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PROCEDURE CONCORSUALI: Trasferire le sede all’estero non serve a sfuggire al fallimento italiano

Trasferire le sede all’estero non serve a sfuggire al fallimento italiano

30 giugno 2016Tributario29 Visualizzazioni

Il trasferimento della sede in
un altro Stato membro, con la permanenza in Italia del centro degli
interessi principali dell’attività, non blocca la procedura di fallimento e lacompetenza dei giudici italiani.

Lo ha chiarito la Corte di giustizia dell’Unione europea con l’ordinanza del 24 maggio scorso (Causa 353/15).
È stata la Corte di appello di Bari a sollevare il quesito
pregiudiziale d’interpretazione sul regolamento n. 1346/2000 relativo
alle procedure d’insolvenza, sostituito dal n. 2015/848.

Al centro della
vicenda nazionale, l’istanza di fallimento presentata da alcune società
creditrici nei confronti di un’azienda con sede legale a Modugno (Bari).
L’azienda debitrice, pochi giorni prima, si era iscritta nel registro
delle imprese della Bulgaria e aveva nominato un nuovo amministratore
bulgaro. Il Tribunale di Bari aveva respinto l’istanza di sospensione
del procedimento chiesta dalla società debitrice e aveva considerato il
trasferimento societario come fittizio. I giudici di appello hanno
sollevato una questione pregiudiziale sull’articolo 3 del regolamento,
malgrado la Corte di Cassazione si fosse già pronunciata a favore della
giurisdizione dei giudici italiani.

Igiudici europei,
per quanto riguarda la competenza dei giudici italiani in relazione al
fallimento, hanno stabilito che, se è stato accertato che il centro
degli interessi principali è in un luogo diverso, la presunzione cessa
di operare. Ilcentro degli interessi principali deve essere individuato «privilegiando il luogo dell’amministrazione principale della società come determinabile sulla base di elementi oggettivi e riconoscibili da terzi». Bisogna dunque tener contodeiluoghi in cui la società debitrice esercita l’attività economica, dei luoghi in cui detiene i beni, dell’esistenza di contratti sulla gestione finanziaria gestiti in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria.
Elementi sufficienti – osserva la Corte – «a superare la presunzione
introdotta dal legislatore dell’Unione». A patto che, però, con una
valutazione globale degli elementi rilevanti, si ritenga che, in modo
riconoscibile da terzi, il centro effettivo di direzione e di controllo
sia in un altro Stato membro, in questo caso quello di origine, ossia
l’Italia.

Fonte: ilsole24ore

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