giovedì, Maggio 2, 2024
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La pazza gioia – Il giudice che si faceva chiamare «marchese» e altri casi evitabili coi test psicoattitudinali

In questi anni il Csm non ha potuto punire chi ha mostrato evidenti segni di inaffidabilità, come la toga inferma di mente ugualmente promossa in Cassazione o il giovane magistrato che pensava l’oste gli mettesse i chiodi nella minestra

E se un test psicoattitudinale a inizio carriera non fosse troppo, ma troppo poco? Non che i magistrati siano tutti matti, come diceva Silvio Berlusconi, ma cosa si può fare per essere certi che il giudice decida di fatti e azioni che interessano i cittadini con equilibrio e alla luce del diritto? Il problema non è nuovo, se lo era posto perfino Palmiro Togliatti che da ministro della Giustizia dispose, all’articolo 3 della cosiddetta legge Togliatti sulle Guarentigie della Magistratura (regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n.511): «Se per qualsiasi infermità, giudicata permanente, o per sopravvenuta inettitudine, un magistrato non può adempiere convenientemente ed efficacemente ai doveri del proprio ufficio, è dispensato dal servizio, previo parere conforme del Consiglio superiore della magistratura».

E allora perché è così difficile attuare la disposizione? Perché ci sono voluti dieci anni al Consiglio superiore della magistratura per sospendere dalle funzioni e dallo stipendio un magistrato del tribunale di sorveglianza di Perugia che aveva accumulato tra le proteste e il malcontento generale un arretrato di ottocentocinquantotto fascicoli? Alla fine quel magistrato si è dimesso sua sponte con la seguente dichiarazione: «Prima di diventare magistrato avevo fatto il concorso per diventare poliziotto. Alla fine mi fecero un test psicoattitudinale e mi dissero: “Guarda, tu hai una fragilità emotiva, pensa se ti trovassi allo stadio a fare ordine pubblico, ti fai prendere dall’agitazione e chissà cosa combini. Tu il poliziotto non lo puoi fare”. Ecco, sarebbe stato bene che il test me lo avessero fatto anche al concorso per magistrato. Invece niente, lì non è previsto».

Altri esempi? Ve ne sono a non finire. Qualche anno fa un magistrato nel corso di un’udienza ha iniziato improvvisamente a insultare gli avvocati, chiedendo più volte a uno di essi di distinguere tra i termini «disonesto e disonorato»; poi nel corso della stessa udienza ha dichiarato: «Il santo ha detto che oggi vi sono schiaffoni per tutti»; infine si è alzato e «stiracchiando le braccia dichiarava che l’udienza era interrotta avendo egli bisogno di riposarsi». Passato qualche giorno, si aggirava per il tribunale esclamando: «A noi le femmine belle e schiaffoni per tutti!», avanzando «proposte oscene a una signora per bene», alla quale il cancelliere «ha dovuto dire delle sconvolte condizioni psichiche del magistrato».

Quando finalmente il capo del suo ufficio gli comunicò che era stata disposta nei suoi confronti una visita medica collegiale, strappò il foglio che gli era stato consegnato e, al rilievo che avrebbe potuto essere incriminato, aveva replicato di «non avere gettato a terra i pezzi lacerati». Questo stesso magistrato, sottoposto a una visita medica presso un ospedale militare era risultato «euforico, espansivo, iperlogorroico, superficiale all’attenzione, volubile di umore». Diagnosi: «Sindrome maniacale, non idoneo alle mansioni per un anno». Per un anno! Insomma matto, ma non abbastanza da toccare le garanzie che permettono a un magistrato di restare indipendente.

Finì che il giudice in questione restò ancora in servizio per tre anni, finché si dimise di sua volontà, e a condizione di ottenere (come fu) la nomina a Commendatore al merito della Repubblica! Tre Csm, succedutisi nel tempo, non sono riusciti a fermare quel magistrato che, dai primi squilibri, ha continuato a dispensare giustizia (si fa per dire) per undici anni.

L’infermità infatti non deve consistere in semplici «estri o bizzarrie» e deve essere «giudicata permanente», cioè irreversibile. E quanto sia difficile stabilire che un velo di follia sia permanente e non, prima o poi, reversibile lo può dire qualunque psicologo o psichiatra che difficilmente si presta a una dichiarazione del genere, che rischierebbe di essere smentita con conseguente rivalsa e risarcimento.

Allo stesso modo il Csm non poté nulla neanche nel caso di un giovane magistrato che credeva che l’oste del ristorante che frequentava abitualmente gli mettesse i chiodi nella minestra, o nel caso di un’altra, illustre, toga che, dichiarata in giudizio inferma di mente, venne ugualmente promossa in Cassazione, andando a riposo per raggiunti limiti di età con il titolo onorifico di Primo Presidente Aggiunto della Corte di Cassazione. O di quello che, ritenendosi perseguitato dai terroristi, tentò il suicidio senza riuscirci perché «caddi in piedi». Un caso tragico che non era stato possibile affrontare giacché il disgraziato si appellava sempre al Csm in nome della «difesa dei principi giuridici più elementari e dell’indipendenza dell’ordine giudiziario».

Dunque la questione è riduttiva se ci si limita a un esame attitudinale per chi voglia intraprendere la carriera di magistrato, ma è di poter verificare che la funzione sia sempre intatta e soddisfacente, con tutte le garanzie, si capisce, che la politica se ne tenga fuori e non inquini la vera indipendenza e autonomia della magistratura.

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1 commento

  1. Abbiamo tutti una responsabilità che dev’essere quella di restituire una “credibilità smarrita” all’intero Corpo della Magistratura.
    La proposta del Ministro Carlo Nordio, per esempio, di fare l’interrogatorio di garanzia prima di eseguire la misura cautelare – arrestare una persona senza processo sulla base di un teroema accusatorio – sovente smentito in Tribunale con assoluzioni (il fatto non sussiste o non costituisce reato).
    Insomma, lo sventurato di turno, interroghiamolo prima di arrestarlo: Buon senso della massaia!

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