L’imprenditore della ditta che si aggiudica il nuovo appalto con la pubblica amministrazione non commette estorsione e violenza privata se subordina l’assunzione dei lavoratori licenziati dall’appaltatore precedente alla rinuncia alle pretese retributive maturate in passato. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16733 di oggi, decidendo sul ricorso del Procuratore Generale di Reggio Calabria contro i titolari di un’azienda appaltatrice di servizi di pulizia all’interno della Scuola Allievi Carabinieri della città.
L’azienda era subentrata nell’appalto e aveva subordinato l’assunzione degli ex lavoratori della ditta a cui in precedenza era affidato il servizio alla rinuncia, da parte loro, alle loro pretese sul pagamento di TFR e di altri crediti retributivi. La Corte d’Appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, aveva invece escluso che la mancata assunzione alle dipendenze della ditta costituisse un danno ingiusto per i lavoratori, dal momento che l’azienda non era affatto obbligata ad assumerli. Contro la sentenza ricorreva il procuratore, che riteneva il comportamento dell’imprenditore un’intimidazione illegittima. La tesi della Procura è stata invece smentita dalla Suprema Corte, secondo la quale “non rientra nel paradigma del delitto di estorsione (art. 629 c.p.) né di quello di violenza privata (art. 610 c.p.) la condotta dell\’imprenditore che, aggiudicatosi un appalto di servizi con una pubblica amministrazione, subordini l\’assunzione dei lavoratori licenziati dalla precedente impresa appaltatrice alla condizione che costoro rinuncino ad avanzare nei suoi confronti pretese retributive maturate nel corso del precedente rapporto, purché egli non risulti obbligato – per disposizione normativa, provvedimento amministrativo o clausola contrattuale – a subentrare nel rapporto di lavoro medesimo con giuridica continuità dello stesso o comunque ad assumere ex novo detti lavoratori (con o senza accollo, totale o parziale, dei pregressi debiti retributivi)”.
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