giovedì, Maggio 2, 2024
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Evasione fiscale di sopravvivenza: Analisi!

Evasione fiscale di sopravvivenza: Analisi!

Ogni giorno ascoltiamo la televisione dove i vari Landini (Segretario generale del più grande sindacato italiano) e tanti altri, sono soliti ripetere che il 75% dell’Irpef versata all’Erario, proviene dai pensionati o lavoratori dipendenti.

E’ una informazione vera solo in parte, forse solo verosimile e ne spiego le ragioni.

Si dimentica di aggiungere che il 50% delle persone impegnate in lavori autonomi, artigiani e quant’altro che svolgono il doppio lavoro, in quanto già lavoratori dipendenti, in genere della pubblica amministrazione. Allora, vediamo l’idraulico, l’imbianchino, il restauratore che, per mera sopravvivenza svolgono un doppio lavoro completamente abusivo, non sostenendo alcuna tassazione.

In senso tecnico e giuridico del termine sono degli evasori totali, nella realtà sono degli sventurati che hanno bisogno di svolgere il doppio lavoro soltanto per arrivare alla fine del mese.

Dettagli!

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L’evasione di sopravvivenza non può essere combattuta | L’analisi di Luca Ricolfi

C’è un ritornello, scrive Luca Ricolfi sul Messaggero, che sento da almeno trent’anni, più o meno da quando finì la prima Repubblica e l’Italia smise di crescere più della media delle economie avanzate.

Il ritornello dice: se la (sacrosanta) lotta all’evasione fiscale avesse successo, e tutti pagassero le tasse dovute, l’Italia risolverebbe d’incanto tutti i suoi maggior problemi; con quei 100 miliardi di gettito addizionale, infatti, potremmo abbattere le liste d’attesa negli ospedali, costruire asili nido, pagare di più gli insegnanti, combattere la povertà. Sembra un discorso ineccepibile, ma è del tutto sbagliato.

Far pagare le tasse agli evasori è opportuno, oltreché giusto, ma le conseguenze di un fisco implacabile non sarebbero quelle attese, per vari motivi. Intanto, perché una parte dell’evasione è “di sopravvivenza” (copyright: Stefano Fassina, economista e politico di sinistra). Ci sono operatori economici che semplicemente chiuderebbero, se dovessero pagare le tasse fino all’ultimo centesimo. Farli fallire è senz’altro una buona cosa in un’ottica liberista e schumpeteriana, per cui l’uscita dal mercato delle imprese inefficienti è il prezzo per alzare la produttività media (si chiama “distruzione creatrice”), ma si deve sapere che l’effetto immediato sarebbe la distruzione di centinaia di migliaia di posti di lavoro.

Ma c’è anche un altro motivo di riflessione. Anche ammesso che nessuna attività economica sia costretta a chiudere, l’effetto aggregato di un azzeramento dell’evasione sarebbe uno spaventoso aumento della pressione fiscale, già oggi una delle più alte fra le società avanzate. Oggi è circa il 43%, ma sfiorerebbe il 50% se al gettito attuale si dovesse aggiungere quello mancato a causa dell’evasione. Ma nessuna società avanzata raggiunge o sfiora il 50% di pressione fiscale, perché se ciò accadesse si arresterebbe completamente la crescita. Dobbiamo dunque rinunciare a combattere l’evasione fiscale? Assolutamente no.

Quello cui dobbiamo rinunciare è l’illusione che la lotta all’evasione possa finanziare altra spesa pubblica. L’unica destinazione ragionevole delle maggiori entrate è l’abbassamento delle aliquote a chi già paga le tasse, a partire dalle imprese, che oggi hanno una tassazione globale (tasse+ contributi sociali) che sfiora il 60%.

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