Chi ha debiti col fisco non potrà più portare contanti all’estero
Chi varca la frontiera con denaro contante addosso commette reato se ha debiti fiscali non pagati: lo ha stabilito la Cassazione. La somma viene sequestrata.
Portare i soldi contanti all’estero è un classico italiano: industriali o grossi commercianti che fino agli anni Ottanta andavano in gita in Svizzera, chissà perché, con la valigia piena non di indumenti, ma di banconote che erano i capitali accumulati, più o meno illecitamente, da depositare al sicuro in qualche banca per metterli al riparo dal Fisco.
Poi, sono arrivate le transazioni elettroniche e così le somme di denaro hanno iniziato a spostarsi non più nei bagagliai delle auto o nelle tasche nascoste delle giacche; con pochi click, queste monete digitali arrivano in pochi attimi e senza rischi (frodi informatiche a parte) in qualche moderno paradiso fiscale di cui è pieno il mondo e servono proprio a garantire uno scudo di immunità dalle tasse.
Lo Stato ha sempre cercato di difendersi: prima coi doganieri che aprivano bagagli e ispezionavano tasche e risvolti, poi con le black list, le liste nere dei Paesi a rischio di irregolarità fiscale, e, di recente, con le indagini transnazionali sui movimenti bancari sospetti che a volte riescono a scoprire i movimenti illeciti.
Adesso, però, si è trovato un facile rimedio, una zavorra come i grossi e pesanti portachiavi degli alberghi, che rendono difficoltoso portarsi via la chiave quando si esce e che, allo stesso modo, ostacola l’esportazione illecita di valuta quando avviene in contanti: non bisogna andare lontano per cercarla, si tratta dei normali debiti fiscali.
Il risultato è strepitoso: ora, infatti, applicando una norma da tempo già esistente, chi ha debiti fiscali non potrà più portare soldi all’estero. Succede che se sei indebitato con il Fisco per tasse non pagate e vieni pizzicato a varcare la frontiera con denaro contante in tasca o nei bagagli rischi un processo penale e una condanna per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte [1]. Inoltre, tanto per cominciare, la somma ti viene subito sequestrata e quei soldi non li vedrai più.
È quanto accaduto ad un cinese, che aveva portato nel suo Paese d’origine poco più di 9 mila euro in contanti, ma aveva un vecchio debito non saldato con il Fisco (risalente a 15 anni prima) di 170 mila euro: ora, la Cassazione con una recentissima sentenza [2] ha stabilito che questo reato c’è. Intanto, mentre il processo è ancora in corso, la somma è già stata definitivamente sequestrata in vista della confisca.
La norma penale punisce con la pena della reclusione da sei mesi a quattro anni chi «al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva».
Noterai, innanzitutto, che la soglia dei 50 mila euro prevista dalla norma incriminatrice è riferita all’ammontare del debito fiscale, mentre la somma di denaro contante che si porta all’estero può essere molto più bassa e il reato sussiste lo stesso, quando i debiti complessivi delle imposte non pagate superano quel limite, come quelli accumulati dal cinese.
Il ragionamento dei giudici nel caso in esame è stato molto semplice: il primo passaggio è che il denaro contante è il bene fungibile per eccellenza, può essere facilmente trasportato, come tutti sanno, ed anche abilmente occultato, come molti sono capaci di fare, nascondendolo in modi più o meno efficaci. Così basta anche tenerlo addosso «occultato sulla propria persona» per ritenere sussistenti quegli «atti fraudolenti» che perfezionano il reato «in caso di trasferimento clandestino di denaro all’estero».
Il secondo passaggio argomenta che portare soldi contanti all’estero, anche quando si tratta di somme inferiori al limite massimo consentito (che è di 10.000 euro) è un comportamento idoneo ad evitare il pagamento del debito tributario, sottraendosi fraudolentemente alla riscossione fiscale. Infatti, il diritto di credito dell’Erario viene compromesso per il solo fatto che viene compiuto questo tentativo di esportare la valuta.
La Cassazione non ha dubbi: «Il ricorrente ha cercato di espatriare con una cospicua somma in contanti, di poco inferiore a 10.000 euro, soglia della valuta da dichiarare»: constatato questo, per ritenere integrato il reato è sufficiente osservare che si ravvisano «gli artifici ed i raggiri costituiti dal trasporto del denaro verso il Paese di origine, occultato sulla propria persona».
A nulla è valso il fatto che il debito fosse molto vecchio (risaliva al 1999) e, forse, addirittura, prescritto (ma la prescrizione non era stata eccepita e, dunque, il credito erariale era ancora valido). Anzi, neppure gli inquirenti hanno avuto alcun dubbio fin dall’inizio, tant’è che la somma illecitamente trasportata all’estero è stata immediatamente sottoposta a sequestro preventivo per impedire che, lasciandola o restituendola all’interessato, il reato di sottrazione illecita venisse portato a conseguenze ulteriori (vale a dire: i soldi sarebbero spariti all’estero e il debito fiscale sarebbe rimasto impagato).
Con l’orientamento assunto dalla Suprema Corte, i segnali non sembrano confortanti, né per il malcapitato cinese né per tutti coloro che rischiano di trovarsi coinvolti in una vicenda simile per il solo fatto di portare con sé soldi all’estero verso il proprio Paese di origine o comunque in un luogo dove hanno legami stabili. Potrebbe trattarsi non solo di immigrati che vivono in Italia e qualche volta all’anno rientrano nel loro paese di origine, ma anche di cittadini italiani che si recano all’estero a trovare dei parenti o a seguire le loro attività commerciali. Per approfondire tutte le conseguenze leggi portare soldi all’estero: quali rischi.
note
[1] Art. 11 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
[2] Cass. sent. n. 42936 del 18 ottobre 2019