lunedì, Aprile 29, 2024
spot_img

SOCIETA’ DI CAPITALI: Limiti alla responsabilità del Collegio sindacale

        

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 ottobre 2013, n.
24362

Responsabilità dei sindaci di Spa – Limiti.

 

Ritenuto in fatto e in diritto

 

1. – Con sentenza non definitiva del 31.7.2001 il
Tribunale di Udine, pronunciando sulla domanda proposta dal curatore del
fallimento della s.p.a. G., accertò e dichiarò la responsabilità dei componenti
del consiglio di amministrazione e del collegio sindacale della società fallita
in carica a partire dal 31.12.1988 per i danni cagionati alla società ed ai
creditori sociali per effetto della mancata adozione dei provvedimenti previsti
dall\’art. 2447 c.c. e della protrazione della attività sociale oltre la predetta
data e, in esito all\’istruttoria; con sentenza definitiva del 29.12.2005 (per
quanto ancora interessa), condannò – tra gli altri – Z.C. e P.P. in solido tra
loro a risarcire al fallimento G. s.p.a. i danni cagionati alla società in
violazione dei doveri inerenti la loro qualità di sindaci, complessivamente
liquidati in euro 601.286,89, oltre interessi e rivalutazione, nonché la M.A.
s.p.a. – chiamata in garanzia – a rimborsare allo Z. quanto lo stesso era tenuto
a corrispondere al fallimento attore, esclusa la franchigia di euro 2.582,28 e
fino alla concorrenza di euro 258.228,45 e al P. quanto lo stesso era tenuto a
corrispondere al fallimento attore esclusa la franchigia di euro 2.582,28 e fino
alla concorrenza di euro 258.228,45, provvedendo sulle spese.

In sintesi, il Tribunale ha ritenuto, con riferimento
alla prosecuzione dell\’attività dopo il 31.12,1988 – data alla quale la G.
s.p.a. aveva perduto tutto il capitale sociale, circostanza dissimulata
dall\’annotazione in contabilità della fattura, datata 29.12.1988; dell\’importo
di lire 2.500.000.000, emessa nei confronti della C. s.r.l. ed attinente ad
un\’operazione inesistente – la responsabilità di amministratori e sindaci in
carica a partire dal 31.12.1988 (imputando ai sindaci soltanto il danno
riferibile al periodo intercorrente tra il 7.2.1989 ed il 10.6.1989, e cioè tra
la data dell\’ultima verifica della contabilità sociale e la data del
fallimento).

Con la sentenza impugnata (depositata il 24.4.2009)
la Corte di appello di Trieste ha confermato la sentenza di primo grado,
rigettando l\’appello principale proposto da Z. e P. e dichiarando inammissibile
l\’appello incidentale della s.p.a. M.A..

In particolare, la corte di merito – rilevato che non
appariva necessario procedere all\’integrazione del contraddittorio nei
confronti, tra l\’altro, del terzo sindaco A., che risultava «avere definito
transattivamente la vertenza con la curatela, come emerso dagli atti concernenti
il procedimento ex art. 351 e 283 c.p.c.” – ha disatteso le censure degli
appellanti principali in punto di: a) sussistenza di ragioni di responsabilità
in capo ai sindaci; b) pretesa insussistenza di perdite risarcibili; c) pretesa
natura di debito di valuta propria del credito risarcitorio; d) sproporzione tra
il valore della causa e misura della condanna alle spese.

2. – Contro la sentenza di appello Z.C. e P.P. hanno
proposto distinti ricorsi per cassazione affidati a quattro motivi.

Resiste con distinti controricorsi la curatela
fallimentare intimata.

La società assicuratrice intimata non ha notificato
controricorso limitandosi a depositare procura speciale a nuovo difensore.

I ricorsi – proposti contro la medesima sentenza –
sono stati riuniti ai sensi dell\’art. 335 c.p.c.

Nel termine di cui all\’art. 378 c.p.c. la difesa del
ricorrente P. ha depositato memoria.

2.1. – I motivi di ricorso formulati dai due
ricorrenti – conclusi da quesiti di diritto ex art. 366 bis c.p.c.. applicabile
ratione temporis – denunciano violazioni di norme di diritto e vizi di
motivazione sostanzialmente sovrapponibili – come evidenziato anche dal P.G, in
udienza – e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.

Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti
denunciano violazione falsa applicazione di norme di diritto (artt. 2403, 2404,
2405, 2406 e 2407 c.c. – nella formulazione previgente, applicabile ratione
temporis) nonché vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità e
deducono – in estrema sintesi – che l\’accertamento della responsabilità di cui
all\’art. 2407, comma 2, cod. civ. (nel testo previgente al d.lgs. n. 6 del 2003)
e lo stabilire se, nel caso di appropriata vigilanza dei sindaci, il danno si
sarebbe ugualmente prodotto o meno, importa un giudizio ipotetico da condurre
con valutazione ex ante dei fatti, ricostruendone il loro sviluppo normale
secondo indici di comune esperienza (id quod plerumque accidit) e considerando
quali sono, di regola, gli effetti di un controllo diligente in relazione alle
circostanze del caso. Deducono, ancora, di avere fornito la prova (liberatoria)
di aver vigilato con diligenza e ciò esclude che il fatto costitutivo
dell\’azione (i fatti o le omissioni degli amministratori) possa di per sé essere
produttivo della responsabilità di cui all\’art. 2407, comma 2, cod. civ. La
circostanza, poi, che gli amministratori abbiano di fatto impedito la vigilanza
dei sindaci, dolosamente occultando con artifici la stessa esistenza di
operazioni attive rilevanti e decisive per l\’equilibrio patrimoniale della
società, e per tale via in grado di occultare l\’intervenuta perdita del capitale
sociale, esclude che possa ritenersi sussistente la responsabilità dei sindaci
per la obiettiva impossibilità, dovuta a causa non imputabile ex art. 1218 cod.
civ., di assolvere ai ridetti obblighi di vigilanza. La corte di merito non
avrebbe fatto un uso corretto della cd. presunzione semplice di cui all\’art.
2729 cod. civ. e avrebbe negato che fosse stata fornita dimostrazione delle
allegazioni degli appellanti, omettendo di considerare, chiare, univoche e
decisive risultanze documentali regolarmente acquisite agli atti di causa: a) la
fattura C. – alla data del 7.2.1989 – non era stata registrata nel registro IVA
mentre non era scaduto il termine di sessanta giorni per l\’annotazione in
contabilità; b) la fattura non costituiva un fatto in sé anomalo se rapportata
ai ricavi per oltre lire 17.000.000.000 risultanti dal bilancio depositato dal
consulente tecnico d\’ufficio; c) l\’importo della fattura C. era compensato in
parte da quello della fattura, di segno contrario, di lire 1.800.000.000, pure
stornata, unitamente alla prima, soltanto a fine aprile 1989. Deducono, poi, che
la deliberazione, da parte della società, di un aumento di capitale in grado di
sanare lo squilibrio patrimoniale della stessa ed il contestuale versamento dei
tre decimi da parte del nuovo socio a mani degli amministratori nel corso
dell\’assemblea straordinaria ed alla presenza dei sindaci, doveva essere
ritenuta rilevante ai fini di escludere la responsabilità dei sindaci stessi ex
art. 2407, comma 2, cod. civ. perché essa avrebbe rafforzato la legittima e
ragionevole convinzione dei medesimi che le condizioni patrimoniali della
società fossero in sostanziale equilibrio, nonostante che l\’aumento di capitale
non fosse stato in seguito omologato e i tre decimi del capitale sottoscritto
non fossero stati versati dagli amministratori nelle casse sociali.

2.2. – Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano
vizio di motivazione e violazione di norme di diritto (art. 2449 cod. civ. –
nella formulazione vigente all\’epoca dei fatti). Deducono che la motivazione
adottata dal giudice di appello, laddove la stessa, per la sua laconicità e per
l\’essere formulata in termini di mera adesione, anche con il ricorso alla
pedissequa trascrizione della relativa parte motiva della sentenza di primo
grado, non consente in alcun modo di ritenere che all\’affermazione di
condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto
attraverso l\’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.
Deducono che ai sensi dell\’art. 2449 cod. civ. (nel testo previgente al D.Leg.
n. 6 del 2003), deve ritenersi lecito il completamento di attività in corso
destinate al miglior esito della liquidazione e, così, in particolare, non
possono considerarsi nuove operazioni le spese di manutenzione ordinaria e
conservazione dei beni di terzi detenuti dalla società, le spese di pulizia,
quelle per le prestazioni professionali di elaborazione paghe e contributi del
personale e quelle inerenti la raccolta dì rifiuti, nonché le spese
pubblicitarie e ancora di imballaggio e trasporto dei beni oggetto di contratti
conclusi in epoca antecedente la data di ritenuta perdita del capitale.

Deducono che la liquidazione equitativa del danno ai
sensi dell\’art. 1226 cod. civ. presuppone la già accertata sussistenza
dell\’illecito, oltre ad una congrua ed adeguata motivazione vuoi in ordine alle
ragioni che inducono il giudice a ritenere impossibile o grandemente difficile
la prova in questione, vuoi circa il concreto processo logico e valutativo di
quei dati attraverso i quali si è giunti, e con quale sufficiente
approssimazione, alla liquidazione stessa e, in presenza di operazioni che
risultino avere data antecedente quella di ritenuta perdita del capitale ovvero
non risultino avere data certa e/o concretamente individuata, una corretta
applicazione ed interpretazione degli artt. 2449, comma 1, e 1226 cod. civ.,
esclude che gli effetti delle operazioni medesime siano presi in considerazione,
sia pure in via equitativa, ai fini della determinazione del danno imputabile ad
amministratori e sindaci, atteso che per tale via non appare possibile
dimostrare la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta materiale
(compimento di nuove operazioni) e l\’evento di danno, che solo avrebbe permesso,
anche in assenza di prove riguardanti l\’esatta quantificazione del pregiudizio,
la predetta liquidazione equitativa”. In particolare, in presenza di sanzioni
tributarie irrogate in epoca successiva alla data di accertata responsabilità
dei sindaci per la ritenuta perdita del capitale, ma relative ad obbligazioni
tributarie insorte prima di tale stessa data, delle stesse non deve tenersi
conto ai fini della determinazione del danno imputabile ai sindaci stessi,
secondo una corretta applicazione ed interpretazione degli artt. 2407 e 2449,
comma 1, cod. civ.

Lamentano, infine, che non si sia tenuto conto di
tutti gli incassi comunque effettuati dalla società nel periodo rilevante ex
art. 2449 c.c. e dei risultati delle azioni revocatorie aventi ad oggetto la
cessione di merci, nonché dei crediti liquidi ed esigibili ingiustificatamente
non azionati dalla curatela fallimentare.

2.3. – Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 ss. c.c. e relativo vizio di
motivazione. Deducono che, qualora in corso di causa uno dei condebitori
solidali stipuli con il creditore una transazione, anche laddove non ricorrano
le condizioni affinché gli altri condebitori profittino della transazione ex
art. 1304 cod. civ., si riduce l\’intero debito dell\’importo corrispondente alla
quota transatta, con il conseguente scioglimento del vincolo solidale fra lo
stipulante e gli altri condebitori, i quali pertanto rimangono obbligati nei
limiti della loro quota. Deducono che il giudice, reso edotto in corso di causa
della transazione stipulata da uno dei condebitori solidali, deve limitare la
condanna e, in caso si tratti di Giudice d\’appello, la conferma della sentenza
di primo grado nei confronti dei soggetti rimasti in giudizio, al pagamento
della sola parte dell\’obbligazione che a questi ultimi l\’avrebbe fatto carico
nei rapporti interni con l\’altro condebitore stipulante.

2.4. – Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione dell\’art. 1224 cod. civ. nonché vizio di
motivazione e deducono che, qualora la liquidazione del danno da fatto illecito
contrattuale sia effettuata per equivalente, con riferimento, cioè, al valore
del bene perduto dal danneggiato all\’epoca del fatto illecito, e tale valore
venga poi espresso in termini monetari che tengano conto della svalutazione
intervenuta fino alla data della decisione definitiva, il risarcimento anche del
mancato guadagno spetta al danneggiato a condizione che risulti dimostrato che
il ritardato pagamento della suddetta somma abbia in concreto provocato un
pregiudizio al danneggiato, e ciò sulla base delle allegazioni probatorie del
danneggiato stesso, ovvero mediante ricorso da parte del giudice a criteri
presuntivi ed equitativi, quale l\’attribuzione degli interessi a un tasso
stabilito, valutando tutte le circostanze obiettive e soggettive del caso.

4. – Va preliminarmente rilevato, in ordine
all\’integrità del contraddittorio, verificabile d\’ufficio, che questa Corte ha
di recente puntualizzato che “l\’azione di responsabilità, promossa contro gli
organi della società ai sensi dell\’art. 2393 cod. civ., instaura un\’ipotesi di
litisconsorzio facoltativo, ravvisandosi un\’obbligazione solidale passiva tra
gli amministratori ed i sindaci (salvo allorché l\’accertamento della
responsabilità di uno di essi presupponga necessariamente quella degli altri,
come nel caso di imputazione per omessa vigilanza con la conseguenza che, in
caso di azione originariamente rivolta contro una pluralità di amministratori e
sindaci di una società, essi non devono necessariamente essere parti in ogni
successivo grado del giudizio, neppure nel caso in cui, in presenza di una
transazione raggiunta tra la società ed alcuni tra i convenuti, riguardante le
quote di debito delle parti transigenti ed avente l\’effetto di sciogliere anche
il vincolo di solidarietà passiva, si renda necessario graduare la
responsabilità propria e degli altri condebitori solidali nei rapporti interni,
all\’esito di un accertamento che dovrà necessariamente riferirsi, in via
incidentale, anche alle condotte tenute dalle parti transigenti” (Sez. 1,
Sentenza n. 7907 del 18/05/2012; cfr. Sez. U, Sentenza n. 30174 del
30/12/2011).

La Corte di merito – come sopra evidenziato – ha
correttamente applicato il principio enunciato da questa Corte rilevando che non
appariva necessario procedere all\’integrazione del contraddittorio nei
confronti, tra l\’altro, del terzo sindaco A., che risultava «avere definito
transattivamente la vertenza con la curatela, come emerso dagli atti concernenti
il procedimento ex art. 351 e 283 c.p.c.», pur non avendo da tale rilievo tratto
la conseguenza per la quale, ove la transazione stipulata tra il creditore ed
uno dei condebitori solidali abbia avuto ad oggetto solo la quota del
condebitore che l\’ha stipulata, il residuo debito gravante sugli altri debitori
in solido si riduce in misura corrispondente all\’importo pagato dal condebitore
che ha transatto se costui ha versato una somma pari o superiore alla sua quota
ideale di debito mentre, se il pagamento è stato inferiore alla quota che faceva
idealmente capo al condebitore che ha raggiunto l\’accordo transattivo, il debito
residuo gravante sugli) altri coobbligati deve essere ridotto in misura pari
alla quota di chi ha transatto (Sez. U, Sentenza n. 30174 del 30/12/2011).
Violazione giustamente dedotta con il terzo motivo dai ricorrenti.

5. – La sentenza impugnata (di cui appare opportuno
riportarle le parti essenziali per consentire di cogliere i vizi di motivazione
denunciati), per la parte relativa alla responsabilità dei sindaci, ha
evidenziato che il tribunale l\’aveva ritenuta sussistente affermando “la
sussistenza …di una violazione, quanto meno colposa dei loro doveri di
controllo almeno a partire dal 7.2.1989, data dell\’ultima verifica da loro
effettuata sulla contabilità sociale”: “Tardivo e del tutto insufficiente ad
escludere la loro responsabilità è il telegramma del 3.6.1989 con il quale è
stata intimata agli amministratori la esibizione della bozza di bilancio non
ancora predisposta, non foss\’altro perché il bilancio dell\’esercizio 1988
avrebbe dovuto essere approvato entro il 30 aprile o, in via alternativa, i
sindaci avrebbero dovuto essere informati delle “particolari esigenze” che
impedivano la convocazione dell\’assemblea entro il termine previsto dal secondo
comma dell\’art. 2364 c.c.”; rilevando, inoltre che “..a partire dalla fine del
1988 i sindaci hanno omesso le prescritte verifiche trimestrali e, pur avendo
partecipato alle riunioni del consiglio di amministrazione fino al 31.5.1988
(recte: 1989?), nulla hanno osservato in merito alla contabilizzazione della
fattura emessa nei confronti della C. s.r.l. e soprattutto della successiva nota
di accredito, che determinava lo storno dalle componenti attive dello stato
patrimoniale di un importo sufficiente ad alterare grandemente l\’equilibrio
finanziario della società ed a far dubitare della permanenza delle condizioni
per la sua operatività.

In particolare, poi, quanto ai motivi di appello, la
Corte di merito ha osservato che:

“a) le riunioni trimestrali di cui all\’art. 2404 c.c.
rappresentano il dovere minimo gravante sui sindaci (ed, infatti, la
disposizione utilizza il termine “almeno”), ma il rispetto formale di tale
cadenza (garantito nella fattispecie dalle riunioni del 7 febbraio e del 3
giugno 1989) non esonera i sindaci da responsabilità, in presenza di condizioni
di criticità quali quelle sopra evidenziate;

b) quanto alla fattura C. (del rilevante importo di
lire 2.500.000.000) emessa dalla G. in data 29.12.1988 (all’evidente scopo di
far risultare un credito dal bilancio che si sarebbe dovuto chiudere al
31.12.1988, così simulando un positivo andamento economico della società), gli
appellanti sostengono di non essere stati in grado di rendersi conto
dell\’esistenza della fattura durante la visita di verifica e controllo del
7.2.1989 (a quanto consta, l\’ultima effettuata), posto che le scritture
contabili erano aggiornate al 30.11.1988; così facendo, non considerano però
che, come emerge dal relativo verbale, all\’osservazione dei sindaci concernente
il fatto che l\’ultima registrazione annotata a giornale era oltre i 60 giorni
previsti dall\’art. 22 del DPR 600/1972, il responsabile amministrativo rag. R.
faceva presente che “…le registrazioni del mese di dicembre risultano tutte
caricate sull\’elaboratore e sono disponibili per la stampa”;

c) agli effetti dell\’IVA, poi, gli stessi appellanti
riconoscono che la registrazione della fattura C. avrebbe dovuto avvenire entro
il 29 gennaio 1989, mentre il 7 febbraio la fattura non risultava ancora
registrata, risultando aggiornato il registro IVA vendite al 30.12.1988, e
portando l\’ultima fattura registrata il n. 5734, mentre la fattura C. portava un
numero successivo: tutto ciò considerato (e considerata, altresì, la presenza di
altri rilievi contestualmente mossi dai sindaci nei confronti del R. per mancati
versamenti d’imposta precedentemente occultati ed anomalie relative al credito
IVA del mese di dicembre) la funzione di controllo – esplicabile in qualsiasi
momento dai sindaci, anche individualmente, con atti d\’ispezione (art. 2403
c.c.) – in presenza di dubbi sulla regolarità della gestione avrebbe dovuto (e
potuto) essere esercitata in modo particolarmente analitico e penetrante,
quantomeno con riferimento a tutte le operazioni effettuate sino al
31.12.1988;

d) quanto al fatto che, in ogni caso, i sindaci non
avrebbero potuto rilevare la fittizietà dell\’operazione sulla sola base di un
controllo che avrebbe potuto verificare solo l\’intervenuta fatturazione, può
osservarsi che la fattura in questione era stata emessa per un importo pari a
due volte e mezzo il capitale sociale e che l\’obbligo di vigilanza dei sindaci
non è limitato allo svolgimento di compiti di mero controllo contabile e
formale, ma si estende anche al contenuto della gestione, atteso che la
previsione della prima parte del primo comma dell\’art. 2403 c.c. va combinata
con quelle del terzo e del quarto comma del medesimo articolo, che conferiscono
al collegio sindacale il potere – che è anche un dovere, da esercitare in
relazione alle specifiche situazioni – di chiedere agli amministratori notizie
sull\’andamento delle operazioni sociali o sul determinati fatti (Cass.
5263/1993);

e) infine, la circostanza – che non pare essere stata
allegata in primo grado – che l\’effetto distorsivo della fattura C. sarebbe
stato in gran parte compensato da una partita passiva, relativa ad altra coeva e
parallela anch\’essa poi stornata (concernente un contratto d\’agenzia di data
27.12.1988 intercorso tra G. e C., in base al quale C. aveva emesso a carico di
G. la fattura n. 1 del 31.12.1988, di lire 1.800.000.000 più IVA) non risulta
adeguatamente provata, non avendo gli appellanti indicato specifiche prove a
sostegno della loro tesi;

f) quanto alla deliberazione concernente l\’aumento di
capitale per lire 3.000.000.000, assunta dall\’assemblea straordinaria del 17
maggio 1989, esattamente il Tribunale ha ritenuto che la stessa – non avendo
avuto esecuzione – non potesse rivestire la medesima rilevanza della delibera di
aumento di capitale assunta nel 1988, che invece aveva effettivamente coperto le
perdite (così evitando l\’insorgenza di danni alla società o ai creditori sociali
derivanti dalla prosecuzione dell\’attività, pur in presenza di un evidente
mancato rispetto delle norme sulla redazione del bilancio e della mancata
adozione delle iniziative previste dall’art. 2447 c.c.);

g) infine, la sentenza penale di assoluzione (per il
concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta commesso dagli amministratori)
qui non rileva, per le ragioni diffusamente esposte dal Tribunale alle pagine da
44 a 48 della sentenza non definitiva e rivestendo, comunque, valore assorbente
la circostanza che gli appellanti non hanno fornito la prova che il fallimento
sia stato posto in condizione di costituirsi parte civile nel processo penale
(ed, in particolare, che allo stesso sia stato notificato, in qualità di persona
offesa, l\’avviso di fissazione dell\’udienza preliminare) per gli effetti di cui
all\’art. 652 c.p.p.”.

6. – Alle questioni poste dalle censure di violazione
di norme di diritto formulate dai ricorrenti sono applicabili i principi di
recente enunciati da questa Corte secondo cui «sussiste la violazione del dovere
di vigilanza, imposto ai sindaci dal secondo comma dell\’art. 2407 cod. civ., con
riguardo allo svolgimento, da parte degli amministratori, di un\’attività
protratta nel tempo al di fuori dei limiti consentiti dalla legge, tale da come
effetto del loro illegittimo comportamento omissivo”, a tal fine occorrendo
accertare che “un diverso e più diligente comportamento dei sindaci
nell\’esercizio dei loro compiti (tra cui la mancata tempestiva segnalazione
della situazione agli organi di vigilanza esterni) sarebbe stato idoneo ad
evitare le disastrose conseguenze degli illeciti compiuti dagli
amministratori».

Invero, i principi da cui è retto il risarcimento del
danno civile impongono “l\’individuazione di un preciso nesso di causalità tra il
comportamento illegittimo di cui taluno è chiamato a rispondere e le conseguenze
che ne siano derivate nell’altrui sfera giuridica, e richiedono che di tale
nesso sia fornita la prova da parte di chi il risarcimento invoca” (Sez. 1, n.
2538/2005) e tali principi assumono particolare importanza nella concreta
fattispecie, nella quale si imputa ai ricorrenti una responsabilità concorrente
con quella degli amministratori per violazione dell\’art. 2449 cod. civ. (nel
testo previgente al d.lgs. n. 6 del 2003), per il compimento di nuove operazioni
vietate (ossia atti gestori diretti non a fini liquidatori, e quindi alla
trasformazione delle attività societarie in denaro destinato al soddisfacimento
dei creditori e, nei limiti del residuo, dei soci, ma al conseguimento di fini
diversi, pur essendo lecito il completamento di attività in corso destinate al
miglior esito della liquidazione: cfr. Sez. 1, Sentenza n. 3694/2007)
limitatamente al periodo successivo al 7.2.1989.

Ciò perché dall\’ispezione eseguita in quella data i
sindaci avrebbero dovuto rilevare l\’anomalia costituita dalla fatturazione
dell\’operazione inesistente nei riguardi della C. e \'”soprattutto” (cfr.
motivazione del tribunale, fatta propria da quella di appello) dalla “successiva
nota di accredito, che determinava lo storno dalle componenti attive dello stato
patrimoniale di un importo sufficiente ad alterare grandemente l’equilibrio
finanziario della società ed a far dubitare della permanenza delle condizioni
per la sua operatività”.

Ora, anche ai fini della determinazione del danno
imputabile alla stregua dei criteri seguiti dalla stessa sentenza impugnata, un
conto è che l\’anomalia potesse emergere sin dal 7 febbraio 1989 (ma su ciò v.
oltre le osservazioni circa la registrazione in contabilità) e un altro è che
“soprattutto” dall\’operazione di storno dovesse emergere l\’anomalia, posto che i
ricorrenti deducono (senza che la circostanza sia stata contestata) che lo
storno è avvenuto nel mese di aprile del 1989. Si che non si può ritenere
sussistente a far tempo dal 7 febbraio una responsabilità “soprattutto” per non
avere rilevato una determinata operazione posta in essere in aprile (operazione
di cui, comunque, non è controversa la natura fittizia).

Del pari poco chiara è la sentenza impugnata là dove
(v. sopra § 5 sub b) implicitamente rimprovera ai sindaci di non avere richiesto
la stampa dei dati contenuti nell\’elaboratore, pure implicitamente supponendo
che contenesse l\’annotazione dell\’operazione inesistente, fatturata, però, con
numero successivo all\’ultima fattura inserita nel registro IVA (V. 5 sub c). Ciò
tenuto conto che la stessa sentenza considera il termine di 60 giorni previsti
per l\’annotazione dall’art. 22 del DPR 600/1972 e che tale termine, in relazione
alla fattura emessa il 29.12.1988, scadeva ben oltre la data del 7 febbraio. Né
appare irrilevante l\’anomalia riconosciuta dalla stessa Corte di appello,
costituita da ciò che il registro IVA vendite risultava «aggiornato al
30.12.1988, e portando l\’ultima fattura registrata il n. 5734, mentre la fattura
C. (del 29.12.1988: n.d.r.) portava un numero successivo».

Circostanza che potrebbe denotare proprio l\’intento
degli amministratori di nascondere ai sindaci quella operazione anomala.

Del pari carente appare la motivazione della sentenza
impugnata nella parte in cui afferma che «non risulta adeguatamente provata, non
avendo gli appellanti indicato specifiche prove a sostegno della loro tesi” la
circostanza “che l\’effetto distorsivo della fattura C. sarebbe stato in gran
parte compensato da una partita passiva, relativa ad altra coeva e parallela
operazione inesistente, anch\’essa poi stornata (concernente un contratto
d\’agenzia di data 27.12.1988 intercorso tra G. e C., in base al quale C. aveva
emesso a carico di G. la fattura n. 1 del 31.12.1988, di lire 1.800.000.000 più
IVA)”. Ché sfugge il significato di adeguatezza della prova circa l\’esistenza di
un\’operazione commerciale di cui, per converso, si menziona – senza dare atto
trattarsi di indicazioni di fantasia o senza negarne espressamente l\’esistenza
nei libri contabili – la data, l\’importo, l\’indicazione dei contraenti e il
numero della fattura.

La sentenza impugnata ha attribuito rilievo
preminente a quella operazione e dalla motivazione non emerge se le altre
circostanze evidenziate (… “considerata, altresì, la presenza di altri rilievi
contestualmente mossi dai sindaci nei confronti del R. per mancati versamenti
d’imposta precedentemente occultati ed anomalie relative al credito IVA del mese
di dicembre”) fossero da sole sufficienti a far emergere, sin dal 7 febbraio
1989, la perdita del capitale sociale.

Infine, quanto alla delibera di aumento del capitale
sociale (v. § 5, sub f), va ricordato il principio per il quale “in tema di
riduzione del capitale sociale per perdite, la mera deliberazione di aumento del
capitale non è idonea a modificare la situazione contabile della società – e
dunque il verificarsi della causa di scioglimento di cui all\’art. 2448, n. 4,
cod. civ. e la conseguente responsabilità degli amministratori ai sensi
dell\’art. 2449 – sin quando le nuove azioni non siano sottoscritte (e pagate
almeno nella misura percentuale minima prescritta dalla legge)” (Sez. 1,
Sentenza n. 13503/2007).

La sentenza impugnata, nel riportare la motivazione
di quella del tribunale, afferma (a pag. 22) che “il 17.5.1989 l\’assemblea
straordinaria della G. s.p.a., informalmente convocata, aveva deliberato
l\’aumento del capitale sociale da uno a quattro miliardi, detta delibera non
aveva mai avuto esecuzione e lo stesso versamento dei tre decimi da parte del
nuovo socio F.G. s.r.l., asseritamente effettuato mediante assegno postale, non
risultava essere mai stato accreditato sui conti delle società o altrimenti
pervenuto nelle casse sociali».

Ora, se è certo che la delibera – in quanto non
eseguita – non poteva scriminare gli amministratori, tuttavia, ai fini della
responsabilità concorrente dei sindaci (e, nella concreta fattispecie, al fine
di determinare i danni imputabili a far tempo dall\’una o dall\’altra data) non
può non giovare, in ipotesi, ai predetti, la circostanza della convocazione
dell\’assemblea, della positiva adozione della delibera di aumento del capitale
sociale, la sottoscrizione dell\’aumento di capitale da parte di nuovo socio
(F.G. s.r.l.) e il versamento dei tre decimi, essendo il mancato versamento
della somma nelle casse sociali imputabile agli amministratori.

Sono mancati tutti gli accertamenti innanzi
evidenziati, talché si impone un nuovo esame da parte del giudice del merito
anche alla luce dei principi di diritto sopra richiamati. 

P.Q.M. 

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione
cassa la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle
spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Trieste in diversa
composizione.

Ti potrebbero interessare anche

ULTIMI ARTICOLI

Non sei ancora iscritto?

Prova la nostra demo

CATEGORIE

ATTUALITA'

UE: Mali di stagione

Banca d’Italia: I mali di stagione della nostra generazione!

Banca d'Italia: I mali di stagione della nostra generazione!   1 Il futuro dell'economia europea tra rischi geopolitici e frammentazione globale https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/interventi-governatore/integov2024/Panetta_lectio_magistralis_23042024.pdf
Antifascisti in occulto

Italo Bocchino, Secolo d’Italia: “Non mi piego alla logica dei gruppettari”

Italo Bocchino, Secolo d’Italia: “Non mi piego alla logica dei gruppettari” Fonte: ripartelitalia.it “Sì, certo”, è antifascista, “ma non ho bisogno di dichiararlo. Perché non voglio farmi piegare alla logica gruppettara imposta dalla sinistra che decide...