Nel primo e preliminare motivo di ricorso, il ricorrente riteneva erronea la sanzione irrogata dal MEF stante la provenienza lecita della provvista: i fondi trasferiti erano stati infatti tratti da un conto corrente, intestato alla società cliente del professionista, regolarmente utilizzato per le transazioni commerciali con clienti e fornitori.
Il MEF chiedeva il rigetto dell’opposizione sostenendo che le caratteristiche, l’entità e la natura dell’operazione oltre che il profilo oggettivo e soggettivo dei soggetti coinvolti avrebbero dovuto indurre il professionista a ritenere l’operazione sospetta, conformemente agli indici di anomalia di cui al D.M. Giustizia 16.4.2010 e alla Comunicazione UIF 23.4.2012 recante “Schemi rappresentativi dei comportamenti anomali relativi all’operatività connessa con le frodi fiscali internazionali e con le frodi nelle fatturazioni”.
La sentenza
Il Tribunale di Roma, in accoglimento del suddetto motivo di opposizione, ha condiviso la tesi secondo cui, quand’anche un professionista, esaminando le operazioni effettuate precedentemente al conferimento dell’incarico in proprio favore da parte del cliente, “potesse, secondo un criterio di comune diligenza, rendersi conto, o quanto meno avanzare un fondato sospetto, in ordine alla portata fittizia e distrattiva dell’operazione diretta a sottrarre le risorse finanziare facenti capo alla società, poi, fallita in danno dei creditori”, ciò non di meno l’intera operazione non può qualificarsi “attività di reimpiego di beni di provenienza illecita”.
La sentenza in commento assume valenza particolarmente rilevante nell’interpretazione della normativa antiriciclaggio sulle SOS e del relativo apparato sanzionatorio una volta che si consideri come il Tribunale romano ritenga, alla luce sia dell’art. 41, co. 1, D.Lgs. 231/2007 sia della novella di cui al vigente art. 35, che “l’obbligo di segnalazione sussiste solo nel caso in cui vi sia il sospetto che l’operazione possa integrare un atto di riciclaggio, in quanto preceduta da attività criminosa”. In altre parole “E’ necessario … che l’atto di disposizione – per il quale sussiste l’obbligo di segnalazione – abbia ad oggetto beni o diritti che si sospetti provenire da un’attività illecita di rilevo penale”. Il che però nel caso di specie non era riscontrabile in quanto “non risulta negli atti (né risulta indicato dal Ministero) alcun elemento da cui desumere la provenienza criminosa della provvista utilizzata per il pagamento del corrispettivo alla società di consulenza turca (trattandosi di somme pacificamente trasferite tramite conto corrente intestato al Prosciuttificio [omissis] srl in liquidazione normalmente utilizzato da quest’ultima per le transazioni commerciali), dovendosi più che altro ritenere che tale provvista sia stata destinata ad un’attività illecita (diretta cioè alla sottrazione dei beni all’azione dei creditori, in vista del futuro fallimento)”. È stata in tal modo smentita la tesi, sistematicamente avanzata dal MEF a fronte di tale eccezione, “secondo cui l’intera operazione, ovvero la stipula del contratto di consulenza e il pagamento del relativo corrispettivo, si presta ad essere qualificata quale “attività di reimpiego di beni di provenienza illecita”.
Il Tribunale romano conclude allora che, non esistendo un obbligo di segnalazione per come prospettato dal MEF, non possono né dovevano rilevare nel caso di specie gli indici di anomalia richiamati dall’Amministrazione a supporto della sanzione emessa, e diretti ad agevolare l’individuazione di operazioni sospette di riciclaggio da parte di alcune categorie di professionisti (tra cui i dottori commercialisti) e dei revisori contabili. Da cui l’accoglimento dell’opposizione e l’integrale annullamento del provvedimento opposto.
Conclusioni
La decisione in commento vale a delineare i limiti agli obblighi di segnalazione di operazioni sospette. Sebbene la sentenza riguardi un professionista, l’orientamento parrebbe potersi estendere anche agli altri soggetti obbligati alla SOS in quanto, stando all’interpretazione della disciplina antiriciclaggio operata dal Tribunale di Roma (alla cui competenza esclusiva -salve alcune eccezioni- sono ora assoggettati i decreti sanzionatori emessi dal MEF ex art. 65 del D.lgs. 231/2007), il presupposto fondamentale affinché sorga l’obbligo di segnalazione è il sospetto che l’operazione possa anche solo astrattamente apparire come atto di riciclaggio desumibile dalla provenienza criminosa delle risorse oggetto dell’operazione (e quindi della provvista), circostanza che però dovrà essere provata (o quantomeno allegata) dal MEF, e che nel caso di specie non era stata neanche ipotizzata.
Diventa quindi determinante per l’invio della SOS (e per l’accertamento della violazione del relativo obbligo) la provenienza illecita della provvista – o quantomeno il sospetto di ciò – piuttosto che l’illiceità astratta dell’operazione visionata o in qualunque modo conosciuta dal soggetto destinatario della norma (professionista, intermediario bancario etc.
Fonte: dirittobancario.it
A titolo personale
Il soggetto obbligato agli adempimenti antiriciclaggio che rileva un utilizzo allegro della provvista, ovvero una società che distrae risorse in vista di un fallimento pilotato, deve essere segnalata?
Questo, ovviamente, con tutto il rispetto che si deve verso una sentenza di un Tribunale della Repubblica, peraltro assolutoria a beneficio del professionista.
In altri termini, pagare consulenze fittizie, bonificare somme a favore di soggetti estranei alla strumentalità dell’impresa, prelevare denaro contante senza addurre motivazioni plausibili secondo un disegno fraudolento di un fallimento pilotato, nel quadro di una °collaborazione attiva° con l’Istituzione per contrastare ogni sorta di malaffare, impone l’attivazione per una Sos.