venerdì, Maggio 3, 2024
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ACQUISTO AZIONI PROPRIE: Annullabile la deliberazione per violazione del diritto dei soci della S.p.A.

Solo annullabile la deliberazione dell’assemblea della Spa in caso di violazione del diritto di opzione di acquisto di azioni proprie spettante ai soci o di violazione del quorum deliberativo.
È quanto sancito dalla Corte di cassazione che, con la sentenza n. 1361 del 20 gennaio 2011, ha stabilito che “la deliberazione con cui una s.p.a. autorizza l’acquisto di azioni proprie, assunta ai sensi dell’art. 2357 cod. civ., legittimamente tiene conto, nel calcolo dei limiti di legge, sia della riserva da sovrapprezzo delle azioni (divenuta disponibile dopo la trasformazione della società da cooperativa a s.p.a.), sia dell’aumento di capitale sociale successivo all’ultimo bilancio approvato; mentre la violazione del diritto di opzione spettante ai soci o l’errore nel calcolo del quorum deliberativo possono comportare la mera annullabilità della deliberazione assembleare”.

      

Cassazione.Net              Procedimento   Civile
          Sentenza
         n. 01361/2011
      Sezione 1
      Udienza del     16/12/2010
      Depositato il   20/01/2011
           
                                       REPUBBLICA ITALIANA           Ud. 16/12/10
                     IN NOME DEL POPOLO ITALIANO  R.G.N. 31612/2005
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
                        SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE  Corrado                              – Presidente  –
Dott. RORDORF    Renato                          – rel. Consigliere –
Dott. CECCHERINI Aldo                                 – Consigliere –
Dott. RAGONESI   Vittorio                             – Consigliere –
Dott. CULTRERA   Maria Rosaria                        – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
                             
           
            sentenza
sul ricorso 31612 – 2005 proposto da:
      T.A. (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato  in
ROMA,  VIA  CARLO MIRABELLO 6, presso l\’avvocato D\’AGOSTINO  ANTONIO,
rappresentato  e difeso dall\’avvocato TORDO CAPRIOLI ALFONSO,  giusta
procura a margine del ricorso;
                                                       – ricorrente –
                               contro
BANCA  POPOLARE DI TODI S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in  persona  del
Presidente  pro  tempore, elettivamente domiciliata in  ROMA,  PIAZZA
BARBERINI  52,  presso  l\’avvocato GOLINO VINCENZO,  rappresentata  e
difesa dall\’avvocato SEGOLONI ANNALISA, giusta procura a margine  del
controricorso;
                                                 – controricorrente –
avverso  la  sentenza n. 910/2004 della CORTE D\’APPELLO  di  PERUGIA,
depositata il 18/10/2004;
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del
16/12/2010 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;
udito, per il ricorrente, l\’Avvocato A. TORDO CAPRIOLI che ha chiesto
l\’accoglimento del ricorso;
udito  il  P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott.
CARESTIA Antonietta che ha concluso per il rigetto del ricorso.
                     SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il sig.        T.A., socio della Banca Popolare di Todi s.p.a., con
atto  notificato il 23 luglio 1996 cito\’ detta societa\’  in  giudizio
dinanzi  al Tribunale di Perugia per far dichiarare nulla o annullare
una deliberazione assembleare, assunta il 25 aprile 1996, con cui gli
amministratori  erano  stati autorizzati ad acquistare  7.000  azioni
proprie della societa\’.
Essendo  stata  la domanda rigettata dal tribunale, il  sig.     T.
propose  gravame,  che  fu  pero\’  del  pari  rigettato  dalla  Corte
d\’appello di Perugia con sentenza depositata il 18 ottobre 2004.
La corte umbra, per quanto ancora in questa sede interessa, anzitutto
nego\’ fondamento alla tesi dell\’impugnante secondo cui l\’acquisto  di
azioni  proprie  della societa\’ sarebbe avvenuto  in  violazione  del
primo  comma  dell\’art. 2357 c.c., ossia oltre il limite degli  utili
distribuibili  e delle riserve disponibili. Tale limite,  a  giudizio
della  corte,  non  era  stato superato,  potendosi  tra  le  riserve
computare  anche quella iscritta nel bilancio relativo  all\’esercizio
1995 come “fondo sovrapprezzo di emissione”, divenuta disponibile per
effetto  dell\’avvenuta trasformazione della Banca di Todi in societa\’
per  azioni  in  epoca  anteriore alla deliberazione  impugnata;  ne\’
poteva   convenirsi   con   l\’assunto  dell\’appellante   –   peraltro
inammissibile,  perche\’ dedotto per la prima volta  nel  giudizio  di
gravame  – secondo cui, per rendere disponibile detto fondo,  sarebbe
occorsa  l\’approvazione  di  un ulteriore  bilancio  successivo  alla
trasformazione.
Fu  del  pari escluso dalla corte d\’appello che l\’acquisto di  azioni
proprie  fosse stato autorizzato dall\’assemblea oltre il  limite  del
dieci  per cento del capitale, posto dal terzo comma del citato  art.
2357  (nella formulazione vigente all\’epoca dei fatti di  causa).  La
corte  ritenne  che  si dovesse a tal fine tener conto  del  capitale
risultante  all\’esito  di  un aumento deliberato  il  6  marzo  1996,
ancorche\’  successivo  all\’approvazione  dell\’ultimo  bilancio,   non
potendo trovare ingresso in appello l\’eccezione con la quale il  sig.
   T.   aveva  contestato  la  mancata  informazione  all\’assemblea
dell\’avvenuta &

nbsp; sottoscrizione  di   detto   aumento   di   capitale;
sottoscrizione  comunque tempestivamente documentata in  causa  dalla
difesa della banca, la quale aveva provveduto a depositare il proprio
fascicolo  di  parte, precedentemente ritirato, entro quattro  giorni
dalla  scadenza  del termine per la presentazione  delle  memorie  di
replica alla comparsa conclusionale.
Fu   disattesa   anche  l\’eccezione  di  nullita\’,  o  di   giuridica
inesistenza,  della  deliberazione di aumento  del  capitale  sociale
sopra  menzionata: in parte per difetto di specificita\’  del  dedotto
motivo  di  gravame  ed  in  parte  per  l\’infondatezza  dell\’assunto
dell\’appellante  secondo cui l\’aumento del capitale,  con  esclusione
del   diritto  di  opzione,  non  avrebbe  potuto  esser   deliberato
contestualmente  alla trasformazione dell\’ente in societa\’  azionaria
ed  avrebbe dovuto necessariamente essere adottato nelle forme e  con
le maggioranze richieste per quest\’ultimo tipo di societa\’.
Venne  infine rigettato il motivo di gravame concernente  la  pretesa
invalidita\’ della delibera assembleare del 25 aprile 1996 per eccesso
di potere della maggioranza, non essendo state dedotte prove idonee a
sorreggere l\’assunto dell\’appellante.
Avverso  tale  sentenza  il  sig.    T.  ha  proposto  ricorso  per
cassazione, articolato in cinque motivi, al quale la Banca di Todi ha
replicato con controricorso e successiva memoria.
                      MOTIVI DELLA DECISIONE
1.  La questione posta all\’esame di questa corte dal primo motivo del
ricorso  concerne  il  dettato dell\’art.  2357  c.c.,  comma  1,  che
consente ad una societa\’ azionaria di acquistare azioni proprie  solo
“nei  limiti  degli  utili distribuibili e delle riserve  disponibili
risultanti dall\’ultimo bilancio regolarmente approvato”.
1.1.  La  corte  d\’appello ha escluso che, nel caso  in  esame,  quel
limite  sia  stato  superato  ed  a  tale  conclusione  e\’  pervenuta
computando tra le riserve disponibili della Banca di Todi  anche  una
posta,  denominata in bilancio “fondo sovrapprezzo azioni”,  che  era
stata inizialmente costituita, a norma del terzo comma del previgente
art.  2525  (ora sostituito dall\’art. 2528 c.c., comma 2,  quando  la
societa\’   aveva   ancora   veste  di  cooperativa.   La   successiva
trasformazione dell\’ente in societa\’ per azioni ha indotto  la  corte
territoriale   a   reputare   che  detta  riserva,   all\’atto   della
deliberazione  avente ad oggetto l\’acquisto di azioni  proprie  della
societa\’, fosse divenuta pienamente disponibile e che, percio\’, se ne
potesse  tener  conto per ampliare il limite entro cui l\’acquisto  di
dette azioni era consentito.
Il  ricorrente,  lamentando la violazione di varie norme  di  diritto
sostanziale   e   processuale,  oltre   che   vizi   di   motivazione
dell\’impugnata  sentenza, contesta siffatta  conclusione  e  sostiene
che,  viceversa, avendo il legislatore fatto riferimento alle riserve
disponibili  risultanti  dall\’ultimo bilancio  approvato  ed  essendo
stato   l\’ultimo  bilancio  della  Banca  di  Todi  approvato,  prima
dell\’impugnata   delibera,  quando  la  societa\’   era   ancora   una
cooperativa, il “fondo sovrapprezzo azioni” non avrebbe potuto  esser
considerato  disponibile.  Per  raggiungere  un  tale  scopo,  sempre
secondo  il  ricorrente, sarebbe prima occorsa l\’approvazione  di  un
nuovo  bilancio,,  che  tenesse conto della diversa  veste  giuridica
assunta dalla societa\’ ed anche di ogni ulteriore fatto sopravvenuto.
Lamenta  ancora  il  ricorrente  che quest\’ultimo  rilievo  –  quello
concernente la necessita\’ dell\’approvazione di un bilancio successivo
alla  trasformazione  per poter computare il suddetto  fondo  tra  le
riserve  disponibili – sia stato giudicato inammissibile dalla  corte
d\’appello, perche\’ nuovo, senza pero\’ tener conto che non si trattava
di  un\’eccezione, bensi\’ di una mera argomentazione difensiva.  E  si
duole anche che la stessa corte non abbia preso in considerazione  le
circostanze,  dedotte  nell\’atto di gravame,  dalle  quali  risultava
come,  per  l\’acquisto delle azioni proprie, la  societa\’  avesse  in
concreto  utilizzato fondi diversi da quello per sovrapprezzo  azioni
sopra menzionato.
1.2.  Le riferite censure non sono convincenti, o almeno non al punto
da indurre alla cassazione della sentenza impugnata.
Puo\’  darsi  che  l\’assunto prospettato dall\’appellante  secondo  cui
sarebbe occorso un nuovo bilancio per rendere disponibili riserve che
all\’origine  non  lo erano non integri una vera e propria  eccezione.
Non  e\’  pero\’  possibile  rimettere in discussione  in  questa  sede
l\’entita\’ delle riserve di cui si discute, ne\’ il modo del loro reale
utilizzo  ed  il rapporto quantitativo tra esse e le azioni,  proprie
cui  si  riferisce l\’impugnata delibera assembleare,  trattandosi  di
profili di fatto, accertati in modo preciso nel giudizio di merito  e
non suscettibili di essere rivisti dal giudice di legittimita\’ se non
a  patto  di  un  non  ammissibile riesame diretto  delle  risultanze
istruttorie.
La  questione decisiva resta, allora, unicamente quella di  stabilire
se  fosse o meno disponibile, per essere utilizzata nell\’acquisto  di
azioni  proprie  a  norma del primo comma del citato  art.  2357,  la
riserva  da  sopraprezzo  iscritta  nell\’ultimo  bilancio  approvato,
avendo nel frattempo la cooperativa assunto la veste di societa\’  per
azioni.
A tale domanda la risposta non puo\’ che essere positiva.
Gia\’ prima della riforma del diritto societario attuata nel 2003  era
opinione  della prevalente dottrina che, nelle societa\’  cooperative,
non  essendo  previsto  un tetto massimo per la  riserva  legale,  la
riserva costituita dal sovrapprezzo di azioni fosse indisponibile,  e
quindi  non  utilizzabile per l\’eventuale acquisto di azioni  proprie
della  societa\’. Una volta, pero\’, che la cooperativa abbia  dismesso
questa veste per assumere quella di societa\’ per azioni, e che  siano
divenute  quindi  ad  essa  ap

plicabili le disposizioni  vigenti  per
quest\’ultimo  tipo sociale, mentre la riserva non cessa  di  esistere
nel  patrimonio  dell\’ente, viene meno la ragione  d\’indisponibilita\’
strettamente  legata al vigore di disposizioni riferibili  alle  sole
societa\’ cooperative e si rendono invece applicabili le norme in tema
di societa\’ azionaria, nel cui ambito le riserve da sovrapprezzo sono
disponibili  quando  ricorra la condizione richiesta  dall\’art.  2431
c.c..
L\’obiezione secondo la quale il riferimento dell\’art. 357,  comma  1,
alle    “riserve   disponibili   risultanti   dall\’ultimo   bilancio”
implicherebbe  che  anche l\’indicato requisito  della  disponibilita\’
delle  riserve  debba  sussistere alla  data  di  chiusura  di  detto
bilancio,  non  rilevando le eventuali vicende societarie  successive
(se  non  risultanti  dall\’approvazione  di  un  eventuale  ulteriore
bilancio) non appare persuasiva.
La  ratio della norma risiede nella tutela del capitale sociale,  per
impedire  che l\’acquisto delle azioni proprie della societa\’ mascheri
un\’indebita  restituzione dei conferimenti  ai  soci  (come  potrebbe
accadere se fosse a tal fine impiegato una parte del capitale sociale
formato  da  detti  conferimenti) o che siano intaccate  riserve  non
utilizzabili  in  quanto  destinate  (per  legge  o  per  statuto)  a
preservare la solidita\’ patrimoniale dell\’ente o, comunque,  a  scopi
diversi.  Cio\’  che  necessita e\’ percio\’, in  primo  luogo,  che  le
riserve  da  utilizzare  per l\’acquisto delle  azioni  effettivamente
sussistano ed, in secondo luogo, che siano legittimamente adoperabili
a questo fine.
Il  riferimento del legislatore alle risultanze dell\’ultimo  bilancio
approvato  attiene, evidentemente, alla prima di siffatte condizioni,
ma  non  anche  alla seconda. E\’ dal bilancio che  si  puo\’  ricavare
l\’attestazione dell\’esistenza della riserva patrimoniale  di  cui  si
tratta (ferma ovviamente la responsabilita\’ degli amministratori  nel
verificare che la riserva non sia medio tempore venuta meno): perche\’
la   funzione   del  bilancio  e\’  appunto  quella   di   dar   conto
dell\’esistenza di valori patrimoniali classificati in base al sistema
di  contabilita\’ aziendale; non, invece, di determinare  se  e  quale
regime debba trovare applicazione per detti valori e per le poste che
contabilmente li rappresentano.
Non  e\’  infatti  il  bilancio, bensi\’  direttamente  la  legge,  che
disciplina  la disponibilita\’ della riserva da sovrapprezzo,  il  cui
regime,  sotto  questo profilo, non muterebbe di  certo  sol  perche\’
eventualmente  nel  bilancio medesimo essa fosse  stata  erroneamente
classificata disponibile, se tale non era, o viceversa.
Acclarato,  percio\’,  che  la riserva da  sovrapprezzo  esisteva,  ne
consegue  che  la  possibilita\’ di adoperarla per  acquistare  azioni
proprie  correttamente  e\’ stata vagliata in base  alle  disposizioni
applicabili,  all\’atto della deliberazione di  acquisto  di  siffatte
azioni,  avuto  riguardo al tipo di societa\’ che quella deliberazione
ha assunto.
2.  Il  secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso  riguardano,
sotto  differenti profili, una diversa questione: se  la  piu\’  volte
menzionata  deliberazione assembleare di autorizzazione  all\’acquisto
di  azioni proprie sia stata o meno rispettosa del disposto del terzo
comma del medesimo art. 2357.
Tale  norma, nella formulazione vigente al tempo dei fatti  di  causa
(prima  delle  modifiche  apportate dal  D.Lgs.  n.  142  del  2008),
circoscriveva la possibilita\’ di acquistare azioni proprie  da  parte
di  qualsiasi  societa\’ entro un limite di valore  non  eccedente  la
decima parte del capitale sociale, comprendendo nel computo anche  le
azioni possedute tramite societa\’ controllate.
2.1.  Il  tribunale, prima, e la corte d\’appello, poi, hanno reputato
che  neppure tale disposizione sia stata violata nel caso  in  esame,
dovendosi  tener conto dell\’ammontare del capitale sociale risultante
all\’esito  di  un aumento deliberato alcun tempo prima dall\’assemblea
straordinaria della societa\’.
2.1.1.   Il   ricorrente  contesta  questa  conclusione,  denunciando
svariati errori di diritto sostanziale e processuale, nonche\’ vizi di
motivazione dell\’impugnata sentenza, anzitutto perche\’, a suo parere,
il  limite  quantitativo  posto  dalla  norma  alla  possibilita\’  di
acquisto  di  azioni  proprie  andrebbe  individuato  unicamente  nel
capitale  indicato dall\’ultimo bilancio, che nel caso  in  esame  era
quello  chiuso al 31 dicembre 1995. Avrebbe percio\’ errato  la  corte
d\’appello   nel  prendere  invece  in  considerazione   il   capitale
risultante   a   seguito  della  deliberazione  di  aumento   assunta
dall\’assemblea  il 6 marzo 1996. Per poter tenere conto  di  siffatto
aumento  di  capitale,  sarebbe  stato almeno  necessario  presentare
all\’assemblea  una  situazione patrimoniale  aggiornata,  o  comunque
mettere  i soci in condizione di verificare l\’avvenuta sottoscrizione
del capitale aumentato, non potendo un simile accertamento aver luogo
solo  successivamente,  in  sede giudiziaria.  Ne\’  sarebbe  fondato,
sempre  a parere del ricorrente, il rilievo della corte d\’appello  in
ordine all\’inammissibilita\’ di quest\’ultima eccezione, sollevata  per
la  prima volta in secondo grado, trattandosi anche in questo caso di
una mera argomentazione difensiva, del resto gia\’ insita nelle difese
formulate dinanzi al tribunale.
2.1.2.  In  ogni  caso,  sostiene ancora  il  ricorrente,  per  poter
ampliare  il limite entro cui alla societa\’ era consentito acquistare
azioni  proprie, sarebbe occorso che l\’aumento di capitale deliberato
il  6  marzo  1996 fosse stato anche sottoscritto (se non addirittura
versato)  e, contrariamente a quanto affermato dalla corte d\’appello,
cio\’  non  e\’  stato idoneamente provato in giudizio dalla  Banca  di
Todi,  poiche\’ la relativa documentazione era contenuta nel fascicolo
di  parte  di  detta banca, che lo aveva ritirato e poi  ridepositato
prima che la causa fosse posta in decisione dinanzi al tribunale;  ma
questo deposito era stato tardivo, siccome effettuato dopo lo scadere
del   termine 
per  la  presentazione  delle  comparse  conclusionali
indicato  dal  secondo  comma dell\’art. 169 c.p.c..  Ne\’  sarebbe  da
condividere  la contraria opinione manifestata dalla corte  d\’appello
secondo cui, nel regime successivo alla novella processuale del 1990,
il  deposito del fascicolo di parte in precedenza ritirato puo\’  aver
luogo  fino a quattro giorni prima della scadenza del termine per  le
memorie di replica, in coerenza con quanto stabilisce il primo  comma
dell\’art.  Ili  delle disposizioni di attuazione. E  neppure  avrebbe
fondamento  l\’ulteriore  affermazione  della  stessa  corte  che   ha
ritenuto  comunque non rilevante l\’eventuale violazione del  predetto
termine, in quanto non disposto a tutela del diritto di difesa  della
controparte.
2.1.3.  Il ricorrente sostiene, poi, che non si sarebbe potuto  tener
conto  del  suindicato aumento di capitale anche perche\’ la  relativa
deliberazione  assembleare e\’ da considerare nulla (o  giuridicamente
inesistente); e contesta che fosse generico il motivo di  gravame  da
lui  formulato  sul  punto,  avendo egli invece  ben  evidenziato  le
ragioni dell\’eccepita invalidita\’ del menzionato aumento di capitale.
Invalidita\’ derivante dal fatto che quell\’aumento era stato  adottato
con  la  medesima  deliberazione con cui la societa\’ cooperativa  era
stata  trasformata  in  societa\’ per  azioni:  il  che  avrebbe  reso
necessario procedere a due distinte deliberazioni, essendo  ormai  la
seconda  soggetta alle differenti regole di votazione  proprie  della
societa\’ azionaria.
Osserva  ancora il ricorrente che, ove si volesse invece  condividere
l\’opinione  del  tribunale  e  della  corte  d\’appello  secondo   cui
l\’aumento  di  capitale  era stato deliberato dalla  societa\’  quando
questa  aveva  ancora la forma giuridica di una cooperativa,  non  si
potrebbe  sfuggire al rilievo che il quorum deliberativo in tal  caso
richiesto  dalla  legge,  commisurato  al  numero  dei  soci  e   non
all\’entita\’  del  capitale  da ciascuno  di  essi  sottoscritto,  non
risultava   essere   stato   conseguito.   Ed   a   questo   rilievo,
contrariamente  a  quanto  affermato  nell\’impugnata   sentenza,   il
tribunale  aveva dato risposta, sia pure erroneamente, e l\’appellante
se  ne  era  doluto: sicche\’ la corte d\’appello avrebbe dovuto  farsi
carico  della questione ed avrebbe dovuto dare atto della nullita\’  o
dell\’inesistenza del deliberato aumento del capitale, derivanti anche
dall\’indebita  esclusione  del diritto di  opzione,  pure  del  quale
l\’appellante si era tempestivamente lagnato.
2.2.  Esaminando in ordine le diverse doglianze cui s\’e\’ fatto cenno,
e\’  necessario  anzitutto  confermare l\’esattezza  del  principio  di
diritto enunciato dalla corte d\’appello, secondo cui, nel valutare se
un  acquisto di azioni proprie sia stato deliberato nel rispetto  del
limite  fissato  dall\’art. 2357 c.c., comma 3,  occorre  tener  conto
anche  dell\’eventuale aumento di capitale deliberato  e  sottoscritto
successivamente all\’ultimo bilancio d\’esercizio approvato, senza  che
sia  a tal fine necessario procedere all\’approvazione di un ulteriore
bilancio.
Inducono a tale conclusione argomenti sia di ordine testuale  sia  di
ordine logico.
Sul  piano  testuale e\’ agevole constatare come il  citato  dell\’art.
2357,  comma  3,  si limiti a richiedere che il valore  delle  azioni
proprie  acquistate dalla societa\’ non ecceda il dieci per cento  del
capitale ma, a differenza del primo comma, non faccia alcuna menzione
dell\’ultimo bilancio approvato.
Sul   piano   logico   e\’  da  considerare  che  tale   prescrizione,
diversamente  dall\’altra  cui  sopra s\’e\’  fatto  cenno,  non  appare
dettata  dall\’intento  di  salvaguardare  l\’integrita\’  del  capitale
sociale,  bensi\’  dallo  scopo d\’impedire un  eccessivo  accumulo  di
potere  nelle  mani dell\’organo amministrativo della  societa\’  e  la
possibilita\’ che cio\’ influenzi indebitamente il mercato delle azioni
ed  eventualmente anche la futura composizione dell\’azionariato. Quel
che  conta,  a tal fine, e\’ percio\’ la misura attuale del capitale  e
delle  azioni in circolazione, con cui occorre confrontare il  numero
delle azioni proprie acquistate dalla societa\’, e non quale fosse  la
misura    del   medesimo   capitale   in   un   momento   precedente,
indipendentemente da quando l\’ultimo bilancio sia stato approvato.
2.2.1. Naturalmente, per le medesime ragioni, il capitale cui si deve
fare  riferimento non e\’ quello meramente deliberato,  bensi\’  quello
effettivamente sottoscritto, cui corrisponde il numero  delle  azioni
emesse dalla societa\’.
Nel caso in esame, come s\’e\’ accennato, il capitale al quale la corte
di merito ha fatto riferimento, nel giudicare del non superamento dei
limiti  posti  dal  citato terzo comma dell\’art. 2357,  e\’,  appunto,
quello  sottoscritto. Ne\’ ha fondamento l\’obiezione  del  ricorrente,
secondo  cui  la  prova della sottoscrizione di  detto  capitale  non
sarebbe  stata ritualmente acquisita, perche\’ il fascicolo  di  parte
che  la  conteneva  era stato prima ritirato e poi solo  tardivamente
ridepositato nella cancelleria del giudice di primo grado.  Se  anche
le  cose  stessero in questo modo, occorrerebbe considerare che  quel
medesimo  fascicolo di parte, con i documenti dai quali la  corte  di
merito   ha  tratto  il  proprio  motivato  convincimento  in  ordine
all\’avvenuta  sottoscrizione del capitale  nell\’indicata  misura,  e\’
stato  incontrovertibilmente di nuovo depositato  in  secondo  grado.
Tanto  basta  a  rendere utilizzabili i summenzionati documenti,  non
ostandovi  il divieto di nuove prove in appello: appunto perche\’  non
di  documenti nuovi si e\’ trattato, bensi\’ di documenti  gia\’  a  suo
tempo  ritualmente prodotti dinanzi al tribunale ed offerti all\’esame
dell\’attore  quando il fascicolo di parte convenuta e\’ stato  per  la
prima   volta   tempestivamente  depositato  nella  cancelleria   del
tribunale.
Accertato,  allora, in punto di fatto, che furono  acquistate  azioni
proprie  in  misura non eccedente il limite del dieci per  cent

o  del
capitale sociale sottoscritto, nessuna contrarieta\’ alla legge o allo
statuto  e\’ dato ravvisare, sotto questo profilo, nella deliberazione
assembleare  che  quell\’acquisto aveva autorizzato,  non  sussistendo
alcuna prescrizione che imponga di fornire seduta stante ai soci  una
specifica  informazione  sull\’avvenuta  sottoscrizione  del  capitale
aumentato (verificabile in qualsiasi momento, da chiunque, a  seguito
dell\’iscrizione  nel  registro  delle  imprese  disposta   ai   sensi
dell\’art. 2444 c.c., comma 1).
2.2.2.  Non ha pregio neppure l\’assunto secondo il quale del riferito
aumento  di  capitale  non  si sarebbe potuto  comunque  tener  conto
perche\’ frutto di una deliberazione assembleare invalida.
Occorre  a  tal  proposito  osservare – ed  e\’  rilievo  puntualmente
sollevato  dal  Procuratore generale nella  discussione  in  pubblica
udienza, assorbente anche rispetto alle diverse considerazioni svolte
sul punto nell\’impugnata sentenza – che nessuno dei vizi dai quali il
ricorrente  afferma che la menzionata deliberazione  di  aumento  del
capitale sarebbe affetta e\’ tale da determinarne la nullita\’, e tanto
meno l\’inesistenza giuridica.
E\’ ben noto che, in tema di deliberazioni assembleari di societa\’ per
azioni,  il regime dell\’invalidita\’ differisce da quello previsto  in
generale  per  gli atti negoziali, giacche\’, a norma  dell\’art.  2377
c.c.,  la  contrarieta\’ della deliberazione a prescrizioni  di  legge
imperative o a disposizioni dello statuto sociale ne comporta la mera
annullabilita\’,  laddove e\’ solo in presenza di una delle  situazioni
tassativamente indicate dal successivo art. 2379 che la deliberazione
puo\’ essere considerata radicalmente nulla.
Cio\’  consente, anzitutto, di escludere subito che possa parlarsi  di
nullita\’  della delibera di aumento del capitale sociale per  pretesa
violazione  del diritto di opzione spettante ai soci,  giacche\’  tale
diritto  e\’  tutelato  dalla  legge solo in  funzione  dell\’interesse
individuale  dei  soci  ed  il contrasto con  norme,  anche  cogenti,
rivolte   alla  tutela  dell\’interesse  dei  singoli  soci  determina
un\’ipotesi  di  semplice annullabilita\’, laddove  la  nullita\’  delle
deliberazioni dell\’assemblea delle societa\’ per azioni per illiceita\’
dell\’oggetto,  ai  sensi  dell\’art.  2379  c.c.,  (anche  nel   testo
anteriore  alle  modifiche introdotte dal  D.Lgs.  n.  6  del  2003),
ricorre  solo  in  caso  di  contrasto con  norme  dettate  a  tutela
dell\’interesse generale, tale da trascendere quello del singolo socio
(cfr., da ultimo, Cass. 7 novembre 2008, n. 26842).
Non  diversamente  e\’  a  dirsi anche per gli  ulteriori  vizi  della
deliberazione denunciati dal ricorrente, che ugualmente  non  mettono
capo  ad  un\’ipotesi  di  oggetto illecito,  tale  evidentemente  non
potendosi  considerare  ne\’ la trasformazione  della  cooperativa  in
societa\’  per azioni (consentita alle banche popolari gia\’  all\’epoca
dei fatti di causa) ne\’ l\’aumento del capitale sociale.
E\’ altresi\’ da escludere che i denunciati vizi della deliberazione di
aumento del capitale sociale evidenzino deviazioni cosi\’ radicali dal
modello  legale  da  configurare un\’ipotesi  d\’inesistenza  giuridica
della  deliberazione  stessa: la quale, a quanto  risulta,  e\’  stata
assunta  da  un\’assemblea ritualmente convocata, il cui andamento  e\’
stato  normalmente verbalizzato, e che si e\’ svolta senza particolari
anomalie,  salvo  ad  essersi conclusa con una votazione  contestuale
vertente tanto sulla proposta di trasformazione sociale che su quella
di aumento del capitale.
I  vizi  che in cio\’ ravvisa il ricorrente si riducono, a ben vedere,
ad  un\’asserita anomalia del procedimento di votazione  ed  alla  non
corretta  modalita\’  di  computo  delle  maggioranze  occorrenti  per
l\’approvazione della proposta di aumento del capitale sociale. Ma, se
anche  si  volessero considerare esistenti tali anomalie, non  se  ne
potrebbe dedurre altro se non che il procedimento di votazione  e  le
modalita\’  di  calcolo  del quorum deliberativo  non  sono  risultati
conformi  alla  legge. Non ignora il collegio che, in tempi  peraltro
assai   risalenti,  questa  corte  ha  parlato  d\’inesistenza   della
deliberazione   assunta   in  difetto  della  maggioranza   richiesta
dall\’atto costitutivo della societa\’ (Cass. 13 gennaio 1987, n. 133);
ma  un  siffatta  affermazione,  che dovrebbe  ovviamente  a  maggior
ragione valere per il difetto di quorum deliberativo prescritto dalla
legge,  anche  alla  luce degli orientamenti espressi  da  autorevole
dottrina  non  puo\’ essere qui confermata, o almeno  non  in  termini
assoluti e generali.
Neppure nel contesto normativo anteriore alla suaccennata riforma del
2003   (con  la  quale  il  legislatore  ha  chiaramente  manifestato
l\’intento   di   togliere   spazio  alla   figura   giurisprudenziale
dell\’inesistenza giuridica delle deliberazioni societarie) si sarebbe
potuto sostenere che una deliberazione adottata in difformita\’  dalle
disposizioni  di  legge  o  dello  statuto  in  materia   di   quorum
deliberativi   non  abbia  i  lineamenti  essenziali  richiesti   per
integrare  il modello legale di una decisione assunta dai soci  della
societa\’  in  ordine alle proposte riportate nell\’ordine  del  giorno
dell\’assemblea.   Una   siffatta   deliberazione,   proveniente    da
un\’assemblea   formata  da  soggetti  legittimati  ad   assumerla   e
conclusasi con la proclamazione del risultato, e\’ certamente un  atto
giuridico  venuto  ad  esistenza. Ne\’ vi osta il  fatto  che  si  sia
proceduto ad un\’unica votazione per una pluralita\’ di oggetti,  volta
che  risulti  comunque  possibile riferire  l\’esito  della  votazione
medesima a ciascuno di essi.
La deliberazione e\’ stata assunta e l\’esito ne e\’ stato proclamato  e
reso  pubblico.  L\’eventuale errore nel computo dei  voti,  se  fosse
effetto  di  una  mera  svista,  non  potrebbe  logicamente  produrre
conseguenze maggiori di quanto accade per l\’errore ostativo in ambito
negoziale;  se  invece  – 
come  si sostiene  essere  avvenuto  nella
fattispecie  in esame – si fosse in presenza di un\’errata valutazione
circa  le  modalita\’  di calcolo del quorum, operato  secondo  regole
diverse da quelle legali o statutarie, cio\’ non potrebbe che tradursi
in una non conformita\’ alla legge (nella parte in cui questa dispone,
appunto, in ordine alle suddette modalita\’ di calcolo); ma in  nessun
caso  potrebbe  condurre  a conseguenze piu\’  radicali,  come  quelle
dell\’ipotizzata    inesistenza   della   deliberazione    proclamata,
palesemente  contrarie alle fondamentali esigenze di  certezza  e  di
affidamento  che  ispirano (ed ispiravano anche nel regime  anteriore
alla  cennata  riforma societaria) la disciplina degli artt.  2377  e
segg. c.c..
Si  tratta, quindi, di una deliberazione semmai, annullabile, la  cui
stabilita\’  ed  i  cui effetti non possono percio\’  essere  messi  in
discussione  ove,  entro il termine di decadenza fissato  dal  citato
art.  2311,  nessuno dei soggetti a cio\’ legittimati  abbia  proposto
azione di annullamento.
Stando  cosi\’ le cose, ed avendo il ricorrente sollevato solo in  una
memoria  depositata il 30 ottobre 1997 (si\’ veda il ricorso, pag.  9)
la  questione dell\’invalidita\’ della delibera di aumento del capitale
sociale  assunta dall\’assemblea il 6 marzo 1996, e\’ evidente  che  le
asserite  ragioni  d\’invalidita\’ di detta  deliberazione  sono  state
dedotte quando erano ormai precluse.
3.  L\’ultimo  motivo di ricorso sposta l\’attenzione su  un  tema  del
tutto  diverso:  l\’asserita invalidita\’ per eccesso di  potere  della
delibera  assembleare  che  ha autorizzato gli  amministratori  della
Banca di Todi ad acquistare azioni proprie.
3.1. Avendo tanto il tribunale quanto la corte d\’appello escluso  che
una  tale  ragione d\’invalidita\’ fosse stata dimostrata in causa,  il
ricorrente  si  duole che il giudice del gravame non abbia  preso  in
considerazione alcune specifiche censure da lui rivolte alla sentenza
di primo grado, ne\’ abbia inteso il senso delle argomentazioni con le
quali  era  stato posto in evidenza l\’abuso consumato  dal  socio  di
maggioranza al fine di trasformare il proprio controllo di  fatto  in
un pieno controllo di diritto della societa\’.
3.2. Neppure tale motivo di ricorso puo\’ essere accolto.
Premesso   che  nel  giudizio  di  merito  e\’  stata  fatta  corretta
applicazione  del principio di diritto, sovente enunciato  da  questa
corte, secondo cui l\’abuso o eccesso di potere puo\’ costituire motivo
di  invalidita\’ della delibera assembleare soltanto quando vi sia  la
prova  che  il  voto determinante del socio di maggioranza  e\’  stato
espresso  allo  scopo di ledere interessi degli  altri  soci,  oppure
risulta  in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente
i  soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza, in violazione
del  canone  generale  di  buona fede nell\’esecuzione  del  contratto
(cfr.,  ex multis, Cass. 17 luglio 2007, n. 15950), l\’unica questione
decisiva  consisteva – e consiste – nello stabilire se l\’attore,  sul
quale  grava  il  relativo  onere, abbia  fornito  o  meno  la  prova
dell\’abuso.
A  questa  domanda il tribunale ha dato risposta negativa e la  corte
territoriale  ha poi ritenuto che i rilievi formulati dall\’appellante
non fossero idonei a scalfire la prima decisione.
Poco  giova,  in  questa sede, soffermarsi a discutere  in  dettaglio
sulle  singole  argomentazioni che il ricorrente  asserisce  di  aver
prospettato nell\’atto di gravame e delle quali la corte d\’appello non
avrebbe  tenuto  conto.  Cio\’  potrebbe  aver  rilievo,  al  fine  di
dimostrare  l\’esistenza  di  un vizio di  motivazione  dell\’impugnata
sentenza, solo a condizione che fosse possibile attribuire ad  una  o
piu\’  specifiche  e  ben determinate circostanze,  pretermesse  dalla
corte  di  merito, una valenza logica decisiva: tale, cioe\’,  da  far
ipotizzare che, se di quelle circostanze detta corte si fosse  invece
fatta carico, la conclusione del giudizio sarebbe risultata diversa.
Ma  l\’esposizione del ricorso non consente di esprimere una  siffatta
valutazione.   A   fronte   di   una   conclusione   negativa   circa
l\’assolvimento  dell\’onere  della  prova  che,  come   riferisce   la
controricorrente,  era  stata  tratta  all\’esito  di   un\’istruttoria
sviluppatasi in primo grado anche attraverso l\’esame di testimoni, il
ricorrente adduce l\’esistenza di elementi indiziar dai quali,  a  suo
dire,  dovrebbe scaturire la conclusione opposta. Per poter  avallare
una  simile  opinione occorrerebbe, pero\’, non solo  poter  esaminare
direttamente ed in modo completo i documenti cui lo stesso ricorrente
allude,  ma  anche  confrontare  quanto  da  essi  emergesse  con  le
risultanze della suindicata prova testimoniale; occorrerebbe,  cioe\’,
procedere  ad una vera e propria rivisitazione integrale  dell\’intero
materiale  istruttorio acquisito in causa. Ma questo  significherebbe
reiterare  il  giudizio di merito e cio\’ esula  dalla  competenza  di
questa corte di legittimita\’.
4.  Il  ricorso, pertanto, deve essere rigettato ed il ricorrente  va
condannato  al  pagamento delle spese del giudizio  di  legittimita\’,
liquidate  in Euro 15.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi,  oltre
alle spese generali ed agli accessori di legge.
                              P.Q.M.
La  corte  rigetta il ricorso e condanna il ricorrente  al  pagamento
delle  spese  del  giudizio  di legittimita\’,  che  liquida  in  Euro
15.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali
ed agli accessori di legge.
Cosi\’ deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2011
 
   

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