venerdì, Maggio 3, 2024
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TARIFFE DEL SERVIZIO MENSA: Le possibili differenziazioni

Chiedo
chiarimenti in merito alla legittimità e ammissibilità costituzionale del
regolamento di refezione scolastica di un Comune, approvato con delibera del
consiglio comunale. Tale documento, con validità per gli anni scolastici
2015/2016 e 2016/2017, attua a mio avviso una macroscopica discriminazione
tariffaria tra “residenti” (che pagano 2,54 euro a pasto) e “non residenti”
(3,90 euro) e, soprattutto, a questi ultimi è preclusa la possibilità di fruire
delle agevolazioni reddituali (face Isee) previste dal regolamento stesso. In
sostanza, il bambino residente di famiglia benestante paga meno (2,54 contro
3,90 euro) del bimbo non residente che, avendo Isee uguale a zero, avrebbe
diritto alla mensa totalmente gratuita.

Qual
è il parere dell’esperto?

T. D.– ANZIO

R I S P O S T A

Il servizio di refezione scolastica è
sì un servizio pubblico, ma “a domanda individuale”. Ciò comporta che se il
Comune decide di istituirlo, è obbligato per legge a stabilire la quota di
copertura tariffaria a carico dell’utenza: così prevedono sia l’articolo 6,
comma 1, del Dl 55/1983, sia l’articolo 172, comma 1, lettera e, del Dlgs 16
agosto 2000, n.267. nell’esercizio di tale potere – dovere, e in particolare
nella qualificazione del tasso di copertura tariffaria del costo di gestione
del servizio, il Comune gode di amplissima discrezionalità, che non trova
alcuna limitazione in ordine alla misura massima imputabile agli utenti”.

Questo
è il passaggio – chiave della sentenza 1365 del 31 luglio 2014, con il quale il
Tar Piemonte, sezione I, si pronuncia a proposito dei diversi motivi con cui
veniva impugnata la delibera del consiglio comunale di Torino riguardante il
sistema tariffario dei servizi educativi e delle tariffe del servizio mensa.

La
sentenza offre lo spunto per chiarire diversi punti riguardanti l’ambito in cui
tale discrezionalità può essere esercitata dal Comune, con particolare
riferimento alla differenziazione delle tariffe in relazione all’obbligo del
sistema economico Isee (indicatore della situazione economica equivalente), per
la modulazione delle tariffe e anche relativamente alla possibilità di
individuare queste ultime senza una diretta correlazione al costo effettivo del
pasto.

Gli
aspetti salienti sono:

a)la non obbligatorietà
del servizio determina la sua facoltatività, la quale comporta la duplice
possibilità di finanziare il servizio secondo le disponibilità di bilancio del
Comune e di richiedere all’utenza una contribuzione;

b)la contribuzione è
frutto di una scelta discrezionale dell’amministrazione comunale, la quale
comunque dev’essere esercitata nel rispetto dei princìpi di equilibrio economico-finanziario di
gestione del servizio (anche se non sussiste un limite minimo di copertura, prima
fissato al 36 per cento, ma semplicemente l’obbligo di determinare i costi del
servizio, ex articolo 6 del Dl 55/1983, e di pareggio del bilancio;

c)la scelta sfugge al
sindacato giurisdizionale amministrativo “laddove non sia affetta da vizi
macroscopici di illogicità o di irragionevolezza”;

d)essendo la tariffa una
forma di contribuzione richiesta discrezionalmente all’utenza, essa può essere
“determinata dall’amministrazione sulla scorta di parametri diversi dal mero
costo diretto del singolo pasto”;

e)l’applicazione dei
criteri Isee per la modulazione delle tariffe del servizio è prevista dal
decreto del ministero del Lavoro dell’8 marzo 2013, che include il servizio di
mensa scolastica tra le prestazioni sociali agevolate non destinate alla
generalità dei soggetti.

Come
si può vedere, a parte l’applicazione dei criteri Isee, la quale determina
obbligatoriamente la suddivisione delle tariffe di accesso al servizio in base
alle fasce di reddito, non sussistono vincoli (se non quelli di logica e di
congruità) per la determinazione dei criteri su cui basare la contribuzione
alla gestione del servizio da parte dell’utenza. In questa chiave va vista
anche la individuazione delle tariffe ulteriormente differenziate per i “non
residenti”, ai quali può, dunque, essere chiesto un sacrificio economico
maggiore rispetto all’utenza residente, in considerazione del fatto che il
servizio di mensa scolastica fa riferimento prioritariamente all’utenza del
territorio comunale.

Va
detto, infine, che non sussiste l’obbligo di motivazione per tale
differenziazione, trattandosi di un atto di contenuto generale, a norma
dell’articolo 3, comma 2, della legge 241/1990.

DAL “IL SOLE 24 ORE” DEL
7 NOVEMBRE 2016

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