lunedì, Maggio 6, 2024
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DECRETO 231: Quali sono gli elementi costitutivi dell’illecito dell’ente dipendente da reato?



 

Innanzitutto, occorre la commissione di un reato
presupposto da parte di uno dei seguenti soggetti qualificati:

· Persone
che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o direzione
dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e
funzionale e che svolgono, anche di fatto, la gestione e il contratto dell’ente
stesso. Si tratta di soggetti che, in considerazione delle funzioni che
svolgono, vengono denominati “apicali”;

· Persone
sottoposte alla direzione o alla vigilanza dei soggetti apicali.

In secondo luogo, l’ente può essere ritenuto responsabile
dell’illecito se il reato è stato commesso nel suo interesse o a suo vantaggio.

Se l’interesse manca del tutto perché il soggetto
qualificato ha agito per realizzare un interesse esclusivamente proprio o di
terzi, l’impresa non è responsabile. Al contrario, se un interesse dell’ente –
sia pure parziale o marginale – sussisteva, l’illecito dipendente da reato si
configura anche se non si è concretizzato alcun vantaggio per l’impresa, la
quale potrà al più beneficiare di una riduzione della sanzione pecuniaria.

Nella codificazione di tale criterio di imputazione,
l’aspetto attualmente più controverso attiene alla interpretazione di
“interesse” e “vantaggio”.

Secondo l’impostazione tradizionale, elaborata con
riferimento ai delitti dolosi, l’interesse ha un’indole soggettiva. Si
riferisce alla sfera volitiva della persona fisica che agisce ed è valutabile
al momento della condotta: la persona fisica non deve aver agito contro
l’impresa. Se ha commesso il reato nel suo interesse personale, affinché l’ente
sia responsabile è necessario che tale interesse sia almeno in parte
coincidente con quello dell’impresa (cfr. anche Cassazione, V Sez.pen. sentenza
n.40380/2012).

Per contro, il vantaggio si caratterizza come complesso
dei benefici – soprattutto di carattere patrimoniale- tratti dal reato, che può
valutarsi successivamente alla commissione di quest’ultimo (Cassazione, II
Sezione penale, sentenza n.3615/2005).

Tuttavia, quando il catalogo dei reati presupposto è
stato esteso per includervi quelli in materia di salute e sicurezza sul lavoro
(art.25 septies del decreto 231) e, pi di recente, i reati ambientali (art. 25
undecies), si è posto un problema di compatibilità del criterio dell’interesse
o vantaggio per i reati colposi.

La giurisprudenza di merito (Trib.Cagliari, sentenza 13
luglio 2011) ha ritenuto che nei reati colposi l’interesse o vantaggio dell’ente
andrebbero valutati con riguardo all’intera fattispecie di reato, non già
rispetto all’evento dello stesso. Infatti, mentre nei reati-presupposto dolosi
l’evento del reato ben può corrispondere all’interesse dell’ente, non può dirsi
altrettanto nei reati-presupposto a base colposa, attesa la contro-volontà che
caratterizza questi ultimi ai sensi dell’articolo 43 del codice penale.

Si pensi, infatti, ai reati in materia di salute e
sicurezza: difficilmente l’evento lesioni o morte del lavoratore può esprimere
l’interesse dell’ente o tradursi in un vantaggio per lo stesso.

In questi casi, dunque, l’interesse o vantaggio
dovrebbero piuttosto riferirsi alla condotta inosservante delle norme
cautelari. Così, l’interesse o vantaggio dell’ente potrebbero ravvisarsi nel risparmio di costi per la sicurezza ovvero
nel potenziamento della velocità di esecuzione delle prestazioni o nell’incremento
della produttività, sacrificando l’adozione di presidi antinfortunistici.

A partire da queste premesse, alcune pronunce
giurisprudenziali hanno ravvisato l’interesse nella “tensione finalistica della
condotta illecita dell’autore volta a beneficiare l’ente stesso, in forza di un
giudizio ex ante, ossia da riportare
al momento della violazione della norma cautelare” (così Tribunale di torino,
10 gennaio 2013). Si ritengono imputabili all’ente solo le condotte consapevoli
e volontarie finalizzate a favorire l’ente. Per contro, sarebbero irrilevanti le
condotte derivanti dalla semplice imperizia, dalla mera sottovalutazione del
rischio o anche all’imperfetta esecuzione delle misure antinfortunistiche da
adottare.

Altra parte della giurisprudenza e della dottrina ha
invece intso anche il criterio dell’interesse in chiave oggettiva, riferendolo
alla tendenza obiettiva o esteriormente riconoscibile del reato a realizzare un
interesse dell’ente (Tribunale Trani, Sez. Molfetta, sentenza 26 ottobre 2009).
Si dovrebbe dunque, di volta in volta, accertare solo se la condotta che ha determinato
l’evento del reato sia stata o meno determinata da scelte rientranti
oggettivamente nella sfera di interesse dell’ente. Con la conseguenza che in
definitiva, rispetto ai reati colposi, il solo criterio davvero idoneo ad
individuare un collegamento tra l’agire della persona fisica e la
responsabilità dell’ente, sarebbe quello del vantaggio, da valutarsi
oggettivamente ex post.

Si tratta di un dibattito in pieno divenire. Peraltro, la
prima tesi, che tiene distinti interesse e vantaggio anche nei reati colposi
pare riflettere più fedelmente il sistema del decreto 231, che mostra di
considerare disgiuntamente i due concetti.

Sul piano soggettivo l’ente risponde se non ha adottato
le misure necessarie ad impedire la commissione di reati del tipo di quello
realizzato.

In particolare, se il reato è commesso da soggetti
apicali, l’ente è responsabile se non dimostra che:

– Ha adottato
ma anche efficacemente attuato, prima della commissione del fatto, modelli di
organizzazione e gestione idonei a impedire reati della specie di quello
commesso (art.6, comma 1, lett. a, decreto 231);

– Ha istituito
un Organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo, il quale
abbia effettivamente vigilato sull’osservanza dei modelli;

– Il reato
è stato commesso per fraudolenta elusione dei modelli da parte del soggetto
apicale infedele.

Quando il fatto è realizzato da un soggetto sottoposto,
la pubblica accusa deve provare che la commissione del reato è stata resa
possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o vigilanza da parte
degli apicali. Questi obblighi non possono ritenersi violati se prima della
commissione del reato l’ente abbia adottato ed efficacemente adottato un
modello idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi (art.7,
comma 2 decreto 231).

Tale modello deve prevedere, in relazione alla natura ed
alla dimensione dell’organizzazione nonché al tipo di attività svolta, misure
idonee a garantire lo svolgimento delle attività nel rispetto della legge e a
scoprire ed eliminare tempestivamente situazioni di rischio. Dunque, l’efficace
attuazione del modello richiede:

a) Una
verifica periodica e l’eventuale modifica dello stesso quando sono scoperte
significative violazioni delle prescrizioni ovvero quando intervengono
mutamenti nell’organizzazione o nell’attività;

b) Un sistema
disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel
modello;

c) Una verifica
circa la conoscenza da parte di tutti (sottoposti e apicali) del contenuto del
modello organizzativo e del codice etico opportunamente diffuso e
periodicamente richiamato;

d) La verifica,
circa la conoscenza – sempre da parte di tutti – del canale di posta
elettronica c.d. dedicata a disposizione dell’organismo di vigilanza al quale
tutti i dipendenti, possono segnalare – in via assolutamente riservata –
eventuali anomalie, disfunzioni di rilevanza penale o comunque in violazione ai
contenuti del modello di organizzazione adottato;

e) La verifica
della “Formazione periodica” effettuata a beneficio dei dipendenti riguardante
i contenuti del modello, ovvero il
richiamo ai reati presupposto;

f) La verifica
dei controlli svolti da parte dell’Organismo di vigilanza in piena autonomia ed
indipendenza[1].

Infine bisogna considerare che la responsabilità dell’impresa
può ricorrere anche se il delitto presupposto si configura nella forma del
tentativo (art.26, decreto 231), vale a dire quando il soggetto agente compie
atti idonei in modo non equivoco a commettere il delitto e l’azione non si
compie o l’evento non si verifica (art.56 cp). In tal caso, le sanzioni pecuniarie
e interdittive sono ridotte da un terzo alla metà. Inoltre, l’ente non risponde
quando volontariamente impedisce il compimento dell’azione o la realizzazione
dell’evento.

Fonte: Linee Guida di Confindustria – edizione 2014




[1] I punti
indicati e compresi fra la lettera c) e la lettera f) sono aggiunti a titolo personale, quale frutto della
esperienza maturata sul campo

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