Non commette reato chi dà del “razzista” e del “nazista” a un fascista. Lo sottolinea la Cassazione che, con la sentenza numero 4938 del 10 febbraio 2011, ha confermato il non luogo a procedere nei confronti di un giornalista che aveva riportato delle affermazioni contro degli esponenti di un\’organizzazione di estrema destra.
In particolare, in un passaggio chiave delle motivazioni, la quinta sezione penale ha messo nero su bianco che in una dimensione storica le “qualifiche di xenofobia, razzismo, violenza ed antisemitismo attengono a principi o valori (o disvalori, a seconda della diversa angolazione prospettica), intimamente connaturati e strutturalmente coessenziali alla ideologia nazista e fascista”.
Già l’anno scorso, sempre in un caso concernente alcuni esponenti di Forza Nuova, la Suprema corte aveva affermato, con una linea che condivisa nella sentenza di oggi che va riconosciuta l’esimente del diritto critica storica e politica “nell\’attribuzione – agli appartenenti a quella stessa associazione – di espressioni quali nazifascismi e neonazisti, sul riflesso che, alla luce dei dati storici e dell\’assetto normativo vigente durante il ventennio fascista, segnatamente delle leggi razziali — r.d. n. 1728 del 1938 e relative leggi di attuazione — la qualità di fascista non può essere depurata dalla qualità di razzista e ritenersi incontaminata dall\’accostamento al nazismo, il che fornisce base di verità alle espressioni di critica in quella sede esaminate”.