Merito creditizio: “No manleva, stop finanziamenti”!
Con il decreto liquidità dell’aprile scorso n.23/2020, presentato dal nostro Premier come il “bazooka dell’economia” in occasione della conferenza stampa che ne è seguita, si disse che lo Stato metteva sul piatto 400 miliardi di euro per aiutare le imprese a ripartire, dopo lo stop produttivo della primavera scorsa causato dalla pandemia da Covid-19.
Si è trattato di un grande programma di finanziamento (prestito da restituire) a garanzia pubblica. In pratica, i soldi sarebbero stati anticipati direttamente dalle banche alle famiglie e alle imprese che, grazie alla garanzia dello Stato, non avrebbero mai prodotto sofferenze di sorta in caso di insolvenza.
Apparentemente una manna per le banche che, nel fare impieghi prestando denaro, non avrebbero corso alcun rischio.
Il successo di questa iniziativa è stato decisamente modesto se si considera che solo il 25% di questa montagna di garanzia ha raggiunto l’obiettivo posto che, ancora oggi, tante aziende non hanno riaperto e forse non riapriranno mai per mancanza di liquidità.
Di questo, della difficoltà dell’impresa a ripartire pochi o nessuno ne parla, impegnati come sono quasi tutti ad aspettare questa pioggia di miliardi in arrivo dall’Europa secondo il programma del Recovery fund.
Manleva sul merito creditizio
In concomitanza della pubblicazione del decreto liquidità, il Direttore generale dell’Associazione bancaria italiana (Abi), Giovanni Sabatini, evidenziò la necessità di introdurre una “manleva sul merito creditizio”, finalizzato a proteggere il funzionario di banca da eventuali responsabilità penali in caso di insolvenza del cliente.
Facciamo un esempio: se io banca concedo una linea di credito di 200mila euro ad una impresa che, contrariamente agli accordi stabiliti, destina queste risorse a finalità estranee all’oggetto sociale. Insomma fallisce perché invece che pensare a pagare i dipendenti ed acquistare i fattori produttivi necessari, distrae la provvista provocando il fallimento dell’impresa. La magistratura, all’uopo attivata – da qualche dipendente, socio dell’impresa etc. – apre una inchiesta per “bancarotta fraudolenta” e la frittata è fatta con evidenti rischi anche per la banca che ha erogato la somma.
Anche se la responsabilità penale dell’istituto di credito (rectius: del funzionario di banca) è tutta da dimostrare, il procedimento penale in termini di concorso appare inevitabile, valendo le consuete regole contemplate dagli artt. 110 e ss. c.p. La giurisprudenza, ad esempio, ha avuto occasione di precisare che “a configurare la responsabilità dell’ “extraneus” per concorso nel reato proprio (nel caso in esame del funzionario di una banca nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commesso dagli amministratori) sono sufficienti: l’incidenza causale dell’azione dell’ “extraneus” e la sua consapevolezza del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico” (11 Tra queste tesi ha ricercato una sintesi la sentenza n. 16388 del 23 marzo 2011 della Sezione V che, nel suo passaggio più significativo, sottolinea dapprima il conflitto più sopra evidenziato per offrire poi una lettura unitaria dei contrastanti orientamenti di merito. In particolare si legge: “il giudice di legittimità ha affermato che occorre la prova della consapevolezza che la propria azione sia foriera di danno ai creditori e pertanto debba essere accompagnata dalla conoscenza, da parte dell’agente, dello stato di decozione dell’impresa a cui viene sottratto il cespite attivo (cfr. Cass., Sez. 5^, 22 aprile 2004, Bertuccio, CED Cass. 228905). Senza volermi dilungare eccessivamente sulla giurisprudenza, spesso contraddittoria maturata al riguardo, voglio solo dire che la valutazione del “merito creditizio” da parte della banca è importante per scongiurare incidenti di questa portata.
In pratica se c’è da parte del funzionario di banca la “consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori, anche quando l’agente, pur non perseguendo direttamente tale risultato, tuttavia lo preveda e, ciò nonostante, agisca, consentendo la sua realizzazione. Ne consegue che è sufficiente che l’agente, perseguendo un interesse proprio o di terzi estranei all’impresa, abbia la coscienza e volontà di porre in essere atti incompatibili con gli interessi della stessa, anche se non qualificati da una specifica volontà di cagionare danno ai creditori dell’imprenditore” (Cass. pen., Sez. II, 15.10.08, n. 43171).
Allo stato la situazione è drammatica, non solo quella occupazionale che ancora non si vede grazie la “cassa integrazione” operativa fino al prossimo dicembre, in costanza del divieto di licenziamento.
Con l’anno nuovo, le imprese vanno aiutate, i finanziamenti o gli aiuti a fondo perduto vanno erogati con urgenza, cercando di scongiurare ogni sorta di responsabilità per la banca e assecondando la richiesta della “manleva”.
Nessuno parla, tutti muti e intanto la situazione peggiora: si salvi chi può!