lunedì, Aprile 29, 2024
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LA POLITICA IN VETRINA: Le Idee al Governo, la protesta in piazza

    
“Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione” (Cit. A.De Gasperi).

Nel lontano ’97, l’allora segretario del più grande partito della sinistra italiana Massimo D’Alema espresse la necessità di qualche sostanziale modifica in tema di lavoro, a cominciare proprio dall’art.18 dello Statuto dei lavoratori.
In occasione del Congresso del partito, ebbe a dire:
“Vedete, la mobilità, la flessibilità, sono innanzitutto un dato della realtà. È il grande problema che si pone a noi, a noi sinistra e non soltanto a noi sindacati. È se questa società più aperta debba inesorabilmente portare con sé solitudine, insicurezza, angoscia. Oppure se non sia il caso che noi, rinnovando profondamente gli strumenti della negoziazione e della contrattazione sociale, costruiamo nuove e più flessibili reti di rappresentanza e di tutela. Se noi non ci mettiamo su questo terreno, noi rappresenteremo sempre di più soltanto un segmento del mondo del lavoro. Ecco, io penso che noi dovremmo preferire essere con quei lavoratori del lavoro nero, del lavoro precario, del sottosalario. E negoziare quel salario, e negoziare i loro diritti anziché stare fuori dalle fabbriche con in mano una copia del contratto nazionale di lavoro”.

Parlando dal palco del congresso del Pds il segretario Massimo D’Alema si rivolge direttamente al leader della Cgil Sergio Cofferati definendolo «chiuso».

La sfida Pds – Cgl finì subito, morì sul nascere, praticamente si decise di non decidere, di lasciare le cose come stanno, di non fare rumore.

Rinunciando alle proprie idee, quindi a contribuire nell’azione di governo – con Prodi a Palazzo Chigi – con una resa senza condizioni, lo stesso D\’Alema ottenne l’88% dei voti dei delegati e la conferma come segretario.
Anche lui, il leader massimo, come sempre e come tutti, teneva famiglia.

Arriviamo al 1999, quando D’Alema diventò Premier del Paese tentando di superare la “reintegra” dell’articolo 18 nel mentre al Ministero del Lavoro c’era Antonio Bassolino, coadiuvato dal giurista Massimo D’Antona. In questa fase storica venne ipotizzata – praticamente solo discussa – l’ipotesi di consentire alle imprese con meno di 15 dipendenti di assumere altri lavoratori a tempo indeterminato con una moratoria di 3 anni dell’articolo 18 in presenza di particolari requisiti.

Praticamente, badiamo bene, si parlava di un mero esperimento: non se ne fece niente, il niet di Cofferati e quindi del più forte Sindacato del Paese arrivò subito laddove, addirittura, si opponeva anche alla possibilità di accelerare il percorso di entrata in vigore della Riforma Dini superando di fatto le pensioni di anzianità.

Il secondo tentativo di superare l’articolo 18, questa volta tout – court, arrivò nel 2001-2002 con il governo guidato da Silvio Berlusconi. Al ministero del Lavoro c’era Roberto Maroni, coadiuvato dal giuslavorista Marco Biagi. D’Antona, Biagi…
La storia del tentativo di riformare lo Statuto dei lavoratori venne lastricata di sangue: D’Antona fu assassinato dalla Nuove Brigate Rosse il 20 maggio 1999 a Roma, Biagi il 19 marzo 2002 a Bologna.

Pur con questi morti alle spalle, la storia del tentativo di riformare il mondo del lavoro in Italia è andata anche peggio. Il Governo Berlusconi, pure con una maggioranza bulgara in Parlamento si arrese di fronte ai circa tre milioni di manifestanti portati in piazza il 23 marzo 2002 a Circo Massimo dal leader della Cgl Cofferati.

L’Italia è ferma, immobile, insensibile ai cambiamenti e interessata solo a conservare l’esistente: i diritti acquisiti e le poltrone dei politici dell’epoca che prima erano soliti dire: “faremo, faremo, faremo”. Oggi, quegli stessi politici, con la paura di essere rottamati – come del resto succede in tutti i Paesi civili – e nel tentativo di sopravvivere, senza coraggio e senza idee vogliono impedire di uscire da una palude permanente.

Personalmente, faccio fatica a comprendere il pianto dell’ex parlamentare PD Livia Turco in diretta televisiva che pure di fronte a tanti disastri – e non parlo solo di quelli provocati da eventi metereologici – attribuisce al Governo in carica la responsabilità di tante persone che non si iscrivono più al PD.
Se questo succede, cara Signora Turco, è perché la gente è delusa dalla politica della Vostra generazione – di destra e di sinistra – fatta di percorsi incompiuti, spesso neanche avviati che ci hanno ridotto alla disperazione.

Oggi, signora Turco, la gente tutta, con i suoi problemi, le sue sofferenze non pensa più alla tessera del partito, pensa solo a come sopravvivere.
Oggi, ormai, gli italiani lo hanno capito e le tante alluvioni di questi giorni stanno li a dimostrare, nel mentre mezzo Paese è sott’acqua, che è giunta l’ora di uscire dalla palude, di cambiare verso.

Almeno per la speranza, non è mai troppo tardi!

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