venerdì, Aprile 26, 2024
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CONDOMINIO: Si può impugnare la decisione dell’assembla di condominio per principio?

Si può impugnare la decisione dell’assembla di condominio per principio?

 

Senza un interesse economico leso, il condomino non può impugnare una delibera dell’assemblea di condominio, anche se illegittima.

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Nelle aule giudiziarie sono bandite le questioni di principio. Se non c’è un effettivo interesse, valutabile in termini economici, non si può fare causa al proprio condominio anche se questo ha commesso un evidente errore. Ad agire può essere sempre e solo chi subisce un concreto pregiudizio e non gli altri proprietari. Lo chiarisce la Cassazione con una recente sentenza [1]secondo cui non si può impugnare la decisione dell’assemblea di condominio “per principio”. Ma procediamo con ordine.

Spesso i condomini sono il luogo dove si concentrano le più acri inimicizie: le battaglie intestine tra vicini di casa sfociano in vere e proprie guerre giudiziarie giustificate più da rancori reciproci che non da effettivi interessi economici. A porre però un limite alle azioni prive di un’effettiva utilità è la Suprema Corte[1]: secondo i giudici – che ribadiscono un principio insito nel nostro processo – per impugnare una decisione dell’assemblea di condominio ci vuole un interesse concreto ed effettivo e questo interesse deve essere valutabile in termini economici.

Per poter contestare una decisione presa dall’assemblea, anche se apparentemente viziata e illegittima, bisogna dimostrare che, da tale votazione, si è subito un danno. Secondo la sentenza in commento, il condomino che si oppone al voto degli altri condomini, ritenendolo ad esempio errato per violazione della legge o del regolamento di condominio, deve avere un interesse concreto all’impugnazione della decisione. Tale interesse presuppone che la delibera assembleare arrechi allo stesso «un apprezzabile personale pregiudizio in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale». Insomma, se dalla decisione il singolo proprietario non riporta un effettivo danno non può recarsi dal giudice e far annullare la votazione. Il danno può essere, ad esempio, un aumento delle spese per errata ripartizione – secondo millesimi – dei costi sostenuti dal condominio o l’impossibilità di utilizzare una parte comune dell’edificio come il cortile o il garage.

Senza interesse non si può impugnare la riunione di condominio

In termini tecnici viene chiamato «interesse ad agire» ed è una delle condizioni previste dalla legge per poter ottenere tutela qualsiasi tribunale. In tema di condominio, la giurisprudenza è ancora più severa nella richiesta di tale requisito, onde evitare il facile ricorso alla giustizia per questioni di minima importanza, legate solo ai «dispettucci» tra vicini. Ad esempio, in tema di impugnazione delle delibere assembleari, si è detto che l’interesse ad agire deve escludersi quando la delibera non abbia alcun contenuto decisorio, tanto che, qualora impugnata e annullata, non ne consegua alcun effetto pratico[2].

L’interesse ad agire, però, non deve essere necessariamente ricercato con riferimento alla propria unità immobiliare, ben potendo essere identificato con la tutela delle parti comuni dell’edificio che, del resto, appartengonopro quotaal singolo condomino. Sicché quest’ultimo ben può agire in difesa di quei comportamenti e situazioni che possono pregiudicare il “patrimonio comune” costituito dallo stabile[3].

Si segnala un precedente interessante secondo cui, anche se manca un interesse specifico, il condominio che non sia stato convocato per la riunione di condominio può impugnare la relativa delibera, in quanto è stata violata la legge, a prescindere da qualsiasi lesione di interesse economico[4].

note

[1]Cass. sent. n. 6128/17 del 9.03.2017.

[2]Trib. Grosseto, sent. n. 520/2016.

[3]Cass. sent. n. 25288/2015; Case. sent. . 19223/2011: «Nel condominio di edifici, il principio secondo cui l’esistenza dell’organo rappresentativo unitario non priva i singoli condomini del potere di agire a difesa di diritti connessi alla detta partecipazione, né, quindi, del potere di intervenire nel giudizio in cui tale difesa sia stata legittimamente assunta dall’amministratore del condominio e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunziata nei confronti del condominio, non trova applicazione relativamente alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni della assemblea condominiale che, come quella relativa alla nomina dell’amministratore, perseguono finalità di gestione di un servizio comune e tendono ad soddisfare esigenze soltanto collettive, senza attinenza diretta all’interesse esclusivo di uno o più partecipanti; ne consegue che in tali controversie la legittimazione ad agire, e quindi ad impugnare, spetta in via esclusiva all’amministratore, con esclusione della possibilità di impugnazione da parte del singolo condomino».

[4]Trib. Bari, sent. n. 1335/2012: «In tema di azione di annullamento delle deliberazioni delle assemblee condominiali, la legittimazione ad agire attribuita dall’art. 1137 c.c. ai condomini assenti e dissenzienti, non è subordinata alla deduzione ed alla prova di uno specifico interesse diverso da quello alla rimozione dell’atto impugnato, essendo l’interesse ad agire richiesto dall’art. 100 c.p.c. come condizione dell’azione di annullamento anzidetta, costituito proprio dall’accertamento dei vizi formali di cui sono affette le deliberazioni. Pertanto, l’omessa convocazione all’assemblea condominiale legittima il condomino pretermesso ad agire per l’annullamento della delibera adottata in quella sede, per contrarietà alla legge ex art. 1137, senza necessità di allegare e provare uno specifico interesse connesso al contenuto della delibera impugnata, diverso da quello rappresentato dalla rimozione dell’atto in conseguenza del vizio».

Fonte: LLpT

 

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 10 febbraio – 9 marzo 2017, n. 6128
Presidente Petitti – Relatore Scarpa

Fatti di causa e ragioni della decisione

I ricorrenti Trodema S.r.l. Unipersonale, R.O. ed V.A. impugnano, articolando due motivi di ricorso, la sentenza n. 1986/2014 del 13 giugno 2014 resa dal Tribunale di Bologna, all’esito della pronuncia di inammissibilità dell’appello ex art. 348-bis c.p.c. della Corte d’Appello di Bologna con ordinanza del 23 giugno 2015.
Il Tribunale di Bologna aveva rigettato l’impugnazione della deliberazione assembleare del Condominio di via (omissis) del 26 giugno 2013, che aveva adottato un riparto delle spese di riscaldamento sulla base dei consumi (“solo in minima parte”) presunti. Il giudice di primo grado evidenziava che gli attori non avevano contestato il metodo di ripartizione delle spese di riscaldamento utilizzato nel condominio nell’ultimo decennio (30% in base ai millesimi e 70% in base ai consumi). A base dell’impugnazione Trodema S.r.l. Unipersonale, R.O. ed V.A. avevano dedotto l’erroneità dei dati di consumo ricavati dai “contacalorie” collocati nelle singole unità immobiliari.
Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 1123, 1130 e 1137 c.c., avendo la sentenza del Tribunale disatteso la domanda di declaratoria di invalidità di un rendiconto che ripartiva le spese di riscaldamento sulla base di consumi presunti o comunque errati, dovendo il riparto avvenire secondo il già richiamato metodo convenzionalmente adottato nei precedenti esercizi.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2697 c.c. per l’erronea valutazione delle prove e la mancata ammissione delle deduzioni istruttorie che avrebbero dimostrato il cattivo funzionamento dei contabilizzatori di calore e l’inesatto rilievo dei consumi.
Si difende con controricorso il Condominio di via (omissis) .
La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 380-bis, comma 2, c.p.c..
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
In via di principio sono da considerare nulle per impossibilità dell’oggetto, e perciò pure impugnabili indipendentemente dall’osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137, comma 2, c.c., tutte le deliberazioni dell’assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e dunque in eccesso rispetto alle attribuzioni dell’organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell’autonomia negoziale.
D’altro canto, il riparto degli oneri di riscaldamento, negli edifici condominiali in cui siano stati adottati sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare, va fatto per legge in base al consumo effettivamente registrato (si veda l’art. 26, commi 5 e 6, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, come modificato dalla legge n. 220 del 2012; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22573 del 07/11/2016).
Nella specie, per quanto del contenuto della deliberazione del 26 giugno 2013 risulta specificamente riportato nel ricorso, come prescritto dall’art. 366, comma, n. 6, c.p.c., non può affatto sostenersi che l’assemblea del Condominio di via (omissis) avesse con essa, esulando dalle proprie attribuzioni, modificato i criteri di riparto delle spese di riscaldamento stabiliti dalla legge (o comunque dapprima approvati in via convenzionale da tutti i condomini), sicché è da escluderne la nullità. I ricorrenti propongono a questa Corte di rivalutare le risultanze probatorie e di convenire sull’opportunità di procedere a prove esplorative, negate dal Tribunale, e che avrebbero potuto dar conforto all’assunto degli stessi ricorrenti dell’erroneo rilievo dei consumi di calore posti a base del riparto, con ciò investendo il giudice di legittimità di compiti che esulano dai limiti del suo sindacato.
È infine decisivo osservare come il Tribunale evidenziasse che i consumi “presunti” contabilizzati riguardassero altri tre condomini, e non le unità immobiliari di proprietà degli attori, che quindi nessun danno avevano ricevuto dal recepimento di quei dati. Va al riguardo affermato che il condomino, il quale intenda proporre l’impugnativa di una delibera dell’assemblea, per l’assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale. Peraltro, l’interpretazione dell’esatto contenuto della delibera dell’assemblea dei condomini, impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c., come l’accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione assembleare, sono rimessi all’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 23/11/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5125 del 03/05/1993). Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.

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