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BANCAROTTA FRAUDOLENTA “PRER DISTRAZIONE”: Prova del reato

Prova del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione

Cassazione Penale, Sez. V, 06 maggio 2016, n. 18980 – Pres. Nappi, Rel. Pezzullo


La Suprema Corte cassa con rinvio una pronuncia di secondo grado
che aveva condannato un imprenditore per bancarotta fraudolenta per
distrazione, sulla base di alcune prove giudicate, in sede di
legittimità, come non idonee a fondare un giudizio di colpevolezza
dell’imputato.

Ad avviso dei giudici di legittimità, la sentenza della Corte
d’Appello deve essere riformata con riguardo a tre fondamentali profili:

1) in primo luogo, al fine di ritenere provato l’illecito
trattenimento (e quindi la sottrazione al patrimonio societario) di una
caparra confirmatoria, versata all’imprenditore in ragione di un
preliminare di compravendita stipulato per scrittura privata
autenticata, non può essere giudicata conferente la predetta scrittura,
in quanto il notaio in sede di stipula si è limitato ad autenticare le
firme, senza effettuare una attestazione della dazione di denaro a
titolo di caparra. La Corte cita a supporto Cass. pen., Sez. V, n.
35882/2010, secondo cui «in tema di bancarotta per distrazione, il
mancato rinvenimento all’atto della dichiarazione di fallimento di beni o
valori societari costituisce valida presunzione della loro dolosa
distrazione, a condizione che sia accertata la previa disponibilità,
da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta
dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione
».

2) In secondo luogo, con riferimento alla distrazione di un’autovettura concessa in leasing,
in secondo grado risultava dalle difese dell’imputato non solo che il
bene era stato consegnato a soggetti terzi, ma anche che alcune
valutazioni erano idonee a far ritenere non integrato l’elemento
psicologico del reato. Su tali considerazioni, tuttavia, la Corte
d’Appello non si è espressa: secondo la Cassazione (Cass. pen., Sez. V,
n. 44898/2015), «in tema di bancarotta per distrazione di beni ottenuti
in leasing, ai fini della configurabilità del reato in capo
all’utilizzatore poi fallito, è necessario che tali beni siano nella
sua effettiva disponibilità, in conseguenza dell’avvenuta consegna, e
che di essi vi sia stata “appropriazione”
».

3) Infine, riguardo alla contestazione di un reato di bancarotta
impropria per operazioni dolose consistenti in un acquisto immobiliare
con modalità fraudolente, in secondo grado non si è adeguatamente
motivata la sussistenza di un nesso causale tra le operazioni ed il
fallimento, anche in considerazione del fatto che a) era riscontrabile
una distanza temporale tra i due avvenimenti; b) l’acquisto immobiliare
aveva determinato, in definitiva, un incremento patrimoniale per la
società fallita. La Corte richiama, in proposito, due massime di
legittimità: «in tema di bancarotta fraudolenta ex art. 223, comma secondo, n. 2, l. fall., le operazioni dolose che hanno cagionato il fallimento devono sempre comportare un’indebita diminuzione dell’attivo,
ossia un depauperamento non giustificabile in termini di interesse per
l’impresa» (Cass. pen., Sez. V, n. 17690/2010); inoltre, «in tema di
bancarotta fraudolenta impropria, nell’ipotesi di fallimento causato da
operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della
società, la condotta di reato è configurabile quando la
realizzazione di tali operazioni si accompagni, sotto il profilo
dell’elemento soggettivo, alla prevedibilità del dissesto come effetto
della condotta antidoverosa
» (Cass. pen., Sez. V, n. 45672/2015).

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