sabato, Maggio 18, 2024
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SCARTI DI POTATURA & STERPAGLIE: Bruciare è possibile… a certe condizioni!

Bruciare
rami e sterpaglie è reato?

La praticabilità dell\’abbruciamento dei residui vegetali alla luce
delle recenti modifiche legislative

Bruciare residui vegetali in genere, ad esempio toppie,
ramaglie e avanzi di potature, è una pratica agricola molto diffusa, in quanto
per molti anni si è trattato di un\’attività lecita.

Alla luce dei più recenti interventi normativi e giurisprudenziali,
tuttavia, è necessario adottare particolari cautele in quanto si rischia di
incorrere in sanzioni civili, ma anche penali.

In primis, si rammenta che l\’art. 844 del codice civile punisce
il proprietario di un fondo le cui immissioni di fumo nel fondo vicino
superino la normale tollerabilità. Pertanto, un falò appiccato in prossimità
della proprietà confinante, che generi fumi irrespirabili e insopportabili,
potrebbe essere la “miccia” per una causa civile di risarcimento
danni, anche se l\’episodio è singolo o sporadico.

Invece, per quanto riguarda l\’ambito penalistico, la materia in
precedenza era regolata autonomamente dai Comuni che, per la maggior parte,
prevedevano un divieto di accendere fuochi soltanto in un determinato
periodo dell\’anno
, pena una sanzione amministrativa.

Il legislatore è poi intervenuto non solo per limitare il rischio
incendi, ma soprattutto per quanto riguarda la qualificazione dei residuiprovenienti dalle attività di disboscamento, potatura, raccolta, pulizia di
boschi, campi, ecc.: infatti, se questi vengono qualificati come “rifiuti“,
si richiede uno smaltimento conforme alle apposite procedure previste a seconda
che siano classificati urbani o speciali o in base alla loro natura.

Ancora, il cd. decreto Terra dei Fuochi, d.l. n. 136/2013
(convertito con L. n. 6/2014), al fine di reprimere le vicende criminose e
dannose per l\’ambiente che hanno messo in luce la situazione in Campania, ha
introdotto il nuovo reato di “Combustione illecita di rifiuti“.

Il reato, nella sua ipotesi base, punisce con la reclusione da due a
cinque anni chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati o depositati in
maniera incontrollata in aree non autorizzate.

Se ad essere bruciati illecitamente sono rifiuti vegetali provenienti
da aree verdi, come giardini, parchi e aree cimiteriali, si applicano le
sanzioni amministrative pecuniarie previste dall\’articolo 255 del Codice
dell\’Ambiente per l\’abbandono di rifiuti (sanzione da 300 euro a 3.000 euro).

Il nodo gordiano è sostanzialmente la qualificazione o meno dei
residui vegetali come rifiuti
.

Ai sensi di quanto originariamente stabilito dal codice
dell\’ambiente
(decreto legislativo n. 152 del 2006), erano esclusi
dall\’ambito dell\’applicazione della disciplina della gestione dei rifiuti
soltanto le carogne ed i seguenti rifiuti agricoli: materie fecali ed altre
sostanze naturali non pericolose utilizzate nelle attività agricole ed in
particolare i materiali litoidi o vegetali e le terre da coltivazione, anche
sotto forma di fanghi, provenienti dalla pulizia e dal lavaggio dei prodotti
vegetali riutilizzati nelle normali pratiche agricole e di conduzione
dei fondi rustici, anche dopo trattamento in impianti aziendali ed
interaziendali agricoli che riducano i carichi inquinanti e potenzialmente
patogeni dei materiali di partenza.

Nella vigenza di tale normativa, la Corte di cassazione (terza sezione
penale, sentenza 4 novembre 2008, n. 46213) aveva ritenuto che l\’eliminazione,
mediante incenerimento, dei rami degli alberi tagliati fosse da considerarsi illecita,
non potendo essere qualificata come una forma di utilizzazione di tali
materiali nell\’ambito di un\’attività produttiva, nonostante molti agricoltori
avevano sottolineato il riutilizzo delle ceneri per concimare i campi.

L\’art. 13 del d.lgs. n. 205/2010 ha modificato l\’art 185 del Codice
dell\’ambiente, stabilendo che paglia, sfalci e potature, nonché altro materiale
agricolo o forestale naturale non pericoloso se non utilizzati in
agricoltura, nella selvicoltura o per la produzione di energia
da tale
biomassa mediante processi o metodi che non danneggiano l\’ambiente né mettono
in pericolo la salute umana, vadano considerati e trattati come rifiuti.

Alla luce di questo nuovo quadro normativo, la giurisprudenza (cfr.
Corte di Cassazione, terza sezione penale, sent. 7 marzo 2013, n. 16474) ha
ritenuto che la combustione degli sfalci e dei residui da potatura, ove non
abbia determinato un danno per l\’ambiente o messo in pericolo la salute umana
,
rientri nella normale pratica agricola.

Il contrasto in materia, tra Stato e legislazioni regionali che hanno
spesso autorizzato l\’antica pratica agricola di cui si è parlato, ha portato
l\’intervento nel legislatore che con l\’art. 14, comma 8, lettera b), del decreto-legge
24 giugno 2014, n. 91
(convertito, con modificazioni, dall\’art. 1, comma 1,
della legge 11 agosto 2014, n. 116) ha modificato nuovamente il Codice
dell\’ambiente prevedendo che attività di raggruppamento e abbruciamentoin piccoli cumuli e in quantità giornaliere, non superiori a tre metri steri
per ettaro, dei materiali vegetali di cui all\’articolo 185, comma 1, lettera
f), effettuate nel luogo di produzione, costituiscono normali pratiche
agricole consentite
per il reimpiego dei materiali come sostanze concimanti
o ammendanti, e non attività di gestione dei rifiuti” (art. 182, comma
6-bis, del d.lgs.).

Al tempo stesso, il legislatore statale ha vietato la
combustione di residui vegetali agricoli “nei periodi di massimo
rischio
per gli incendi boschivi, dichiarati dalle regioni
“,
attribuendo ai comuni e alle altre amministrazioni competenti in materia
ambientale “la facoltà di sospendere, differire o vietare la
combustione
del materiale di cui al presente comma all\’aperto in tutti i
casi in cui sussistono condizioni meteorologiche, climatiche o ambientali
sfavorevoli e in tutti i casi in cui da tale attività possano derivare rischi
per la pubblica e privata incolumità e per la salute umana, con particolare
riferimento al rispetto dei livelli annuali delle polveri sottili (PM10)
“.

Ancora, sempre il d.l. n. 91 del 2014, come convertito, ha novellato
l\’art. 256-bis del Codice dell\’ambiente
, precisando che la disciplina sulla
combustione illecita dei rifiuti non si applica all\’abbruciamento di materiale
agricolo o forestale naturale, anche derivato da verde pubblico o privato e che
resta fermo quanto previsto dall\’art. 182, comma 6-bis del medesimo codice
dell\’ambiente.

La modifica ha sostanzialmente riconosciuto la differenza tra le
attività di gestione dei rifiuti e le consuetudinarie pratiche agricole
di
gestione sul luogo di produzione di piccoli quantitativi di scarti vegetali,
una distinzione confermata dalla giurisprudenza che si è espressa a favore
della liceità dell\’attività di combustione di sterpaglie in piccoli cumuli.

Addirittura, in materia è intervenuta la Corte Costituzionale,
con la recente sentenza n. 16/2015, che ha dichiarato non fondata la
sollevata questione di legittimità costituzionale nei confronti di due leggi
regionali che consentivano tale pratica agricola.

Per la Corte appare chiaro che, come attestato a più riprese dalla
Corte di Cassazione (ex multis, terza sezione penale, sentenza 7 gennaio 2015,
n. 76), l\’art. 185, comma 1, lettera f), del codice dell\’ambiente (e quindi
anche le corrispondenti disposizioni della direttiva n. 2008/98/CE) consentiva
(pure anteriormente all\’introduzione del comma 6-bis all\’art. 182) di
annoverare tra le attività escluse dall\’ambito di applicazione della
normativa sui rifiuti
l\’abbruciamento in loco dei residui vegetali,
considerato ordinaria pratica applicata in agricoltura e nella selvicoltura.

In sostanza, bruciare residui vegetali è consentito, ma sempre
consultando la normativa regionale, a cui è affidata la possibilità di
controllare che ciò avvenga senza il minimo rischio di arrecare danno
all\’ambiente e alle persone.


Fonte:
Bruciare rami e sterpaglie è
reato?

(www.StudioCataldi.it)

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