venerdì, Maggio 3, 2024
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IMPRESE ASSICURATRICI: Illegittimo lo scambio informativo dei dati sensibili finalizzato all’aumento del premio

Illegittimo
l\’aumento del premio causato da scambio di informazioni sensibili tra imprese
assicuratrici. Ne deriva la condanna al risarcimento del danno in via
equitativa e la soccombenza per le spese
(Cassazione civile sez. ISentenza 28.5.2014n. 11904)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta
dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente
-Dott. DI AMATO Sergio – rel. Consigliere -Dott. DOGLIOTTI Massimo
– Consigliere -Dott. BENINI Stefano – Consigliere -Dott. MERCOLINO
Guido – Consigliere -ha pronunciato la seguente: sentenzasul
ricorso 24519/2007 proposto da:FONDIARIA – SAI S.P.A., c.f. (OMISSIS),
già denominata SAISocietà Assicuratrice Industriale s.p.a., in persona
del legalerappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIAP.L. DA PALESTRINA 19, presso l\’avvocato PROSPERETTI MARCO, che
larappresenta e difende unitamente all\’avvocato FRIGNANI ALDO,
giustaprocura in calce al ricorso; – ricorrente –
contro P.N. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliatoin ROMA, VIA
DEGLI SCIPIONI 267, presso l\’avvocato CIARDO DANIELA,rappresentato e
difeso dall\’avvocato D\’IPPOLITO ARMANDO, giustaprocura a margine del
controricorso; – controricorrente -avverso la sentenza n. 431/2007
della CORTE D\’APPELLO di LECCE,depositata il 16/06/2007;udita la
relazione della causa svolta nella pubblica udienza del27/03/2014 dal
Consigliere Dott. SERGIO DI AMATO;udito il P.M., in persona del Sostituto
Procuratore Generale Dott.GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto
del ricorso.

Fatto

Con provvedimento
n. 8546 del 28 luglio 2000, impugnato senza successo innanzi al
giudiceamministrativo (sentt. n. 6139/2001 TAR Lazio e n. 2199/2002 Cons.
Stato), l\’Autorità garantedella concorrenza e del mercato (d\’ora innanzi
AGCM) sanzionava un largo numero di societàassicuratrici, fra le quali la
xxxx, per avere posto in essere, “nella forma di una
praticaconcordata, consistente nello scambio sistematico d\’informazioni
commerciali sensibili tra impreseconcorrenti”, un\’intesa orizzontale
restrittiva della concorrenza, tale da comportare un notevoleincremento
dei premi considerato che, nel periodo interessato dal comportamento illecito
(anni1994 – 2000), la media dei premi praticati in Italia era cresciuta
del 63% rispetto alla mediaEuropea.

Sulla base
di tale provvedimento P.N. conveniva in giudizio la xxx, innanzi al Giudice
dipace di Fasano, esponendo di avere stipulato con la convenuta un
contratto di assicurazione dellaRCA, corrispondendo il relativo premio
nel periodo dal 1995 al 2000; per tale ragione chiedeva, aisensi della L.
n. 287 del 1990, art. 33, la condanna della S.A.I. al risarcimento del
dannocagionatogli con la violazione delle norme a tutela della
concorrenza, come accertata dall\’AGCM.Il Giudice di pace, con sentenza
del 3 marzo 2005, dichiarava la propria incompetenza e lacompetenza della
Corte di appello di Lecce.Quest\’ultima, innanzi alla quale il giudizio
era riassunto, con sentenza del 16 giugno 2007,accoglieva la domanda e
condannava la convenuta al risarcimento dei danni
liquidatiequitativamente in Euro 104,00=, oltre rivalutazione ed
interessi. In particolare, per quanto ancorainteressa, la Corte di
appello osservava che: 1) il consumatore, che veda ingiustamente
elusoattraverso un\’intesa vietata il suo diritto di scelta tra prodotti
in concorrenza, dispone delle azionidi nullità e di risarcimento del
danno di cui alla L. n. 287 del 1990, art. 33; 2) il consumatore, nelcaso
di prodotti assicurativi, assolve l\’onere della prova a suo carico con la
produzionedell\’accertamento dell\’intesa anticoncorrenziale e con la
produzione della polizza, dovendosiindividuare il danno nel maggior
premio pagato; l\’assicuratore, d\’altro canto è ammesso a provareche la
sequenza causale tra intesa vietata ed aumento dei premi risulta interrotta da
uno o più fattidiversi che da soli sono idonei a procurare il danno; 3)
nella specie lo scambio sistematico diinformazioni aveva consentito alle
imprese di assicurazione, secondo quanto accertatodall\’AGCM, di uniformare
le loro condotte commerciali e di determinare premi più elevati diquelli
che si sarebbero registrati in un mercato concorrenziale; 4) la compagnia di
assicurazione siera limitata ad allegare le molteplici cause (truffe,
incremento della sinistrosità, lievitazione deirisarcimenti per
micropermanenti, imposte etc.) che, a suo dire, avevano influito sull\’aumento
deipremi, ma non aveva documentato attraverso quale iter era pervenuta
agli incrementi tariffari ed inquale misura ciascun fattore aveva inciso
sul rialzo del costo delle polizze ed era incorsa nellepreclusioni
istruttorie di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c.; 5) il danno poteva essere
liquidato, in viaequitativa e prudenziale, nella misura del 15% dei premi
pagati e perciò nella somma di Euro104,00, sulla quale erano dovuti
rivalutazione ed interessi.

La xxx. (già
xxx.) propone ricorso per cassazione, deducendo due motiviillustrati
anche con memoria.

P.N. resiste
con controricorso.

Diritto

Con il primo
motivo la ricorrente deduce la violazione dell\’art. 180 c.p.c., (nel testo
anteriore allemodifiche dettate dal D.L. n. 35 del 2005) ed il vizio di
motivazione, lamentando che la Corte diappello, che decideva la causa in
unico grado, non aveva svolto tutte le previste fasi procedurali,omettendo
in particolare, in sede di udienza di prima comparizione, di fissare “a
data successiva laprima udienza di trattazione, assegnando al convenuto
un termine perentorio non inferiore a ventigiorni prima di tale udienza
per proporre le eccezioni processuali e di merito” non
rilevabilid\’ufficio. Del tutto contraddittoriamente, pertanto, la Corte
di appello aveva affermato che laconvenuta era incorsa nelle preclusioni
di cui agli artt. 183 e 184 c.p.c., ed avevainammissibilmente formulato
le sue richieste istruttorie soltanto con la comparsa conclusionale.

Il motivo è
infondato. Nell\’ordinamento processuale opera il principio (esplicitato negli
artt. 400 e406 c.p.c.) per cui si osservano le forme proprie dei
procedimenti innanzi al giudice adito, se non èdiversamente stabilito
(Cass. 7 febbraio 2001; Cass., 14 gennaio 2003). Nei giudizi attribuiti
allacompetenza funzionale in unico grado della Corte di appello si
applicano, pertanto, le disposizionidettate dall\’art. 350 c.p.c., mentre
le norme dettate per il procedimento di primo grado si applicanosoltanto
se non incompatibili. In particolare, per quanto riguarda la trattazione della
causa, l\’art.350 c.p.c., prevede soltanto la prima udienza di trattazione
e non la scansione in udienza di primacomparizione e udienza di
trattazione introdotta per il giudizio di primo grado innanzi al
tribunaledal D.L. n. 432 del 1995. Tale scansione è evidentemente
incompatibile con il giudizio di appelloil cui ambito è segnato dalla
sentenza di primo grado e dai motivi di appello. Ne consegue che,anche
quando la Corte di appello giudica in unico grado, la predetta scansione, che
noncorrisponde ad esigenze imprescindibili della definizione del thema
decidendum e della posizionedelle parti, come dimostra la sua successiva
eliminazione ad opera del D.L. n. 35 del 2005, risultacomunque
inapplicabile. Del resto la scelta del legislatore di affidare la cognizione
alla Corte diappello in unico grado è normalmente caratterizzata dalla
presenza di una precedente attivitàaccertativa, sia essa operata dalla
P.A. (così nel caso di opposizione alla stima, prevista dalla L. n.865
del 1971, art. 20, e dal D.P.R. n. 32 del 2001, art. 54), dagli arbitri (come
nel casodell\’impugnazione del lodo, ai sensi dell\’art. 828 c.p.c.) o da
giudici di altri ordinamenti (come nelcaso della delibazione delle
sentenze ecclesiastiche, ai sensi degli artt. 796 e 797 c.p.c., rimasti
invita, anche dopo l\’abrogazione ad opera della L. n. 218 del 1995, nei
limiti del richiamo da partedella L. n. 121 del 1985). Tale precedente
attività, con conseguente circoscrizione del themadecidendum, concorre,
insieme al fine di favorire la sollecita definizione delle controversie
(Cass.s.u. 4 febbraio 2005, n. 2207), a giustificare la scelta del legislatore
di affidare la cognizione inunico grado alla Corte di appello, con la
conseguente applicabilità del rito innanzi ad essa previsto.Quanto detto
è vero, almeno in via di fatto, anche per le azioni previste dalla L. n. 287
del 1990,art. 33, comma 2. Infatti, sebbene tali azioni non siano dirette
all\’impugnazione dei provvedimentidel Garante della concorrenza e del
mercato (tale impugnazione è riservata alla competenza delTAR del Lazio)
e sebbene il provvedimento del Garante non sia configurato come un presuppostodell\’azione,
nei fatti le azioni ex art. 33 cit., certamente quando proposte dai consumatori
ma per lopiù anche quando proposte da un\’impresa concorrente,
presuppongono fisiologicamente un taleprovvedimento in quanto la
complessità dell\’accertamento delle condotte anticoncorrenzialiesclude di
fatto che esse possano essere dedotte e provate dal singolo consumatore o
concorrente.

Con il
secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell\’art. 2729 c.c., ed il
vizio dimotivazione, lamentando che la Corte territoriale dopo avere
presunto che l\’intesa restrittiva dellaconcorrenza aveva determinato un
aumento generalizzato del premio di tutte le polizze, avevaanche presunto
l\’esistenza di un danno in capo al singolo assicurato, avvalendosi così di
unainammissibile presunzione di secondo grado, senza considerare che
l\’aumento poteva in concretonon essersi verificato. In ogni caso, la
presunzione che faceva discendere il generalizzato aumentodei premi
dall\’intesa anticoncorrenziale, realizzata attraverso lo scambio di
informazioni, non eragrave, precisa e concordante poichè l\’accertamento
dell\’AGCM, da un lato, si era basato suun\’analisi a campione ed aveva
rilevato, oltre allo scambio di informazioni, soltanto medie dimercato e
cioè dati statistici non aventi valenza di fatto storico e, dall\’altro, non
aveva tenuto contodei molteplici fattori che avevano concretamente inciso
sui premi di polizza, come del restoriconosciuto dall\’AGCM con il
provvedimento n. 11891 del 2003, con cui era stata deliberata lachiusura
dell\’indagine conoscitiva sul settore.

Il motivo è
infondato. Si deve premettere che all\’esame del motivo deve restare estraneo il
tema,ampiamente ed approfonditamente prospettato dalla difesa della
ricorrente nella memoria ex art.378 c.p.c., dell\’ambito della prova
concessa all\’impresa per dimostrare che gli aumenti di prezzosono stati
determinati da fattori indipendenti dalla condotta anticoncorrenziale
sanzionata dalGarante. Nelle specie, infatti, il rigetto del primo motivo
esclude che la questione possa avere unosviluppo nel processo e ne
determina l\’assorbimento. Ne consegue che questa Corte deveoccuparsi
soltanto del tema della prova offerta dal consumatore.

Al riguardo,
secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. s.u. 4 febbraio 2005,
n.2207; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305;

Cass. 20
giugno 2011, n. 13486; Cass. 9 maggio 2012, n. 7039; Cass. 22 maggio 2013, n.
12551)proprio in relazione all\’intesa de qua, l\’assicurato che proponga
azione risarcitoria, ai sensi della L.n. 287 del 1990, art. 33, comma 2,
nei confronti dell\’impresa di assicurazione sanzionatadall\’Autorità
garante per aver partecipato ad un\’intesa anticoncorrenziale, assolve l\’onere
dellaprova a suo carico allegando la polizza assicurativa contratta
(quale condotta finale del pretesodanneggiante) e l\’accertamento, in sede
amministrativa, dell\’intesa anticoncorrenziale (qualecondotta
preparatoria). Sulla base di tali elementi si può, infatti, fondare la
presunzionedell\’indebito aumento del premio causato dal comportamento
collusivo. Il problema del rapportotra l\’intesa illecita ed i contratti a
valle va risolto, secondo la citata giurisprudenza, nel
sensodell\’inscindibilità di questi ultimi rispetto alla volontà anticoncorrenziale
residente a monte, laquale trova il suo momento di realizzazione appunto
nella necessitata ed inconsapevole adesionedel consumatore finale, cioè
di colui che, acquistando il prodotto, chiude la catena che inizia conla
produzione del bene. In altri termini, “il contratto finale tra
imprenditore e consumatorecostituisce il compimento stesso dell\’intesa
anticompetitiva tra imprenditori, la sua realizzazionefinale, il suo
senso pregnante” (Cass. n. 12551/2013 cit.).

Il che
consente di affermare che il giudice, attraverso presunzioni probabilistiche,
può desumere illegame eziologico tra comportamento anticoncorrenziale e
danno lamentato. Ne consegue che, intale situazione, provata l\’intesa
anticoncorrenziale e provata la stipula di una polizza, il nesso dicausalità
giuridica può essere escluso soltanto se l\’assicuratore prova la sopravvenienza
di fattiidonei di per sè soli a determinare l\’aumento dei premi.

A tale
orientamento deve essere data continuità. Il problema della prova del danno
subito dalsingolo consumatore, per effetto di un\’intesa
anticoncorrenziale accertata dal Garante dellaconcorrenza e del mercato,
richiede la soluzione delle seguenti connesse questioni: a) il
rapportotra le decisioni del Garante e quelle della Corte di appello; b)
la prova del nesso causale tra l\’intesaanticoncorrenziale accertata dal
Garante ed il danno patito dal consumatore; c) la prova diquest\’ultimo
danno.

Nel nostro
ordinamento il meccanismo di attuazione delle norme poste a tutela della
concorrenzaha una struttura duplice, pubblica e privata. Infatti,
l\’Autorità garante della concorrenza e delmercato opera su un piano
pubblicistico, essendo ad essa istituzionalmente affidata dalla legge
lafunzione di “autorità nazionale competente per la tutela della concorrenza”
(L. n. 287 del 1990,art. 10, comma 4), ed agisce anche d\’ufficio,
nell\’interesse pubblico ed in posizione diindipendenza, per dare
attuazione alle norme che vietano intese ed abusi di posizione
dominante(L. n. 287 del 1990, artt. 2, 3 e 4). L\’Autorità ha, tra
l\’altro, poteri di accertamento degli illecitiantitrust e poteri
sanzionatori di natura amministrativa che svolgono una funzione deterrente.
Insede civile, invece, operano i giudici ordinari i quali, su domanda di
singoli interessati (concorrentio consumatori), garantiscono la tutela
delle posizioni giuridiche soggettive che siano state lese dacondotte
d\’impresa in violazione delle norme antitrust, nazionali e comunitarie. La
posizionegiuridica del consumatore, oggetto di tutela, è rappresentata
dal “diritto a godere dei benefici dellacompetizione commerciale,
costituenti la colonna portante del meccanismo negoziale e della
leggedella domanda e dell\’offerta” (Cass. 2 febbraio 2007, n. 2305).
La Corte di appello può, tra l\’altro,condannare gli autori di
un\’infrazione antitrust a risarcire i danni causati.

La
distinzione tra tutela pubblica (public enforcement) e tutela privata (private
enforcement) sifonda sulla diversità dei presupposti della tutela
pubblica “che soddisfa un\’esigenza diversa daquella concessa dal
giudice ordinario, laddove quest\’ultimo si pronuncia soltanto su ricorso
diparte (in genere, imprese concorrenti) per la tutela di un interesse
privato, mentre l\’Autorità agiscedi sua iniziativa per tutelare l\’interesse
pubblico primario di rilevanza comunitaria e costituzionale,alla
salvaguardia di un mercato concorrenziale” (TAR Lazio sez. 1^, 7 marzo
2006, n. 1713). Nelnostro ordinamento, pertanto, a differenza di quanto
accade in altri ordinamenti (ad es. inGermania e nel Regno Unito),
l\’azione davanti al giudice civile non è subordinata ad una
previapronuncia dell\’Autorità, in virtù dell\’autonomia dei rapporti tra
azione amministrativa e giudiziaria,ed il provvedimento assunto dal
Garante non è vincolante per il giudice ordinario neppure nelcaso, come
quello in esame, in cui abbia superato con successo il vaglio del
giudiceamministrativo. Ciò non solo perché il privato consumatore è
normalmente estraneo al giudizioamministrativo, ma anche perché il
giudicato amministrativo si forma soltanto sulla legittimitàdell\’atto
assunto dall\’Autorità garante.

Il controllo
del giudice amministrativo – anche quando si sostanzia in una verifica dei
fatti volta adaccertare che il processo valutativo seguito dall\’Autorità
e la ricostruzione da essa operata sianoimmuni da travisamenti e vizi
logici, ed a valutare che le norme giuridiche siano statecorrettamente
individuate, interpretate ed applicate (Cons. Stato sez. 6^, 10 marzo 2006, n.
1271) -non comporta mai una traslazione di poteri dall\’Autorità al
giudice (Cass. s.u. 17 marzo 2008, n.7063). Inoltre, il giudicato
amministrativo non concerne il rapporto tra l\’impresa sanzionata ed
ilsingolo consumatore.D\’altro canto, le due tutele sono tra loro
complementari, come in ambito comunitario non hamancato di sottolineare
il Reg. CE n. 1/2003 (nel considerando n. 7), affermando che
legiurisdizioni nazionali “svolgono un ruolo complementare rispetto
a quello delle autorità antitrustnazionali e della stessa
Commissione”. La sinergia delle due tutele, infatti, accresce
l\’efficaciacomplessiva della normativa antitrust. Inoltre, il principio
di effettività e di unitarietàdell\’ordinamento non consente di ritenere
irrilevante il provvedimento del Garante nel giudiziocivile, considerato
anche che le due tutele sono previste nell\’ambito dello stesso testo normativo
enell\’ambito di un\’unitaria finalità. In tale prospettiva assume rilievo
anche l\’evidente asimmetriainformativa tra l\’impresa partecipe
dell\’intesa anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che sitrova,
salvo casi eccezionali da considerare di scuola, nell\’impossibilità di fornire
la prova tantodell\’intesa anticoncorrenziale quanto del conseguente danno
patito e del relativo nesso di causalità.Al riguardo giova anche
ricordare che, sia pure con esclusivo riferimento all\’azione di classe,
ilsesto comma dell\’art. 140 bis del codice del consumo (D.Lgs. n. 206 del
2005) prevede che iltribunale, nella fase di valutazione di ammissibilità
della domanda, “può sospendere il giudizioquando sui fatti rilevanti
ai fini del decidere è in corso un\’istruttoria davanti a
un\’autoritàindipendente ovvero un giudizio davanti al giudice
amministrativo”. Tutti tali elementi, nonpotendosi ritenere che
l\’attribuzione ai singoli consumatori dell\’azione di risarcimento dei danni
sirisolva in una mera affermazione di principio, convergono verso la
conclusione che nel giudiziocivile il provvedimento del Garante abbia una
elevata attitudine probatoria tanto con riferimentoall\’accertamento della
condotta anticoncorrenziale quanto con riferimento alla idoneità a
procurareun danno ai consumatori. In proposito, la giurisprudenza di
questa Corte ha parlato di “provaprivilegiata”, connettendo
tuttavia all\’espressione non sempre un univoco significato;
mentre,infatti, in un caso (Cass. 13 febbraio 2009, n. 3640) si afferma
che le parti hanno comunque lapossibilità di offrire prove a sostegno
dell\’accertamento del Garante o ad esso contrarie, in altrepronunzie
(Cass. 20 giugno 2011, n. 13486, Cass. 9 maggio 2012, n. 7039) si afferma
cheall\’impresa sanzionata non è consentito “nel giudizio civile
rimettere in discussione i fatticostitutivi dell\’affermazione di
sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenzain
base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già
disattesi in quella sede”.Il tema, tuttavia, come preannunciato,
esula dalle questioni che assumono rilievo ai fini delladecisione del caso
in esame; in questa sede, infatti, la questione deve essere esaminata
soltantonella prospettiva della idoneità della prova offerta dal
consumatore. In questa prospettiva, purdovendosi condividere l\’assunto
della ricorrente della inesistenza nel nostro ordinamento dellacategoria
della prova privilegiata, distinta da quella della prova legale, non si può
discuterel\’elevata attitudine probatoria dell\’accertamento compiuto
dall\’Autorità cui, come si è detto, èistituzionalmente affidata dalla
legge la funzione di “autorità nazionale competente per la
tuteladella concorrenza”.

Da quanto
detto e dal fatto che la condotta anticoncorrenziale trova il suo momento
direalizzazione nella adesione del consumatore finale al contratto
predisposto dall\’impresasanzionata consegue che il provvedimento del
Garante consente di ritenere provate non solo lacondotta
anticoncorrenziale e la sua idoneità a procurare un danno ai consumatori, ma
anche, invia presuntiva, che tale danno sia stato concretamente arrecato
ai consumatori. Invero, lafattispecie di intesa orizzontale antitrust,
che trova la sua ragione primaria nella volontà delleimprese partecipanti
di ricavare maggiori profitti, non può essere sganciata dalla serie dei
contrattidi massa che le imprese partecipanti alla stessa vanno
successivamente a stipulare con iconsumatori e che della stessa intesa
rappresentano il naturale complemento. Infatti, è attraverso lapluralità
dei contratti a valle che l\’illecito anticoncorrenziale viene portato realmente
acompimento e realizza il fine ultimo delle imprese responsabili:

lucrare un
profitto maggiore rispetto a quello che si sarebbe ottenuto in assenza di
comportamentirestrittivi della concorrenza.

Al riguardo,
poi, non è possibile distinguere tra danno arrecato alla generalità dei
consumatori edanno arrecato al singolo consumatore (conf. Cass. 22 maggio
2013, n. 12551), assumendo che ilpassaggio dell\’accertamento dall\’uno
all\’altro avvenga con una violazione del principiopraesumptum de
praesumpto non admittitur.

Invero, per
sua natura, l\’illecito anticoncorrenziale polverizza il danno tra tutti i
consumatorisicchè è artificioso ritenere che la posizione del singolo
vada distinta, sul piano presuntivo, dallaposizione dell\’insieme dei
consumatori. In questa situazione, pertanto, il consumatore
assolvel\’onere della prova a suo carico con la produzione del
provvedimento dell\’AGCM e del contrattoda lui stipulato. Sull\’impresa
sanzionata grava, anche alla stregua del principio di vicinanza
dellaprova – principio riconducibile all\’art. 24 Cost., e al divieto di
interpretare la legge in modo darendere impossibile o troppo difficile
l\’esercizio dell\’azione in giudizio (e plurimis Cass. 17 aprile2012, n.
6008; Cass. 25 luglio 2008, n. 20484) – l\’onere di vincere la presunzione,
dimostrando chel\’ammontare del premio non sia stato determinato anche
dalla condotta anticoncorrenziale, masoltanto da fattori ad essa
estranei. Infatti, il contratto è predisposto dall\’impresa ed il
consumatoreha solo la possibilità di aderirvi o meno, con conseguente
totale estraneità alla determinazione delprezzo, affidata soltanto
all\’impresa, la quale, quindi, è l\’unica ad avere piena conoscenza
deglielementi che hanno concorso alla detta determinazione.

Quanto,
infine, all\’ammontare del danno subito dal consumatore, si deve rilevare
l\’eccezionaledifficoltà per il danneggiato di darne precisa
dimostrazione, sia per la complessità dei fattori checoncorrono nella
determinazione dei premi sia perchè, come già detto, soltanto l\’impresa
conosceesattamente la relativa incidenza dell\’intesa anticoncorrenziale.
Ne consegue che il danno, comeritenuto nella specie dalla sentenza
impugnata, ben può essere determinato equitativamente in unapercentuale
del premio, quando il Garante ha accertato, sulla base di un campione
ritenutosignificativo, che la media dei premi praticati in Italia era
cresciuta del 63% rispetto alla mediaEuropea.

In
conclusione, nel caso in cui l\’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
abbiasanzionato un\’impresa di assicurazione per un\’intesa restrittiva
della concorrenza, il consumatoreche promuova azione di risarcimento dei
danni ex art. 33, secondo comma, della legge n.287/1990 assolve l\’onere
della prova a suo carico con la produzione del provvedimentosanzionatorio
e con la produzione della sua polizza. Infatti, il provvedimento del Garante,
cui devericonoscersi elevata attitudine a provare tanto la condotta
anticoncorrenziale quanto l\’astrattaidoneità della stessa condotta a
procurare un danno ai consumatori, consente di presumere, senzaviolazione
del principio praesumptum de praesumpto non admittitur, che dalla
condottaanticoncorrenziale sia effettivamente scaturito un danno per la
generalità degli assicurati, nel qualeè ricompreso, come essenziale
componente, il danno subito dai singoli assicurati, mentre è
oneredell\’impresa assicurativa, anche alla stregua del principio di
vicinanza, offrire prova contraria adimostrazione della interruzione del
nesso causale tra l\’illecito antitrust e il danno patito tanto
dallageneralità dei consumatori quanto dal singolo.

Accertata
l\’esistenza di un danno risarcibile, il giudice può procedere in via equitativa
alla relativaliquidazione, determinando l\’importo risarcitorio in una
percentuale del premio pagato.

Le spese di
lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il
ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidate in
Euro 3.600,00,di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Così deciso
in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 marzo 2014.

Depositato
in Cancelleria il 28 maggio 2014

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