domenica, Aprile 28, 2024
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RESPONSABILITA’ CIVILE DEI MAGISTRATI E FUNZIONARI GIUDIZIARI: Cassazione civile n.25216 del 15.15.2015

Responsabilità di Magistrati e funzionari giudiziari alla luce della legge 18 del 2015
(Cassazione civile sezione III, Sentenza 15.12.2015 n. 25216)

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE


SEZIONE TERZA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:Dott. SALME\’ Giuseppe –
Presidente -Dott. AMENDOLA Adelaide –
Consigliere -Dott. AMBROSIO Annamaria –
Consigliere -Dott. DE STEFANO Franco –
Consigliere -Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel.
Consigliere -ha pronunciato la seguente:


sentenzasul ricorso 6118-2015 proposto da:

B.M., elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA MONTE SANTO,25, presso lo studio dell\’avvocato MERLA
GIOVANNI, che lo rappresentae difende unitamente agli avvocati BORGA
FABRIZIO, DI ZENZO CARMINE,VACCARELLA ROMANO giusta procura a margine
del ricorso; –
ricorrente – controSTATO ITALIANO –
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in personadel Presidente del
Consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamentedomiciliato in TRENTO,
LARGO DI PORTA NUOVA 9, presso l\’AVVOCATURADELLO STATO DI TRENTO, che
lo rappresenta e difende per legge; –
resistente con memoria di costituzione – e
controFRATELLI BARRO GIOVANNI & LUIGI SRL;
– intimata -nonchè da:FRATELLI
BARRO GIOVANNI & LUIGI SRL, in persona del curatorespecialeavv.
G.A. dal quale è rappresentata e difesa giustaprocura a
margine del ricorso, considerata domiciliata ex lege inROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE;
– ricorrente incidentale –
contro B.M.;
– intimato – e controSTATO
ITALIANO – PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in personadel
Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore,
elettivamentedomiciliato in TRENTO, LARGO DI PORTA NUOVA 9, presso
l\’AVVOCATURADELLO STATO DI TRENTO, che lo rappresenta e difende per
legge; – resistente con memoria di
costituzione -avverso il decreto n. 3832/2013 della CORTE D\’APPELLO di
TRENTO,depositato il 20/01/2015 R.G.N. 393/14;udita la relazione della
causa svolta nella pubblica udienza del08/07/2015 dal Consigliere
Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;udito l\’Avvocato GIOVANNI MERLA anche
per delega dell\’avvocatoANTONIO GIACOMELLI;udito l\’Avvocato DE BELLIS
dell\’Avvocatura Generale dello Stato-ROMA;udito il P.M. in persona del
Sostituto Procuratore Generale Dott.SOLDI Anna Maria che ha concluso
per il rigetto di entrambi iricorsi.


Fatto


1.- Con ricorso depositato il
7.10.2013, B.M. convenne in giudizio lo Stato Italiano, ai sensi
dellalegge 13 aprile 1988 n.117, dinanzi al Tribunale di Trento,
deducendo che:


– egli faceva parte del consiglio di
amministrazione della società “xxxx.”, mentre il fratello, B. G.O., pur
essendo titolare di una quota, eratenuto fuori dalla gestione della
società, il cui capitale sociale era detenuto pro-quota, oltre ai
duefratelli, dai due soci fondatori, B. G. e B.L. (rispettivamente zio e
padre del ricorrente);


– fino al 30 giugno 2004 la società aveva avuto un collegio sindacale;
– all\’inizio del 2004, il socio non
amministratore, B.G. O., aveva denunciato al collegio sindacalenon
meglio precisati fatti di mala gestio asseritamente imputabili al
consiglio di amministrazione;

– tra il 6 maggio e il 30 giugno 2004
si erano dunque tenute 3 assemblee: la prima, straordinaria,sollecitata
dallo stesso collegio sindacale, per esaminare la denuncia del socio
dissenziente(l\’assemblea si era conclusa con l\’approvazione
dell\’operato degli amministratori); la seconda,ordinaria, per
l\’approvazione del bilancio di esercizio per l\’anno 2003 e per il
rinnovo delle carichesociali (l\’assemblea si era conclusa con
l\’approvazione del bilancio, la conferma del consiglio
diamministrazione e le dimissioni del collegio sindacale); la terza,
straordinaria, sollecitata dalconsiglio di amministrazione per
deliberare la riduzione del capitale sociale, ritenuto esuberante
inrelazione al ridimensionamento dell\’attività sociale (l\’assemblea si
era conclusa con ladeliberazione di riduzione del capitale sociale, non
ostante il voto contrario del socio dissenzientee la contraria
opinione espressa dal – dimissionario – collegio sindacale);

– il 30 giugno 2004, i sindaci avevano
adito il Tribunale di Treviso con ricorso ex art. 2409 c.c.,fondato
sugli episodi di mala gestio già denunciati dal socio dissenziente, che
aveva spiegatointervento adesivo nel procedimento;

– con decreto del 28.09.2004, il
Tribunale di Treviso – senza che fosse assicurata la rappresentanzain
giudizio alla società, attraverso la nomina di un curatore speciale ex
art. 78 c.p.c. – avevaordinato l\’ispezione dell\’amministrazione della
società medesima, ai sensi dell\’art. 2409 c.c.,comma 2;

– con successivo decreto
dell\’11.04.2005, avuto riguardo ai risultati dell\’ispezione, lo
stessoTribunale aveva revocato gli amministratori e nominato
l\’amministratore giudiziario, ai sensidell\’art. 2409 c.c., comma 4, con
il mandato di esperite l\’azione di responsabilità verso
gliamministratori ed elaborare un piano di ripianamento delle perdite
da sottoporre all\’assemblea alfine di (alternativamente) riavviare
l\’attività produttiva o procedere alla liquidazione;

– avverso il decreto dell\’11.04.2005,
gli amministratori revocati avevano proposto reclamo ex art.739 c.p.c.
alla Corte di Appello di Venezia e avverso il decreto di rigetto del
reclamo da partedella Corte di Appello avevano proposto ricorso per
cassazione, dichiarato inammissibile (consentenza n. 13767 del 12
giugno 2007) sulla base della considerazione che i provvedimenti ex
art.2409 c.c. non sono impugnabili con ricorso straordinario ex art.
111 Cost., comma 7;

– a seguito della relazione del
25.05.2005 dell\’amministratore giudiziario (che aveva evidenziatouna
rilevante situazione debitoria, sollecitando il tribunale a prendere gli
opportuni provvedimentianche ex art. 6 L. Fall., nel testo applicabile
ratione temporis), il Tribunale di Treviso, nelle stessepersone che
avevano emesso il decreto ex art. 2409 c.c., aveva officiosamente
dichiarato ilfallimento della “F.lli Barro Giovanni & Luigi
s.r.l.”, con sentenza del 5.7.2005;

– lo stesso tribunale, in diversa
composizione, con sentenza del 2007, aveva rigettato l\’opposizionealla
dichiarazione di fallimento proposta dagli amministratori revocati,
mentre non era intervenutala società, cui non era stato nominato un
curatore speciale ex art. 78 c.p.c.;- con sentenza del 13.12.2010, la
Corte di Appello di Venezia aveva rigettato l\’appello proposto,da parte
degli opponenti (sempre nell\’assenza della società), avverso la
sentenza reiettivadell\’opposizione;

– con sentenza n. 8946 del 4.06.2012,
la Corte di Cassazione – senza rilevare la violazione delprincipio del
contraddittorio e del diritto di difesa della società, rimasta
incolpevolmentecontumace sia nelle fasi di merito che in quella di
legittimità – aveva rigettato il suo ricorsoavverso la sentenza della
Corte di Appello di Venezia (erano nel frattempo deceduti B.G. e L.).


Sulla base di queste deduzioni – ed
assumendo in diritto: a) che la disciplina di cui all\’art. 2409c.c.,
dettata esclusivamente per le società per azioni, era stata
inammissibilmente applicata, conpalese e grave violazione delle norme
di ermeneutica legislativa, ad una società a responsabilitàlimitata; b)
che tanto nel procedimento ex art. 2409 c.c. quanto nel giudizio di
fallimento vi erastata una gravissima violazione del principio del
contraddittorio e del diritto di difesa della società”F.lli Barro
Giovanni & Luigi s.r.l.”, la quale avrebbe dovuto partecipare ai
giudiziper il tramite di un curatore speciale appositamente nominato
ex art. 78 c.p.c.; c) che tali graviviolazioni di legge (da cui era
derivato un gravissimo pregiudizio in capo alla società e a lui
stesso,in quanto l\’inammissibile procedimento ex art. 2409 c.c. aveva
dato la stura all\’ispezionegiudiziale, al conseguente blocco
dell\’attività produttiva, alla revoca degli amministratori e
allasuccessiva declaratoria di fallimento) dovevano essere valutate
facendo applicazione, non già delladisciplina di diritto interno
concernente i presupposti della responsabilità dello Stato per i
danniderivanti da atti e comportamenti posti in essere dai magistrati
nell\’esercizio delle funzioni (L. n.117 del 1988, art. 2, commi 1 e 2),
ma della ben più pregnante disciplina posta dal dirittodell\’Unione
Europea, quale risultante dalle sentenze 13 giugno 2006 (causa
C-173/2003: Traghettidel Mediterraneo s.p.a.) e 24 novembre 2011 (causa
C-379/2010: Commissione Europea), dellaCorte di Giustizia – B.M.
domandò pertanto la condanna dello Stato al risarcimento, in suo
favore,del danno predetto.


Si costituì in giudizio il convenuto, resistendo alla domanda.

Nel corso del giudizio spiegò
intervento la “xxxLuigi s.r.l.”, mediante il curatore speciale ex art.
78 c.p.c., appositamente nominato.


Con decreto del 31 ottobre 2014, il
Tribunale di Trento dichiarò inammissibile la domanda ai sensidella L.
n. 117 del 1988, art. 5, nel testo applicabile ratione temporis.


2.- Con decreto del 20 gennaio 2015,
la Corte di Appello di Trento rigettò il reclamo proposto daB.M. e
dichiarò inammissibile quello proposto dalla società “Fxx.” avverso il
decreto del Tribunale, confermando la statuizione di inammissibilità
delladomanda risarcitoria verso lo Stato.


3.- Avverso il decreto B.M. propone ricorso per cassazione articolato in cinque motivi.

Resiste con memoria/controricorso lo
Stato Italiano-Presidenza del Consiglio dei Ministri, inpersona del
Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore, rappresentata e
difesadall\’Avvocatura dello Stato di Trento.


Mediante il curatore speciale, propone
controricorso anche la società dichiarata fallita, “F.lli
BarroGiovanni & Luigi s.r.l.”, la quale avanza altresì ricorso
incidentale affidato a seimotivi, cinque dei quali sovrapponibili a
quelli proposti dal ricorrente principale.

Avverso il ricorso incidentale,
resiste con altra memoria/controricorso lo Stato Italiano-Presidenzadel
Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei
Ministri pro- tempore,rappresentata e difesa dall\’Avvocatura dello
Stato di Trento.


Il ricorrente principale ha depositato memoria ai sensi dell\’art. 378 cod. proc. civ..



Diritto


Preliminarmente, la Corte rileva la
nullità delle memorie/controricorsi depositati dalla Presidenzadel
Consiglio dei Ministri, in quanto rappresentata e difesa dall\’Avvocatura
dello Stato di Trento enon dall\’Avvocatura Generale dello Stato
(cfr.Cass. 20 ottobre 2006, n. 22539).

Va peraltro dato atto che alla
discussione tenuta alla pubblica udienza dell\’8 luglio 2015
hapartecipato l\’Avvocato Generale dello Stato.


1.- Pregiudiziale è l\’esame della
questione posta con la memoria del ricorrente principale,concernente la
portata applicativa della norma sopravvenuta della L. 27 febbraio 2015,
n. 18, art.3, comma 2, che dispone che “la L. 13 aprile 1988, n. 117,
art. 5 è abrogato”.


Ai sensi di questa norma, i giudizi di
responsabilità promossi contro lo Stato dopo l\’entrata invigore della
nuova legge per ottenere il risarcimento dei danni derivanti da
comportamenti, atti oprovvedimenti posti in essere da un magistrato
dopo l\’entrata in vigore della nuova legge nonsaranno preceduti dal
c.d. filtro di ammissibilità, che è stato eliminato mediante
l\’abrogazionedella L. n. 117 del 1988, art. 5.

Nella specie, è impugnato con ricorso
per cassazione il decreto della Corte d\’appello di Trentopronunciato e
pubblicato il 20 gennaio 2015 di rigetto del reclamo proposto avverso il
decreto delTribunale che, pronunciandosi ai sensi del menzionato art.
5, aveva dichiarato inammissibile ilricorso proposto da B.M., in data 7
ottobre 2013, per ottenere il risarcimento dei danni perresponsabilità
civile dei magistrati.

La L. n. 18 del 2015 è entrata in
vigore il 19 marzo 2015, quando già pendeva il presente giudiziodi
legittimità, essendo stato il ricorso principale notificato in data 19
febbraio 2015 e depositato indata 26 febbraio 2015.

Il ricorrente pone la questione
dell\’applicabilità dell\’ius superveniens anche ai giudizi in corso
almomento dell\’entrata in vigore della nuova legge.

1.1.- Secondo la tesi sostenuta dalla
difesa nella memoria ex art. 378 c.p.c., il giudizio diammissibilità
della domanda risarcitoria proposta da B.M. dovrebbe ritenersi travolto
dallaabrogazione della norma che lo prevedeva, con conseguente
legittimazione del ricorrente achiedere ed ottenere direttamente la
pronuncia sul merito: la Suprema Corte, dunque, dovrebbecassare con
rinvio ad altro giudice di pari grado per l\’annullamento del decreto di
inammissibilità erimessione al primo giudice, competente per la fase di
merito.

In favore della tesi
dell\’applicabilità della L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2, ai giudizi
in corsodeporrebbe, secondo il ricorrente, la natura processuale sia
della norma abrogata (la L. n. 117 del1988, art. 5) sia della norma
abrogativa (la L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2). Il riconoscimentodi
tale natura imporrebbe di fare coerente applicazione del principio
tempus regit actum, conconseguente immediata operatività della nuova
disciplina che esclude la precondizione delgiudizio di ammissibilità
dell\’azione risarcitoria, dal momento che la L. n. 18 del 2015
noncontiene disposizioni di diritto transitorio.Inoltre, a detta del
ricorrente, l\’immediatezza dell\’entrata in vigore della legge e la sua
applicabilitàanche ai giudizi in corso si evincerebbero dal testo
dell\’art. 1; si evincerebbero altresì dal fatto che,per il presente
giudizio, è stata fissata l\’udienza pubblica per la discussione del
ricorso, mentrel\’abrogato L. n. 117 del 1988, art. 5 prevedeva che il
ricorso venisse deciso in camera di consiglio.

1.2.- La tesi del ricorrente non
merita accoglimento, pur dovendosi riconoscere alla normaabrogata ed a
quella abrogativa natura processuale, e non sostanziale.

Non è dato qui discutere, in generale,
dei presupposti e dei limiti della responsabilità civile delloStato
per i danni derivanti dai comportamenti, atti e provvedimenti posti in
essere nell\’eserciziodella funzione giurisdizionale, quanto piuttosto,
specificamente, della previsione del c.d. filtro diammissibilità.

La Corte Costituzionale, chiamata a
decidere la questione di legittimità costituzionale della L. n.117 del
1988, art. 19 (che, nello stabilire l\’irretroattività della nuova
disciplina, non prevedevacondizioni di proponibilità della domanda
risarcitoria, analoghe all\’autorizzazione ministeriale giàcontemplata
dall\’art. 56 c.p.c., abrogato, unitamente agli artt. 55 e 74 stesso
codice, a seguito delreferendum popolare del 1987), richiamate le
sentenze n. 2 del 1968 e n. 26 del 1987, ne hadichiarato
l\’illegitrimità costituzionale nella parte in cui, quanto ai giudizi di
responsabilità civiledei magistrati, relativamente ai fatti anteriori
al 16 aprile 1988, e proposti successivamente al 7aprile 1988, non
prevedeva che il tribunale competente verificasse preliminarmente la
nonmanifesta infondatezza della domanda ai fini della sua
ammissibilità. Ciò, sul presupposto che “lamancata previsione nel
contesto della L. n. 117 del 1988, art. 19, di una norma a tutela dei
valoridi cui agli articoli da 101 a 113 della Carta Costituzionale
determina vulnus – prima ancora che deisuddetti parametri – del
principio di non irragionevolezza implicato dall\’art. 3 Cost.”, e che
unpreliminare controllo della non manifesta infondatezza della domanda
ai fini dell\’ammissibilitàdell\’azione risarcitoria fosse necessario
“per un equo bilanciamento degli interessi giustapposti,della
indipendenza ed autonomia della funzione giurisdizionale e della
giustizia da rendersi alcittadino per danni derivantigli dall\’esercito
di quella funzione” (Corte Cost.9-22 ottobre 1990, n.468).

In un precedente giudizio, chiamata a
decidere la questione più generale di legittimitàcostituzionale
dell\’intera L. 13 aprile 1988, n. 117 per contrasto con gli artt. 101,
104 e 108 Cost.(nella parte in cui prevedeva e disciplinava la
responsabilità civile dei giudici per colpa grave), allecensure del
giudice remittente – secondo cui quella disciplina comprometteva
l\’imparzialità el\’indipendenza della magistratura, con l\’attribuire
alle parti uno strumento di pressione idoneo adinfluenzarne le
decisioni – la Corte Costituzionale aveva risposto, tra l\’altro, che “la
previsione delgiudico di ammissibilità della domanda (art. 5 L. cit.)
garantisce adeguatamente il giudice dallaproposizione di azioni
manifestamente infondate, che possano turbarne la serenità, impedendo,
altempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l\’astensione e
la ricusazione” (Corte Cost.11-19 gennaio 1989, n.18).

La circostanza che il c.d. filtro di
ammissibilità abbia la funzione di garantire i valori diindipendenza ed
autonomia della funzione giurisdizionale non è tuttavia sufficiente a
far ritenereche la norma che lo prevede (va) non abbia carattere
processuale, malgrado il suo riconosciutofondamento costituzionale.
Piuttosto, quella funzione viene assicurata mediante un meccanismoche
opera su un piano esclusivamente processuale.

La natura processuale delle norme
sulla competenza e sui termini (art. 4) e sull\’ammissibilità
delladomanda (art. 5) si desume dal fatto, pure evidenziato dal
ricorrente, che si tratta di disposizionivolte a definire i requisiti
necessari ed inderogabili per la proposizione in giudizio della
domandadi responsabilità, non anche per la sua definizione nel merito.

Pertanto – fermo il principio
costituzionale che prevede che i funzionari e dipendenti dello
Stato(tra i quali rientrano anche i magistrati) sono direttamente
responsabili degli atti compiuti inviolazione dei diritti e che la
responsabilità civile si estende allo Stato (art. 28 Cost.) – il
problemadell\’individuazione dei limiti alla responsabilità civile del
giudice, in funzione dell\’equilibratocontemperamento di contrapposti
interessi (l\’interesse generico a che la titolarità di un
pubblicopotere non sia immune da profili di responsabilità con
l\’interesse specifico a che la previsione diforme di responsabilità per
i titolari del potere giurisdizionale non si traduca in
uncondizionamento idoneo ad incidere negativamente sull\’equilibrato
esercizio dello stesso o, peggioancora, non si presti ad essere
utilizzata strumentalmente come arma di pressione volta adincrinare
l\’imparzialità del magistrato), ben può risolversi sul doppio piano
della tutela sostanzialee di quella processuale.

Allora, si può concludere osservando
che la tutela dei principi di autonomia e indipendenza
dellamagistratura (art. 101 Cost., comma 2;art. 104 Cost., comma 1;
art. 108 Cost., comma 2) e di terzietà ed imparzialità del giudice (art.
111Cost., comma 2) è assicurata sia con il riconoscimento al
magistrato di guarentigie concernenti idetti limiti, che operano
sostanzialmente nella definizione dei fatti costituenti illecito
(guarentigie,che concorrono a costituirne lo status, pur se attribuite
non in favore della sua persona, bensì alfine di salvaguardare i
connotati costituzionali della funzione esercitata), sia con la
previsione dinorme processuali volte a regolare l\’esercizio dell\’azione
di responsabilità civile, prevedendoneregole speciali di competenza,
termini e modalità. Tra queste si colloca(va) il giudizio per
ladelibazione preliminare di ammissibilità della domanda finalizzato ad
escludere le azionirisarcitorie temerarie ed intimidatorie, a tutela
dei detti principi costituzionali, come affermatoanche in recenti
arresti di questa Corte (cfr. Cass. 17 aprile 2015, n. 7984).

1.3.- Il carattere processuale della
normativa abrogata e di quella sopravvenuta non comportal\’applicabilità
immediata di quest\’ultima ai giudizi in corso alla data di entrata in
vigore della L. n.18 del 2015, vale a dire ai giudizi introdotti con
ricorso depositato prima del 19 marzo 2015 (cfr.Cass. 29 novembre 2002,
n. 16935, sulla forma dell\’atto introduttivo nel vigore della legge n.
117del 1988).


Anzi, la rigorosa applicazione del
principio tempus regit actum comporta conseguenzediametralmente opposte
a quelle sostenute nella memoria del ricorrente.


Come è noto, secondo la dottrina
tradizionale, recepita dalla giurisprudenza (Cass. 12 maggio2000, n.
6099; nonchè, tra le altre, Cass. 20 settembre 2006, n. 20414 in
motivazione, e Cass. 15febbraio 2011, n. 3688), il principio del tempus
regit actum trova fondamento nell\’art. 11 preleggie comporta che gli
atti del processo traggano validità ed efficacia dalla legge vigente al
tempo incui sono compiuti.

Da tale principio derivano due
conseguenze in caso di successione di norme processuali neltempo: a)
applicazione immediata della nuova regola ai processi pendenti con
riguardo a tutti gliatti ancora da compiere; b) conservazione della
validità e dell\’efficacia degli atti compiuti nelvigore della regola
abrogata (c.d. facta praeterita).

Alla prima conseguenza fa riferimento
la dottrina pressochè unanime allorchè, con espressioneormai
tralatizia, usa ripetere che lo jus superveniens in materia processuale è
per sua natura diimmediata applicazione.

Alla seconda conseguenza fa
riferimento la giurisprudenza allorchè puntualizza che “il
principiodell\’immediata applicazione della legge processuale
sopravvenuta…ha riguardo soltanto agli attiprocessuali successivi
all\’entrata in vigore della legge stessa, alla quale non è dato
incidere,pertanto, sugli atti anteriormente compiuti, i cui effetti
restano regolati, secondo il fondamentaleprincipio del tempus regit
actum, dalla norma sotto il cui imperio siano stati posti in essere”
(Cass.n. 6099/2000 cit.). Con il corollario che quando il giudice
procede ad un esame retrospettivo delleattività svolte, ne stabilisce
la validità applicando la legge che vigeva al tempo in cui l\’atto è
statocompiuto, essendo la retroattività della legge processuale un
effetto che può essere previsto dallegislatore con norme transitorie,
ma che non può essere liberamente ritenuto dall\’interprete (cosìCass.
n. 20414/06 cit., la cui motivazione prosegue osservando che “una
indebita applicazioneretroattiva della legge processuale si ha sia
quando si pretenda di applicare la legge sopravvenutaad atti posti in
essere anteriormente all\’entrata in vigore della legge nuova, sia quando
si pretendadi associare a quegli atti effetti che non avevano in base
alla legge del tempo in cui sono stati postiin essere”).

Le decisioni appena menzionate
esprimono tutte il principio, direttamente correlato alla regola
deltempus regit actum, secondo cui gli effetti di tutti gli atti
processuali (delle parti e del giudice)sono quelli regolati dalla legge
vigente nel momento in cui l\’atto (di parte) è posto in essere o
ilprovvedimento (del giudice) è pronunciato, e non possono essere,
invece, effetti che la leggesopravvenuta ricollega all\’uno od
all\’altro.


Proprio perchè il principio del tempus
regit actum è riferibile agli atti processuali ancora dacompiere, con
salvezza di quelli già compiuti, occorre chiedersi quali siano questi
atti nellafattispecie in esame. Più precisamente, occorre chiedersi
quale sia l\’oggetto della disposizionedella L. n. 117 del 1988, art. 5 e
quale sia l\’effetto dell\’invocata immediata applicazione dellanorma
sopravvenuta della L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2, tenendo presente
che si tratta dinorma soltanto abrogativa.


Quest\’ultima notazione è importante,
attesa la distinzione, operata in dottrina, tra le nozioni divigenza e
di efficacia della norma ed atteso che il punto controverso è se
l\’abrogazione dellanorma ne comporti il venir meno della vigenza o,
piuttosto, come si dirà, la delimitazione della suaefficacia in
relazione al tempo di compimento degli atti che ne sono oggetto.

Orbene, la L. n. 117 del 1988, art. 5
disciplina la domanda introduttiva della lite. Questo oggetto èfatto
palese dal terzo comma dello stesso art. 5 che individua i parametri cui
si deve attenere ladeliberazione che chiude il giudizio previo sulle
condizioni di ammissibilità, appunto, delladomanda. I restanti commi 1,
2, 4 e 5 dello stesso art. 5 dettano le norme per la conduzione
diquesto giudizio e l\’adozione della relativa deliberazione. Il
giudizio di ammissibilità è riferito alladomanda introduttiva della
causa sulla responsabilità, e questa causa, se la domanda èammissibile,
proseguirà secondo il rito ordinario di cognizione.

Allora, è consequenziale rispondere
agli interrogativi posti sopra osservando che l\’atto processualedi cui
si occupa la L. n. 117 del 1988, art. 5 è appunto la domanda
introduttiva della lite; che ladisciplina che lo stesso articolo detta
per questo atto processuale è l\’assoggettamento ad ungiudizio (o meglio
ad un sub-procedimento o c.d. procedimento filtro) di ammissibilità;
che lanorma della L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2, ha abrogato il
procedimento avente ad oggetto ladomanda introduttiva; che se la norma
sopravvenuta si applicasse immediatamente si avrebbe chela domanda
presentata nel vigore della disciplina preesistente, verrebbe ammessa
secondo ladisciplina sopravvenuta. Pertanto, si applicherebbe
quest\’ultima con effetto retroattivo, facendonela legge applicabile ad
un atto processuale compiuto prima della data della sua entrata in
vigore.

Palese sarebbe la violazione proprio
del principio la cui applicazione è invocata dal ricorrente, inquanto
si avrebbe che un atto (di parte) del processo, quale è la domanda
introduttiva della lite, puressendo stato compiuto nel vigore di
un\’apposita norma, non sarebbe da questa disciplinato, nelsenso che gli
effetti di esso verrebbero regolati secondo la legge sopravvenuta.

Per ottenere questo effetto, alla
stregua del principio di irretroattività di cui all\’art. 11
preleggi,sarebbe stata necessaria una nuova apposita previsione del
legislatore. In mancanza, la legge,anche processuale, non dispone che
per l\’avvenire; essa non ha effetto retroattivo.

La peculiarità della questione posta
dal ricorso è data dal fatto che la norma abrogata detta ladisciplina
di un atto di parte, sottoponendo lo stesso ad un giudizio.

Tuttavia, proprio perchè si tratta di
un giudizio di ammissibilità in corso alla data di entrata invigore
della nuova norma ma riferito ad un atto processuale posto in essere nel
vigore dellavecchia, esso non potrebbe interrompersi o perdere
efficacia o, comunque, “venire meno”, se nonfacendo “venire meno” gli
effetti ricollegati all\’atto di parte (domanda giudiziale) dalla
leggevigente nel momento in cui l\’atto è stato compiuto.

1.4.- La vicenda presenta delle
analogie con altra di cui si è occupata questa Corte di
legittimità,traendo dall\’art. 11 preleggi conseguenze applicative
analoghe a quelle delle quali si è fin quidetto.


Si intende fare riferimento alla
sopravvenuta abrogazione per effetto della L. 26 novembre 1990,n. 353,
art. 89 della L. 27 luglio 1978, n. 392, artt. 43 e 45, che prevedevano
il tentativo diconciliazione quale condizione di procedibilità della
domanda in materia di canone locatizio. Inquella situazione si affermò
che, per il principio per cui gli atti processuali sono regolati
dallalegge vigente nel momento del loro compimento, la sopravvenuta
abrogazione della norma cheprevede una condizione di procedibilità
della domanda non fa sì che quest\’ultima diventiprocedibile, anche se
proposta in assenza di quella condizione, ma nella vigenza delle norme
poiabrogate. La successiva abrogazione, infatti, non retroagisce, nel
senso che la procedibilità delladomanda va sempre apprezzata alla
stregua delle disposizioni allora vigenti (Cass. 4 novembre1996, n.
9544; Cass. 13 aprile 2000, n. 4803; Cass. 25 novembre 2002, n. 16576;
Cass. 7 febbraio2006, n. 2527).


Analogamente, nella specie, va
considerato che la L. n. 117 del 1988, art. 5 prevede un
giudiziopreliminare di delibazione che è configurato come fase di un
unitario giudizio di merito, nellaquale è demandato al giudice di
apprezzare le condizioni di ammissibilità della domanda.
Questoapprezzamento va fatto secondo la disciplina processuale vigente
all\’epoca di proposizione delladomanda.

Occorre cioè tenere ben presente che,
quando la legge prevede che una domanda sia soggetta adeterminate
condizioni di ammissibilità e disciplina il procedimento di verifica
dell\’ammissibilitànel contesto della stessa norma (come è per la L. n.
117 del 1988, art. 5), l\’intervento di una normache abroga quest\’ultima
in foto -per essere inteso nel senso del pieno rispetto del canone
disuccessione delle leggi nel tempo per cui la legge nuova dispone,
cioè regola il suo oggetto didisciplina, solo per l\’avvenire- esige che
l\’efficacia di abrogazione si correli in primo luogo allecondizioni di
ammissibilità: ne segue che, poichè esse connotavano la domanda al
momento in cuivenne proposta, l\’efficacia abrogativa della norma
sopravvenuta non può che dispiegarsi se nonper le domande proposte
successivamente all\’entrata in vigore della novella.

1.5.- Nell\’occuparsi del fenomeno
della successione nel tempo della legge processuale civile,questa Corte
ha precisato la portata del principio tempus regit actum in termini
tali da consentire di”dare adeguato rilievo all\’affidamento legislativo
sotteso all\’art. 11 disp. gen.” sia nel senso cheesso “preclude la
possibilità di ritenere che gli effetti dell\’atto processuale già
formato al momentodell\’entrata in vigore della nuova disposinone siano
da questa regolati” (Cass. n. 6099/2000 cit.),sia nel senso che esso
“impone di tenere conto della giusta aspettativa di chi, avendo scelto
dipromuovere un giudizio in riferimento alle prescrizioni di rito
vigenti al tempo in cui ha propostola domanda, si veda alterare in
peius, in base alle nuove regole, la possibilità di uscirne
vincitore;o, per converso, di resistere con successo all\’altrui
pretesa” (Cass. 7 ottobre 2010, n.20811).

Oltre che nella giurisprudenza di
legittimità, l\’opinione in esame trova conforto nelle riflessioni
diquella parte della dottrina che ha evidenziato come, allorchè
disposizioni particolari di dirittotransitorio non siano in concreto
state previste, un coerente sistema di norme di dirittointertemporale
(intendendosi per tale un insieme di regole o principi generali volti a
determinare lanorma in concreto applicabile nel conflitto tra legge
precedente e legge sopravvenuta) dovrebbeessere ricostruito
dall\’interprete, avendo riguardo, da un lato, ai principi costituzionali
sulla tuteladei diritti (ed in primo luogo al principio di affidamento
in materia processuale) e, dall\’altro, aiprincipi stabiliti nelle
preleggi sull\’efficacia della legge nel tempo.

L\’applicazione della disciplina
sopravvenuta all\’atto processuale ancora da compiere dovrebbedunque
risultare coerente con la serie degli atti anteriori, non potendosi
consentire che il principiodell\’operatività immediata incida
negativamente sull\’unità e coerenza interna del singoloprocedimento, nè
che si traduca in un\’indebita applicazione retroattiva della nuova
legge.

Allo stesso modo, una ricostruzione
del sistema di diritto intertemporale rispettoso delle regole inmateria
di efficacia della legge nel tempo, non potrebbe non tenere conto del
disposto dell\’art. 11preleggi, a norma del quale la legge (e, dunque,
anche la legge processuale) non dispone che perl\’avvenire, sicchè lo
jus superveniens processuale dovrebbe bensì trovare applicazione in
relazioneai singoli atti da compiere, ma non dovrebbe determinare la
(retroattiva) sostituzione di un nuovorito ad un rito precedente nella
disciplina del procedimento iniziato nel vigore del vecchio rito.

Orbene, nel passaggio tra la vecchia e
la nuova disciplina processuale dell\’azione risarcitoria neiconfronti
dello Stato per danni cagionati nell\’esercizio delle funzioni
giudiziarie non è stato mutatoil rito, inteso come insieme di norme
vigenti al momento della domanda, ma è stata modificata lafase
introduttiva del processo. Tuttavia, non va trascurato il dato, sopra
evidenziato, che questafase consisteva), a sua volta, nell\’espletamento
di un giudizio di ammissibilità della domanda.Iniziato questo giudizio
al momento della proposizione della domanda, nel compimento di tutti
igradi di questo giudizio la parte convenuta aveva fatto legittimo
affidamento.

1.6.- Giova qui precisare che non si
intende affermare l\’esistenza nell\’attuale sistema normativo
delprincipio compendiato nel brocardo, coniato da altra dottrina, del
tempus regit processum, sulpresupposto che il principio
dell\’applicazione immediata delle norme processuali nei giudizi
incorso, troverebbe applicazione soltanto nelle ipotesi in cui sia
previsto da espressa disciplinatransitoria, e che, al contrario,
l\’esigenza di salvaguardare l\’unità e la coerenza
dell\’attivitàprocessuale già compiuta rispetto a quella ancora da
compiere, unitamente al rispetto del canone diirretroattività,
imporrebbe di ritenere che, se la legge non dispone che per l\’avvenire,
la leggeprocessuale non dispone che per i processi futuri o, quanto
meno, per i gradi di giudizio futuri.

Le ragioni per le quali la tesi non
trova fondamento nell\’attuale diritto positivo sono stateampiamente
esposte da Cass. n. 3688/11 cit, alla cui motivazione non può che farsi
qui integralerinvio.

Quest\’ultima decisione peraltro va
richiamata anche quanto all\’interpretazione dell\’art. 11 preleggi,per
la quale sottolinea l\’importanza dell\’oggetto della “singola norma di
una legge in materiaprocessuale” sopravvenuta, quindi della fattispecie
astratta che essa intende disciplinare.


Anche sotto questo profilo risulta
corroborato il ragionamento svolto sopra, a proposito della L. n.117
del 1988, art. 5 e della sua abrogazione.



L\’art. 5 ha ad oggetto tutto intero un
sub-procedimento di delibazione della domanda; la normasopravvenuta
l\’ha abrogato appunto nella sua interezza; tale abrogazione non può
valere che perl\’avvenire.



In conclusione, va affermato che la
sopravvenuta abrogazione della disposizione di cui alla L. 13aprile
1988, n. 117, art. 5, per effetto della L. 27 febbraio 2015, n. 18, art.
3, comma 2, non esplicaefficacia retroattiva, onde l\’ammissibilità
della domanda di risarcimento dei danni cagionatinell\’esercizio delle
funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle
disposizioniprocessuali vigenti al momento della sua proposizione. Il
giudizio di ammissibilità previstodall\’art. 5 cit. pertanto prosegue
secondo le norme poste da questa disposizione qualora ladomanda sia
stata avanzata con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015, data di
entrata invigore della L. n. 18 del 2015.


Il principio trova riscontro in
recenti arresti di questa Corte in cui si è affermata
l\’applicabilitàdella L. n. 117 del 1988, art. 5 ai giudizi pendenti
alla data di entrata in vigore della L. n. 18 del2015 (Cass. n. 7924/15
cit.), nonchè l\’inapplicabilità ai giudizi pendenti delle modifiche
apportateda quest\’ultima legge (Cass., ord. 14 maggio 2015, n. 9916;
Cass. ord. 18 maggio 2015, n. 10121).

1.7.- Detto principio, infine, non
trova smentita nella giurisprudenza formatasi successivamentealla
declaratoria di illegittimità costituzionale dell\’art. 274 c.c., che
prevedeva un giudizio diammissibilità dell\’azione per la dichiarazione
giudiziale di paternità o di maternità naturale.

L\’art. 274 c.c. è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da Corte Cost. n. 50 del 10 febbraio 2006.
Per effetto della declaratoria di
illegittimità costituzionale, il giudizio di ammissibilità
sull\’azioneper la dichiarazione giudiziale paternità o maternità
naturale è venuto meno, con conseguenteproponibilità dell\’azione
direttamente al giudice di merito secondo le regole ordinarie. Tale
direttaproponibilità, secondo la giurisprudenza di legittimità
formatasi successivamente alla sentenzadella Corte Costituzionale, si è
determinata anche nei procedimenti pendenti, nei quali lapronuncia di
illegittimità costituzionale ha travolto il giudizio di ammissibilità in
corso e iprovvedimenti eventualmente emessi dal Tribunale e dalla
Corte di Appello.

Orbene, la vicenda dell\’abrogazione
della L. n. 117 del 1988, art. 5 e quella della declaratoria
diillegittimità costituzionale dell\’art. 274 c.c. presentano differenze
tali che non consentono diaccomunarle sul piano delle implicazioni
applicative.

Gli effetti della declaratoria di
illegittimità costituzionale operano ex tunc,
escludendodall\’ordinamento con efficacia retroattiva la norma ritenuta
illegittima, con il solo limite deirapporti già esauriti in modo
definitivo per avvenuta formazione del giudicato o per maturazionedi
preclusioni processuali, decadenze e prescrizioni non investite dalla
pronuncia diincostituzionalità (arg. L. 11 marzo 1953, n. 87, ex art.
136 Cost. e art. 30, comma 3);

gli effetti dell\’abrogazione operano,
invece, ex nunc, disciplinando, soltanto per l\’avvenire, lamateria già
regolata dalla norma abrogata (arg. ex art. 11 preleggi): la radicale
differenza tra le duesituazioni ha indotto la dottrina a puntualizzare
che il venir meno ex tunc della fonte del diritto(conseguente alla
dichiarazione di illegittimità costituzionale) esclude l\’applicazione
della regolatempus regit actum, la quale presuppone la successione nel
tempo di fonti valide (propria delfenomeno abrogativo).


1.8.- Privi di pregio risultano,
infine, gli ulteriori argomenti esposti nella memoria a sostegno
dellatesi dell\’applicabilità immediata della norma abrogativa.


Quanto al contenuto della L. n. 18 del
2015, art. 1, laddove enuncia la finalità delle modificazioniapportate
alla L. n. 117 del 1988, è da escludere che essa operi come una
disposizione transitoria,nel senso preteso dal ricorrente.

L\’interpretazione letterale e sistematica della disposizione e le ragioni della sua introduzionedepongono in tutt\’altro senso.
Nell\’individuare i presupposti
sostanziali della responsabilità dello Stato per i danni derivanti
dacomportamenti, atri e provvedimenti posti in essere da un magistrato
nell\’esercizio delle funzioni,la L. n. 117 del 1988, art. 2, nella
formulazione originaria esigeva la necessità della presenza deldolo o
della colpa grave del magistrato (salvi i casi di diniego di giustizia
di cui al successivo art.3), tipizzando la colpa grave nelle
fattispecie di grave violazione di legge e di affermazione (onegazione)
di un fatto incontrastabilmente escluso (o risultante) dagli atti del
procedimento,purchè determinate da negligenza inescusabile (commi 1 e
3); escludeva la responsabilità conriguardo all\’attività di
interpretazione delle norme del diritto e di valutazione del fatto e
delle prove(comma 2).

Entrambe le limitazioni sono state
ritenute in contrasto con il diritto dell\’Unione Europea dallasentenza
della Corte di Giustizia 24 novembre 2011 (causa C-379/2010: Commissione
Europea),posta a base, come si dirà, del primo motivo di ricorso.


In particolare, con quest\’ultima
sentenza si è statuito: “La Repubblica Italiana, 1) escludendoqualsiasi
responsabilità… per i danni arrecati a seguito di una violazione del
diritto dell\’Unioneimputabile a un organo giurisdizionale nazionale di
ultimo grado, qualora tale violazione risulti dainterpretazione di
norme di diritto o da valutazione di fatti e prove… e 2) limitando
taleresponsabilità ai soli casi di dolo o colpa grave (conducendo tale
limitazione ad escludere laresponsabilità in ipotesi di violazione
manifesta del diritto vigente), ai sensi della L. n. 117 del1988, art.
2, commi 1 e 2,…è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti inforca
del principiogenerale di responsabilità degli stati membri per
violazione del diritto dell\’Unione da parte di unodei propri organi
giurisdizionali di ultimo grado”.


Con questa decisione la Corte di
Giustizia ha così accolto il ricorso per inadempimento propostodalla
Commissione Europea nei confronti della Repubblica Italiana.


Tale sentenza ha occasionato, anche a
seguito dell\’avvio di una procedura d\’infrazione da partedella
Commissione Europea, l\’approvazione della L. 27 febbraio 2015, n. 18. La
scelta dellegislatore non è stata nel senso di prevedere un\’autonoma
apposita azione di responsabilità neiconfronti dello Stato per
violazione del diritto dell\’Unione, bensì di ridefinire i presupposti
dellaresponsabilità dello Stato per i danni derivanti ai singoli da
comportamenti, atti e provvedimentiposti in essere da magistrati
nell\’esercizio delle funzioni.

L\’art. 1 della novella, disponendo che
“la presente legge introduce disposizioni volte a modificarele norme
di cui alla L. 13 aprile 1988, n. 117, alfine di rendere effettiva la
disciplina che regola laresponsabilità civile dello Stato e dei
magistrati, anche alla luce dell\’appartenenti dell\’Italiaall\’Unione
Europea”, enuncia lo scopo della riforma della legge sulla
responsabilità civile deimagistrati, che è agganciata alla pretesa
risarcitoria azionabile nei confronti dello Stato. Trattasi
dienunciazione che, costituendo il vero e proprio programma della
riforma, non può che essererivolta alla sua (futura) applicazione.


Non vi è alcun indice, nè letterale nè
sistematico, che induca ad attribuire alla disposizione ilsignificato
di deroga al principio generale dell\’irretroattività della legge
sopravvenuta, di cui al piùvolte richiamato art. 11 preleggi.
Piuttosto, si tratta di norma che si spiega tenendo conto dellevicende
che hanno portato all\’emanazione della L. n. 18 del 2015, sopra
sinteticamente richiamate.



L\’accertato contrasto della L. n. 117
del 1988, art. 2, nella sua formulazione originaria, con ildiritto
dell\’Unione Europea potrà comportare che esso (qualora ancora
applicabile rationetemporis) debba essere disapplicato, alla stregua
delle regole elaborate dalla giurisprudenzacomunitaria (per la quale la
violazione del diritto dell\’Unione da parte di un organo
giurisdizionaledi uno Stato membro da luogo a responsabilità dello
Stato medesimo nei confronti del singoloallorchè ricorrano le tre
seguenti condizioni: A) la norma giuridica violata sia preordinata
aconferire diritti a singoli; B) la violazione sia stata manifesta e
sufficientemente caratterizzata inrelazione al grado di chiarezza e
precisione della norma violata, al carattere intenzionale
dellaviolazione, alla scusabilità o inescusabilità dell\’errore di
diritto, alla posizione eventualmenteadottata da un\’istituzione
comunitaria e alla mancata osservanza, da parte
dell\’organogiurisdizionale, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ex
art. 267 Trattato UE (già art. 234Trattato CE); C) esista un nesso
causale diretto tra la violazione e il danno subito dal singolo: trale
altre, sentenze 19 novembre 1991, Francovich e a.; 5 marzo 1996, Cause
riunite C-46/93 eC-48/93 Brasserie du Pecheur e Factortame; 30
settembre 2003, causa C-224/01, Kobler,richiamate dalle sentenze 13
giugno 2006, causa C-l 73/2003, Traghetti del Mediterraneo s.p.a. e24
novembre 2011, causa C- 379/2010, Commissione Europea).


Di certo, detto (eventuale) contrasto
non potrebbe valere ad attribuire efficacia retroattiva allanorma che
ha abrogato il giudizio di ammissibilità. E ciò anche in ragione del
fatto chequest\’ultimo, oltre che conforme ai parametri costituzionali,
alla stregua delle pronunce dellaConsulta sopra richiamate, è, in sè
compatibile, con il diritto dell\’Unione Europea e con lagiurisprudenza
comunitaria.

Tanto è vero che nemmeno il ricorrente
contesta espressamente siffatta compatibilita, e comunque essa è stata
di recente ribadita anche da questa Corte con la sentenza 3 gennaio
2014, n. 41, allacui motivazione si fa integrale rinvio.

1.8.1.- Ancor meno consistente risulta l\’argomento che fa leva sulla trattazione in pubblica udienzadei ricorsi qui riuniti.

Per superarlo, oltre a richiamare la
massima di Cass. 13 dicembre 1999, n. 13919 (secondo cui “Intema di
responsabilità civile dei magistrati e con particolare riguardo alla
fase di ammissibilitàdella domanda risarcitoria (che, ai sensi della L.
n. 117 del 1988, art. 5, e deliberata in camera diconsiglio sia in
primo grado che in sede di reclamo), non si rinvengono, nè nel citato
art. 5, nènell\’art. 375 c.p.c., comma 1, argomenti testuali dai quali
desumere che il rito camerale debbaessere adottato anche per la
trattazione e deliberazione del ricorso per cassazione avverso
ildecreto pronunciato dalla Corte d\’appello in sede di reclamo relativo
alla ammissibilità dellapredetta domanda risarcitoria”), è sufficiente
osservare che si è trattato di una scelta volta agarantire una più
ampia esplicazione dei diritti di difesa di tutte le parti coinvolte nel
giudizio dilegittimità. La sua rilevanza si ferma tuttavia al mero
piano della tecnica del processo (e dellacorrelata garanzia dei diritti
delle parti in seno al processo), senza che possano
inferirsiconseguenze sul piano della decisione.


2.- Prima di esaminare il primo motivo
del ricorso principale, col quale si deduce (art. 360 c.p.c.,n. 3)
violazione ed erronea applicazione della L. n. 117 del 1988, art. 2,
commi 1 e 2, vecchiaformulazione, per mancata ottemperanza da parte
della Corte di Appello di Trento a quantostatuito dalla Corte di
Giustizia con la sentenza 24.11.2011 in causa C-379, è opportuno
esaminarei motivi che attengono al merito del giudizio di
inammissibilità dell\’azione espresso dalla Corted\’Appello. Col secondo
motivo, il ricorrente deduce (art. 360 c.p.c., n. 3) violazione ed
erroneaapplicazione della L. n. 117 del 1988, art. 4, n. 2, vecchia
formulazione, sui presupposti diammissibilità dell\’azione risarcitoria,
per avere la Corte di Appello indebitamente, da un lato,ritenuto non
esperiti tutti i mezzi di impugnazione avverso i provvedimenti
asseritamente lesivi (inragione della mancata proposizione del previsto
reclamo in relazione al primo decreto emesso nelcorso del procedimento
ex art. 2409 c.c.) e, dall\’altro lato, ritenuto spirato il termine di
decadenzabiennale in relazione alle pretese derivanti dai provvedimenti
emessi in occasione delprocedimento ex art. 2409 c.c. (avuto riguardo
al lasso di tempo intercorso tra l\’ultimoprovvedimento e il ricorso ex
L. n. 117 del 1988).

Pregiudiziale è l\’esame della censura
concernente tale ultima statuizione della Corte di merito,dato che la
sua infondatezza rende superfluo l\’esame dell\’altra, che resta assorbita
perchè rivoltaavverso la statuizione di inammissibilità per mancato
preventivo esperimento dei mezzi diimpugnazione.

Il ricorrente principale sostiene che
vi sarebbe un nesso causale tra il procedimento ex art. 2409c.c. e il
successivo processo di fallimento, sicchè il dies a quo del termine
biennale previsto dallaL. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2, (nel testo
all\’epoca vigente), andrebbe riferito, non già alladata di conclusione
del primo procedimento (tra l\’altro da fissare, a suo dire, al 16 giugno
2010,epoca in cui era stata definitivamente rigettata la richiesta di
revoca del decreto dell\’11.04.2005),ma alla data di conclusione del
secondo (4.06.2012: data della sentenza della Cassazione reiettivadel
ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia
confermativa del rigettodell\’opposizione alla dichiarazione di
fallimento).


2.1.- Il motivo è infondato.


La circostanza che il termine di
decadenza previsto dalla L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2,secondo
periodo, sia in concreto decorso risulta dagli atti e non è neppure
oggetto di controversiatra le parti, in quanto:

– il primo provvedimento adottato dal Tribunale di Treviso ai sensi dell\’art. 2409 c.c., comma 2, èdel 28 settembre 2004;
– il secondo provvedimento adottato dal
Tribunale di Treviso ai sensi dell\’art. 2409 c.c., comma 4, èstato
depositato l\’11 aprile 2005;

– il decreto emesso in sede di reclamo dalla Corte d\’Appello di Venezia reca la data del 16-29giugno 2005;
– la sentenza della Corte di
Cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso
avversoquest\’ultimo decreto è la n. 13767 del 12 giugno 2007;

– l\’ordinanza con la quale la Corte
d\’Appello di Venezia ha dichiarato inammissibile la revoca deldecreto
del 16-29 giugno 2005 è stata pronunciata in data 15 giugno 2010;


la domanda risarcitoria è stata proposta con ricorso depositato il 7 ottobre 2013.


D\’altronde, il ricorrente non ha
contestato questa tempistica ma ha dedotto unicamente l\’assenza
disoluzione di continuità tra i due procedimenti, assumendo che la
denuncia ex art. 2409 c.c.avrebbe costituito la causa del successivo
fallimento. In proposito è corretto in diritto ilragionamento seguito
dalla Corte di Appello di Trento, che si fonda sulla constatazione che i
dueprocedimenti sono distinti e autonomi, il primo trovando fondamento
nei dedotti fatti di malagestio degli amministratori, il secondo nel
presupposto oggettivo dell\’insolvenza della società. Nèè riscontrabile
alcun rapporto giuridico tra l\’uno e l\’altro, tale che il secondo debba
esserepreceduto dal primo, sicchè questo si venga a configurare come
indefettibile presuppostodell\’istanza e/o della dichiarazione di
fallimento di una società.

La successione cronologica tra i due
procedimenti e la consequenzialità puramente di fatto tral\’uno e
l\’altro (che si è venuta a determinare per la prospettazione
dell\’insolvenza da partedell\’amministratore giudiziario) non valgono a
saldare i due procedimenti ai fini del decorso deltermine di decadenza
di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 4.

Il nesso tra i due procedimenti è
stato peraltro escluso da questa Corte con la sentenza 4 giugno2012, n.
8946, pronunciata nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di
fallimento, nella cuimotivazione si legge che la circostanza che il
fallimento, constatato lo stato di insolvenza, sia statodichiarato
d\’ufficio “elimina ogni eventuale nesso di causalità fra gli effetti
riconducibili alleiniziative adottate a causa e nell\’ambito della
procedura ex art. 2409 c.c. e il contestatofallimento”.

La L. n. 117 del 1988, art. 4, comma 2
(sul punto non modificato dalla legge sopravvenuta del2015) è chiaro
nel prevedere che il termine decorre “dal momento in cui l\’anione è
esperibile” equesto momento è individuato nell\’esperimento di tutti i
mezzi ordinari di impugnazione “ecomunque quando non siano più
possibili la modifica o la revoca del provvedimento”;l\’esaurimento del
“grado del procedimento nel quale si è verificato il fatto che ha
cagionato dannoӏ infatti previsto come ipotesi alternativa a quelle
del procedimento regolato mediante gli ordinaririmedi impugnatori o di
provvedimento modificabile o revocabile.Il riferimento normativo è
quindi fatto al singolo procedimento, concluso da un
determinatoprovvedimento, nell\’ambito del quale la parte lamenti si
siano avuti comportamenti, atti oprovvedimenti illeciti posti in essere
da magistrati. Nella specie, peraltro, la stessa domandarisarcitoria
distingue nettamente gli atti ed i provvedimenti illeciti
(asseritamente) posti in esserenel procedimento ex art. 2409 c.c.
(adozione del relativo procedimento per la s.r.l. laddove sarebbestato
dettato per le s.p.a. e violazione del contraddittorio) e gli atti ed i
provvedimenti illeciti(asseritamente) posti in essere nella procedura
pre- fallimentare e fallimentare (violazione delcontraddittorio).


L\’azione risarcitoria ben avrebbe
potuto essere tempestivamente esercitata per i primi, nonriscontrandosi
alcun ostacolo normativo o di fatto al relativo tempestivo esercizio,
essendoconfigurabile come danno risarcibile -tenuto conto delle
prospettazioni del ricorrente- ladeterminazione dello stato stesso di
insolvenza, a causa dell\'(asserita) illegittimità della proceduraex
art. 2409 c.c. e/o dell\'(asserito) illecito comportamento degli organi
intervenuti.


D\’altronde, questa Corte ha rilevato
come nemmeno l\’illegittimità della procedura di
nominadell\’amministratore giudiziario “potesse essere ostativa alla
dichiarazione di fallimento d\’ufficio”(Cass. n. 8946/12, cit.).


2.2.- Detto quanto sopra, non rileva
che, in sede di adeguamento del diritto interno, con la L. 27febbraio
2015, n. 18, di modifica della L. n. 117 del 1988, il legislatore
nazionale abbia novellatoanche la disposizione contenuta nell\’art. 4,
comma 2, secondo periodo, aumentando il termine didecadenza da due a
tre anni.


Le ragioni di inapplicabilità della
normativa sopravvenuta sono quelle già esposte sopra aproposito
dell\’art. 5, essendo anche la norma dell\’art. 4 volta a disciplinare un
atto oramaidefinitivamente compiuto.

Per di più, il tempo trascorso
dall\’ultimo dei provvedimenti rilevanti per la definizione
delprocedimento ex art. 2409 c.c. supera abbondantemente anche il
triennio, avuto riguardo alla datadi deposito dell\’atto introduttivo
della presente controversia, il 7 ottobre 2013.

In conclusione, il secondo motivo di
ricorso va rigettato quanto alla dichiarazione diinammissibilità per
decadenza, restando inammissibile per carenza di interesse la
censuraconcernente la dichiarazione di inammissibilità per mancato
esperimento dei mezzi diimpugnazione endo-procedimentali.


3.- Gli altri motivi di ricorso
attengono alla questione della manifesta infondatezza della
domandarisarcitoria formulata contro lo Stato.

All\’interno di questo ordine di motivi
può ulteriormente distinguersi tra quelli che trovanofondamento in
violazioni asseritamente commesse soltanto nel procedimento ex art. 2409
c.c. equelli che trovano fondamento in violazioni asseritamente
commesse anche nel giudizio difallimento.

L\’esame dei primi è assorbito dal
rigetto del motivo concernente la ritenuta inammissibilitàdell\’azione
risarcitoria per detto procedimento, che rende inammissibili per carenza
di interesse glialtri che attengono al merito delle violazioni che
sarebbero state commesse nel procedimento exart. 2409 c.c..

Conseguentemente, è inammissibile il
quarto motivo, che trova fondamento nella dedotta errataapplicazione
dell\’art. 2409 c.c., sul presupposto che la disciplina contenuta in
questa disposizione,dettata esclusivamente per le società per azioni,
sarebbe stata dai giudici indebitamente estesa aduna società a
responsabilità limitata.3.1. – La statuizione di decadenza dall\’azione
risarcitoria concernente le (pretese) violazioniattinenti il
procedimento ex art. 2409 cod. civ., quale risulta dal rigetto del
secondo motivo diricorso, rende inammissibile anche il quinto motivo,
che riguarda il merito della stessa azione.

Con esso infatti è state dedotta (art.
360 c.p.c., n. 3) violazione e mancata applicazione dell\’art. 2Cost.,
comma 2, nonchè degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., nonchè infine degli
artt. 88 e 89 cod.proc. civ., sul presupposto della violazione, da
parte dell\’Avvocatura Distrettuale dello Stato nelcorso del giudizio di
responsabilità, del dovere processuale di lealtà e probità, nonchè del
doveregenerale di correttezza, perchè, in questo giudizio, avrebbe
sostenuto un\’interpretazione dell\’art.2409 cod. civ. diametralmente
opposta a quella sostenuta dall\’Avvocatura Generale dello Stato neidue
giudizi di legittimità costituzionale conclusisi con la sentenza n.
481/2005 e con l\’ordinanza n.116/2014.


4.- Tra le violazioni asseritamente
commesse sia nel procedimento ex art. 2409 c.c. sia nelgiudizio di
fallimento rientra quella posta a fondamento del terzo motivo di
ricorso, con cui è statalamentata la violazione e mancata applicazione
degli artt. 78 e 182 c.p.c. per avere la Corte diAppello (con riguardo
ad entrambi i procedimenti) escluso la necessità della nomina del
curatorespeciale ex art. 78 c.p.c., omissione dalla quale sarebbe
invece derivata la lesione del principio delcontraddittorio e del
diritto di difesa della società, che sarebbe restata incolpevolmente
contumace.

Con riguardo alla violazione
asseritamente commessa in occasione del procedimento ex art. 2409c.c.,
anche questo motivo è inammissibile per le ragioni di cui sopra.

Il motivo di ricorso non merita
comunque accoglimento, in quanto infondato per la parte in cuiassume
essersi verificata la medesima violazione nel corso del giudizio di
fallimento.

Il giudizio della Corte di appello
appare infatti ineccepibile nella parte in cui evidenzia che
nelprocesso per la dichiarazione di fallimento, la società dichiarata
fallita era rappresentatadall\’amministratore giudiziario nominato con
il secondo decreto ex art. 2409 cod. civ., il quale nonera in conflitto
di interessi, di tal che non vi era spazio per la nomina del curatore
speciale nè puòdirsi verificata una lesione del diritto di difesa della
società e del principio del contraddittorio.


Il ricorrente assume che il conflitto
di interessi si sarebbe avuto, nella specie, per il fatto
chel\’amministratore giudiziario ebbe a proporre l\’instaurazione
officiosa della procedura fallimentare.

Se si considera che risulta dagli atti
e dal decreto impugnato che egli si trovava ad esercitare tutti
ipoteri di ordinaria e straordinaria amministrazione (come da decreto
dell\’8 aprile 2005), si deveconcludere per la totale equiparazione al
legale rappresentante della società. Questa comporta chela
prospettazione dello stato di insolvenza non fosse, di per sè, indice di
conflitto di interessi tra ilmedesimo e la società, essendo il legale
rappresentante addirittura legittimato alla presentazionedell\’istanza
di fallimento.

Intanto può aversi conflitto di
interessi tra il legale rappresentante e la società, rilevante ai
sensidell\’art. 78 c.p.c., comma 2, in quanto si prospetti un contrasto,
in concreto, tra l\’interessepersonale della persona fisica dotata di
poteri rappresentativi e l\’interesse della società: ciò che,oltre ad
essere incompatibile in astratto con l\’ufficio di amministratore
giudiziario, è stato inconcreto escluso dalla Corte d\’Appello, e non è
nemmeno dedotto specificamente da partericorrente.

In relazione al giudizio di
opposizione, è agevole poi rilevare che, per giurisprudenza
consolidata,non sussiste litisconsorzio necessario in capo al fallito,
il cui diritto di difesa trova adeguata tutelanella possibilità di
partecipare al giudizio medesimo in veste di interventore volontario, ex
art. 105c.p.c., comma 2, (Cass. civ., Sez. 1, 30 ottobre 2008, n.
26108; Cass. civ., Sez. 1, 6 febbraio 1998,n.1225). La circostanza che
nel caso di specie la società “F.lli Barro Giovanni &Luigi
s.r.l.” non avesse inteso esercitare il suo potere di intervento in tale
giudizio non avevaovviamente determinato il sorgere dei presupposti
per la nomina del curatore speciale, sicchèneppure con riguardo a tale
fase del giudizio è riscontrabile una lesione del principio
delcontraddittorio.


E comunque, non di ciò si tratta in
questa sede, bensì della responsabilità dei giudici delleprocedure
pre-fallimentare e di opposizione alla dichiarazione di fallimento.
Pertanto, se nonrilevano i profili di difetto di legittimazione attiva
del ricorrente B. in proprio, rileva tuttavia chel\’illecito da questi
dedotto concerne attività di interpretazione delle norme e che questa
risultaessere stata conforme, come detto, alla giurisprudenza di
legittimità.


5.- Tanto chiarito in ordine alle
violazioni di legge che si assumono essere state perpetrate, può
oraesaminarsi il primo motivo di ricorso, con il quale B.M. – sul
presupposto che le predetteviolazioni avrebbero dovuto essere valutate
facendo applicazione, non già della disciplina didiritto interno
concernente i presupposti della responsabilità dello Stato per i danni
derivanti daatri e comportamenti posti in essere dai magistrati
nell\’esercizio delle funzioni (L. n. 117 del 1988,art. 2, commi 1 e 2),
ma della ben più pregnante disciplina posta dal diritto dell\’Unione
Europea,quale risultante dalle sentenze 13 giugno 2006 (causa
C-173/2003: Traghetti del Mediterraneos.p.a.) e 24 novembre 2011 (causa
C-379/2010: Commissione Europea), della Corte di Giustizia -ha
censurato il decreto della Corte di Appello di Trento per non avere
applicato i principi fissatinella sentenza 24.11.2011 in causa C-379,
chiedendo altresì a questa Corte di Cassazione dirinviare
pregiudizialmente ex art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia al fine di
accertare conefficacia di giudicato la non conformità della L. n. 117
del 1988, art. 2, vecchia formulazione(indebitamente applicato nella
fattispecie) al diritto Europeo.


5.1.- Il motivo non merita accoglimento.


La sentenza della Corte di Giustizia
24.11.2011 in causa C-379, occupandosi delle violazioni deldiritto
dell\’Unione poste in essere da organi giurisdizionali di ultima istanza,
riprende il solco dellagiurisprudenza precedente sul tema generale
della responsabilità dello Stato per i danni derivantida comportamenti,
atti e provvedimenti posti in essere da magistrati nell\’esercizio delle
funzioni estigmatizza la non conformità al diritto Europeo dell\’art.
2, vecchia formulazione, secondo quantogià esposto sopra.


Tuttavia, proprio per il fatto che la
non conformità della norma al diritto Europeo è stataripetutamente
affermata dalla giurisprudenza Europea, che ben ha chiarito la portata
di talevalutazione, non vi è spazio alcuno per un nuovo rinvio
pregiudiziale.


Inoltre, nella specie non può che
essere ribadito quanto già accertato circa l\’insussistenza
delleviolazioni di legge dedotte dal ricorrente, in specie con
riferimento alla procedura fallimentare,poichè non vi è stata alcuna
manifesta violazione delle norme giuridiche indicate da quest\’ultimo(a
prescindere dal fatto che trattasi di norme del diritto interno
nazionale e che la violazione vengaascritta ad organi giurisdizionali
non di ultima istanza).


Questa insussistenza comporta la manifesta infondatezza dell\’azione, così come affermato dallaCorte di merito.



Tenuto conto di ciò, nonchè della pur
riscontrata decadenza dall\’azione per il procedimento ex art.2409 cod.
civ., è corretto il giudizio di inammissibilità della domanda espresso
nel provvedimentoqui impugnato. In conclusione, il ricorso principale
va rigettato.


6.- Premesso che la rilevata nullità
dei controricorsi, non esime il collegio dall\’esaminare lequestioni
fatte oggetto di apposite eccezioni, ma rilevabili d\’ufficio, va
dichiarata l\’inammissibilitàdel ricorso incidentale proposto dalla
società “F.lli Barro Giovanni & Luigi s.r.l.”.

Al giudizio de quo sono infatti
inapplicabili gli artt. 370 e 371 cod. proc. civ., poichè la
faseintroduttiva per la decisione sull\’ammissibilità della domanda,
anche in sede di legittimità, èinteramente disciplinata dalla norma
speciale della L. n. 117 del 1988, art. 5, comma 4.


Si è già detto sopra che l\’art. 5
regola per intero un giudizio di ammissibilità che si colloca,
qualeapposito sub-procedimento, nella fase introduttiva del pur
unitario giudizio di responsabilità. Lanorma è in deroga alle
previsioni sul rito ordinario di cognizione in sede di merito e di
legittimitàcon essa incompatibili. La giurisprudenza di questa Corte ha
già avuto modo di pronunciarsi alriguardo affermando, sia pure ad
altri fini, l\’inapplicabilità degli artt. 370 e 371 cod. proc. civ.
(cfr.Cass. 30 luglio 1999, n. 3260;Cass. 10 ottobre 2003, n. 15156;
Cass. 20 gennaio 2006, n. 1104;Cass. 25 settembre 2012, n. 16278).


Tenuto conto di quanto disposto dalla
L. n. 117 del 1988, art. 5, comma 4, va escluso che ilgiudizio di
ammissibilità in Cassazione consenta la presentazione di ricorso
incidentale da parte disoggetto diverso dal Presidente del Consiglio
dei Ministri (cfr., per l\’ammissibilità di questo, Cass.n. 3260/99 cit)
e del magistrato/i intervenuto/i ai sensi dell\’art. 6 della stessa
legge.


Il termine di dieci giorni successivi
al deposito del ricorso nella cancelleria della Corte
d\’Appello,assegnato per “costituirsi…depositando memoria e fascicolo
presso la cancelleria”, è espressamente riferito soltanto
all\'”altraparte”. Tale si deve intendere il soggetto resistente, vale a
dire, ai sensi del precedente art. 4, ilPresidente del Consiglio dei
Ministri (alla cui posizione processuale è equiparata
quelladell\’intervenuto ex art. 6). Nei confronti di quest\’ultimo
soltanto è proposta la domanda, della cuiammissibilità si tratta, e
perciò soltanto quest\’ultimo è “altra parte” rispetto alla parte
soccombentenei gradi di merito del giudizio di ammissibilità.


Ove nel giudizio di ammissibilità
della domanda vi siano più parti soccombenti dinanzi alla
Corted\’Appello, ciascuna di queste ha l\’onere di proporre
l\’impugnazione avverso il decreto diinammissibilità nel termine di
trenta giorni dalla sua notificazione, a prescindere
dall\’avvenutodeposito di ricorso per cassazione da parte di altro
soccombente.


Giova aggiungere che siffatta
interpretazione della L. n. 117 del 1988, art. 5, comma 4, oltre
adessere coerente con la specialità riconosciuta alla norma e con la
sua lettera, è anche conforme allaratio legis che vi è sottesa: quella
di evitare la dilatazione dei tempi processuali che si avrebbe perla
necessaria difesa con ulteriore memoria (o controricorso) a ricorso
incidentale e per ilnecessario rinvio della trasmissione degli atti
dalla corte d\’appello alla Corte di cassazione.



6.1.- Nel caso di specie, essendo
stato notificato il decreto della Corte d\’Appello in data 20gennaio
2015, il termine d\’impugnazione per tutte le parti soccombenti era
fissato al 19 febbraio2015.


Il ricorso incidentale è stato
depositato in data 7 marzo 2015 e spedito per le notificazioni in data
9marzo 2015. Esso è inammissibile perchè tardivo.

7.- Le spese seguono la soccombenza e
si liquidano come da dispositivo, tenuto conto che l\’attivitàdifensiva
dello Stato Italiano – Presidenza del Consiglio dei Ministri si è svolta
validamentesoltanto quanto alla partecipazione alla discussione.


P.Q.M.


La Corte, decidendo sui ricorsi,
rigetta il principale e dichiara inammissibile l\’incidentale.Condanna
il ricorrente principale e la società ricorrente incidentale al
pagamento delle spese delpresente giudizio di legittimità, in favore
dello Stato Italiano – Presidenza del Consiglio deiMinistri, che
liquida, per l\’uno e per l\’altra, nell\’importo complessivo di Euro
6.100,00 ciascuno,oltre spese prenotate a debito.


Trattandosi di causa esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.



Così deciso in Roma, il 8 luglio 2015.



Depositato in Cancelleria il 15 dicembre 2015

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