. 6559).

7. – Il giudice di merito ha accertato, con giudizio
di fatto congruamente motivato e pertanto incensurabile in sede di legittimità,
che l’A. ha provato di aver svolto con continuità, assieme alle mansioni
principali di addetto alle pulizie, anche compiti ulteriori all’interno
(confezionamento di scatole di cartone, rifornimento di carburante) e
all’esterno dell’azienda (svolgimento di commissioni varie) di basso livello
professionale, ma compatibili con il suo inquadramento (Il livello del contratto
collettivo dei metalmeccanici). Lo stesso giudice ha, inoltre, accertato che
meno di tre mesi dopo il licenziamento il datore procedette all’assunzione di
altro dipendente (tale T.L.), inquadrandolo nella stessa posizione del
lavoratore licenziato (il II livello).

Sulla base di questi elementi è pervenuto a due
conclusioni: a) che, seppure a livello solo indiziario, esisteva la possibilità
di diversa utilizzazione del lavoratore licenziato, pur dopo l’esternalizzazione
del servizio di pulizia locali; b) che il datore avrebbe dovuto provare che,
nonostante tale possibilità, il lavoratore non avrebbe potuto comunque essere
utilizzato in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte.

8. – Tali conclusioni sono conformi al principio di
diritto sopra enunziato. In particolare, la prova testimoniale espletata, avendo
evidenziato l’esistenza di mansioni assegnate aggiuntive (collaterali, ma
continuative), esclude che nel processo il lavoratore avesse l’onere di indicare
gli altri posti di lavoro nei quali potesse essere utilmente ricollocato, atteso
che l’esistenza degli stessi è stata per altro verso acclarata.
Conseguentemente, l’unico onere era quello della prova di impossibile
ricollocamento nascente a carico del datore, il quale, come già visto, ad esso
risulta aver fallito.

9. – Con il secondo motivo vengono dedotte alcune
circostanze di fatto che si assumono non prese in considerazione dal giudice di
merito, e cioè che A. (assunto per avviamento obbligatorio) avesse svolto
funzioni meramente marginali all’interno dell’azienda e che l’inquadramento del
nuovo assunto nello stesso livello del lavoratore licenziato fosse conseguenza
di un errore di inquadramento compiuto dalla direzione aziendale.

Mentre la pretesa “marginalità” è stata, come già
evidenziato, esclusa in fatto dal giudice, non risulta, sulla base degli atti
che il Collegio può prendere in esame, che sia stata precedentemente dedotta nel
giudizio di merito la circostanza che l’inquadramento del nuovo dipendente sia
stata frutto di un errore. Quest\’ultima circostanza è da ritenere dunque
inammissibilmente dedotta per la prima volta nel giudizio di legittimità.

10. – In conclusione, infondati i due motivi, il
ricorso deve essere rigettato con condanna della parte ricorrente alle spese del
giudizio.

11. – I compensi professionali vanno liquidati in €
2.500 sulla base del d.m. 20.07.12 n. 140, tab. A-Avvocati, con riferimento alle
tre fasi previste per il giudizio di cassazione (studio, introduzione,
decisione) ed allo scaglione del valore indeterminabile. 

P.Q.M. 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 100 (cento) per esborsi ed
in € 2.500 (duemilacinquecento) per compensi, oltre Iva e Cpa.

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