Il volume d’affari richiesto alle imprese per poter partecipare a una gara d’appalto pubblico non può essere sproporzionato rispetto al valore dell’appalto stesso. E’ quindi illegittimo il requisito del bando di gara che impone alle aziende di possedere una capacità economica e finanziaria irragionevolmente elevata.
Lo ha stabilito il Tar del Lazio nella sentenza 16450 del 8 giugno 2010, accogliendo il ricorso di una ditta esclusa dalla procedura per l’affidamento dell’appalto quadriennale del servizio di pulizia presso gli uffici della Polizia e dell’Arma dei carabinieri. La gara era stata indetta dalla Prefettura di Roma, e richiedeva alle imprese partecipanti di avere un volume di affari di oltre 8 milioni di euro. I giudici del Lazio hanno ritenuto la clausola del bando troppo onerosa, e sproporzionata rispetto al valore dell’appalto, ribadendo che “le stazioni appaltanti possono richiedere, ai fini della partecipazione alle gare ad evidenza pubblica, requisiti ulteriori rispetto a quelli menzionati dagli artt. 40, 41 e 42 del D. Lgs. n. 163/2006, con l\’unico limite dell\’inerenza di tali requisiti all\’oggetto dell\’appalto, ma tale possibilità deve essere svolta in maniera tale da non porre criteri discriminanti, illogici e sproporzionati rispetto alla specificità del servizio oggetto dell\’appalto, per non restringere (in maniera altrettanto discriminante, illogica ed irrazionale), oltre lo stretto indispensabile, il potenziale numero dei concorrenti”.
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