lunedì, Aprile 29, 2024
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INDAGINI FISCALI & NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO : Versamenti e prelievi sul conto corrente: quali rischi?

INDAGINI FISCALI & NORMATIVA ANTIRICICLAGGIO : Versamenti e prelievi sul conto corrente: quali rischi?

 

FONTE: laleggepertutti.it

 

Indagini fiscali e normativa antiriciclaggio sull’uso del contante: quante insidie si nascondono dietro il versamento o il prelievo di denaro dal proprio conto corrente bancario?

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Si sente spesso parlare del fatto che versamenti e prelievi sul conto corrente non siano più liberi come una volta, nuova faccia del rapporto tra banche e fisco non più improntato al “segreto”, ma alla massima “trasparenza”.
Poiché però i tre quarti degli italiani ha un conto corrente bancario o postale, la cosiddetta
tracciabilità di versamenti o prelievi resta comunque il canale privilegiato degli accertamenti fiscali intrapresi dall’Agenzia delle Entrate. Pertanto, prelievi e versamenti ingiustificati continuano a rimanere sotto la lente d’ingrandimento del Fisco, tornasole della veridicità di quanto autodenunciato dal contribuente nella dichiarazione dei redditi.

Il tutto è stabilire fin dove può spingersi il correntista nell’effettuare versamenti e prelievi sul conto senza insospettire l’Agenzia delle Entrate: qual è, in altri termini, la soglia del legale e dove inizia, invece, quella del sospetto che è anche anticamera dell’accertamento? 

Il problema va affrontato sotto due aspetti diversi, anche se poi il secondo è assorbente rispetto al primo: il rispetto della normativa sull’uso del contante e l’obbligo di riuscire a motivare prelievi e versamenti effettuati sul e dal conto corrente, anche a distanza di molto tempo. 

Antiriciclaggio e uso dei contanti 

Riguardo al primo punto, non c’è
molto da dire: sebbene con la legge di Stabilità del 2016
[1] si sia liberalizzato l’uso di denaro contante fino a 3.000 euro (in passato era di 1.000 euro), questo tetto non si applica ai prelievi e versamenti in banca, che pur superando tale soglia continuano ad essere liberi. In altre parole, si può versare sul conto un importo di oltre 3.000 euro senza violare alcuna norma, così come lo si può prelevare senza che il dipendente ci chieda per quali scopi ci serve il denaro. 

Accertamenti fiscali 

Diverso il discorso per mettersi al riparo dagli accertamenti fiscali. L’impiego delle indagini bancarie per individuare l’evasione fiscale è il mezzo più potente di cui dispone l’Agenzia delle Entrate e, certo, non si fa pregare due volte per utilizzarlo.
Anche laddove l’autorizzazione del PM dovesse essere nulla per ragioni di forma, secondo la
Cassazione l’indagine bancaria è ugualmente valida, poiché basta una semplice segnalazione per dare il via ai controlli. 

Per difendersi dagli accertamenti bancari, è sempre bene mantenere traccia dell’uso di prelievi e versamenti effettuati sul e dal conto corrente. In altre parole, è bene che il correntista – anche nel caso di somme acquisite tramite bancomat – riesca a dimostrare l’impiego delle stesse. Questa regola, nata per gli imprenditori commerciali, è stata poi estesa ai professionisti (e, per questi ultimi, successivamente eliminata dalla Corte Costituzionale) e, di fatto, utilizzata anche per tutti gli altri contribuenti, anche se lavoratori con reddito fisso. Ma che significa tutto questo? Cerchiamo di capirlo meglio. 

Tutte le volte in cui il titolare di un conto corrente preleva una somma di denaro elevata o, a più riprese, effettua dei prelievi di basso importo ma che, tra loro sommati, raggiungono un tetto ragguardevole, il fisco presume che tale denaro
possa essere utilizzato in
investimenti volti a procurare altro denaro. Per quale scopo, difatti, si prelevano, ad esempio, 10.000 euro dal conto? Non certo per il supermercato o per le bollette. La finalità non può che essere ulteriore: l’acquisto di un bene che possa procurare altro denaro (beni di investimento). La ragione è semplice: nessuno è disposto a spendere 10mila euro se non per ottenerli indietro con interessi e un ulteriore lucro (si pensi, anche, a un semplice prestito o all’acquisto di un macchinario
informatico per iniziare un’attività commerciale sottobanco). 

Dunque, se nonostante il prelievo consistente non vi è traccia – né nella dichiarazione dei redditi né altrove – dell’uso di tale denaro o dell’utilità che esso ha comportato è chiaro che l’operazione può nascondere un’evasione fiscale. 

Sulla scorta di tale ragionamento, la legge stabilisce una presunzione di evasione (salvo prova contraria) su tutti i prelievi e versamenti non giustificati, se effettuati da titolari di partita IVA o imprenditori. 

La conseguenza è dirompente per tali soggetti in quanto maggiormente sospettati di evasione fiscale: ad essi spetta sempre il compito di giustificare prelievi e versamenti sul conto corrente. In caso di mancanza di “pezze d’appoggio”, l’Agenzia delle Entrate può far scattare l’accertamento fiscale

Prelievi e versamenti per professionisti 

La stessa norma era stata estesa anche ai professionisti, ma successivamente cancellata dalla Corte Costituzionale [2]. Quest’ultima sentenza – partendo dalla constatazione che i professionisti, a differenza degli imprenditori, hanno una
contabilità semplificata e non devono disporre di un conto autonomo per l’attività rispetto a quello personale – ha detto che la
presunzione di evasione per i prelievi sul conto non giustificati non si applica ai professionisti. In buona sostanza, tali soggetti sono liberi di prelevare dal conto somme anche consistenti senza timore che, in assenza di pezze d’appoggio o di giustificazioni, possa scattare un accertamento fiscale.

La Corte Costituzionale ha parlato espressamente di versamenti. Ma la Cassazione ha esteso la stessa regola anche ai prelievi (sempre per i professionisti) [3]. Quest’ultima interpretazione era stata inizialmente criticata [4]. Ad ogni modo, sembra oggi potersi dire che i professionisti no n debbano avere timore di prelevare o versare dal conto somme anche rilevanti benché non possano poi darne giustificazioni. 

Prelievi e versamenti per professionisti 

La possibilità di effettuare un accertamento fiscale per prelievi o versamenti consistenti di denaro sul conto non salva neanche il lavoratore con reddito fisso, come il dipendente con contratto full time (di norma ritenuto sempre al riparo dai sospetti
dell’Agenzia delle Entrate). La
giurisprudenza, infatti, ammette – sebbene non in via sistematica, ma solo laddove le evidenze di una possibile evasione fiscale siano conclamate – gli accertamenti bancari anche sui risparmiatori. Sicché è sempre bene, anche in tali ipotesi, conservare traccia dell’impiego del denaro contante a seguito di prelievo o versamento

Come difendersi dagli accertamenti bancari 

Le ultime sentenze della Cassazione [5] mostrano un indirizzo oscillante in merito alla necessità di avvisare il contribuente, prima dell’accertamento a seguito di indagine bancaria, per dargli la possibilità di difendersi senza dover per forza ricorrere al giudice. In ogni caso, la linea di difesa, oltre ovviamente al conservare tutte le pezze d’appoggio dell’impiego di denaro
prelevato dal conto (o, nel caso di versamento, della fonte dello stesso), è quella di far valere il diritto al cosiddetto
contraddittorio preventivo

Spetta al contribuente fornire la prova contraria alle presunzioni basate sulle indagini bancarie. La prova, che deve essere specifica (non potendo contrapporsi affermazioni generiche), può fondarsi anche su presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti [6]

Prelievi e versamenti sui conti intestati ai familiari 

La Cassazione [7] ha detto che il rapporto familiare è sufficiente a giustificare il controllo sul conto intestato a un soggetto diverso dal contribuente, e a riferire a quest’ultimo le relative movimentazioni, anche in caso di mancata presentazione della dichiarazione da parte sua. Non è inoltre necessario integrare il contraddittorio con il familiare (in quella circostanza, la moglie) titolare del conto corrente, visto l’utilizzo promiscuo del conto stesso, di cui il contribuente ha l’effettiva disponibilità. 

La Cassazione ha affermato in numerose sentenze che il vincolo coniugale o familiare con il contribuente sarebbe sufficiente a estendere il controllo bancario ai conti correnti, perché l’intestazione ai familiari rappresenterebbe un espediente “normale” [8].

 

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[1] L. 208/2016.

 

[3] Cass. sent. n. 12779/2016, n. 12781/2016, n. 23041/2015.

 

[4] Cass. sent. n. 25295/2014, n. 1008/2015, n. 4585/2015, n. 9721/2015, n. 12021/2015 e n. 6093/2016. Nella decisione 6093 del 2016, in particolare, la Suprema corte ha giustamente affermato che la sentenza costituzionale – sopprimendo le parole «o compensi» nell’articolo 32 del Dpr – non ha inteso «escludere in toto l’operatività, nei confronti dei lavoratori autonomi, della presunzione legale basata sugli accertamenti bancari; dalla motivazione della sentenza risulta che la dichiarazione di illegittimità
costituzionale espressa nel dispositivo è riferita unicamente alla presunzione di maggior reddito basata “sui prelievi ingiustificati da conti correnti bancari effettuati da un lavoratore autonomo”, ferma restando la legittimità della imputazione a compensi delle somme risultanti da operazioni bancarie attive di versamento». 

[5] Cass. sent. n. 4314/2015 e n. 18370/2015. Contraria sent. n. 10908/2016 e n. 24823/2015 delle Sezioni unite.

 

[6] Cass. sent. n. 545/2016 e n. 18125/ 2016.

 

[7] Cass. sent. n. 927/2016.

 

[8] Cass. sent. n. 10386/2014.

 

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