La Suprema corte fa chiarezza sulla questione del giudicando cautelare. Poniamo che, mentre è attesa la decisione su di un’impugnazione incidentale de libertate, il pubblico ministero intenda utilizzare nuovi elementi probatori, preesistenti o sopravvenuti che siano, nei confronti dello stesso indagato e per lo stesso fatto. Due sono le strade da percorrere, alternative fra loro: una è riversare i nuovi elementi nel procedimento impugnatorio, l’altra è porli a fondamento di una nuova richiesta di misura cautelare personale; una volta effettuata la scelta, al pm non è più possibile coltivare l’altra iniziativa cautelare. Lo stabiliscono le Sezioni unite penali con la sentenza n. 7931 del primo marzo 2011.
La questione affrontata dal massimo consesso nomofilattico riguarda dunque l’eventuale interferenza tra la pendenza in atto di un procedimento cautelare e una nuova iniziativa cautelare relativa allo stesso fatto. Si trattava di capire, insomma, quali fossero i limiti del potere del pubblico ministero, nelle more del giudizio di rinvio che segue all’annullamento della decisione del tribunale del riesame che revoca la misura cautelare. E la soluzione offerta dai giudici con l’ermellino è che il pm, sulla base di nuovi elementi, può richiedere utilmente l’emissione di una nuova misura cautelare nei confronti dello stesso soggetto e per i medesimi fatti; e ciò nonostante si tratti di elementi che possono essere prospettati anche nel giudizio impugnatorio. Ciò che conta, in fin dei conti, è evitare il rischio che sia conseguito un duplice titolo cautelare per lo stesso fatto e sulla base degli stessi elementi. Il pm è libero di scegliere il veicolo per utilizzare i nuovi elementi probatori per perseguire il suo obiettivo. Ma una volta individuato il mezzo la pubblica accusa non può ricorrere al veicolo alternativo per lo stesso utilizzo. E il principio secondo cui imboccata una strada non è più possibile ricorrere all’altra si può estendere a ogni ipotesi di impugnazione incidentale de libertate, comprese quelle introdotte dall’indagato, e in particolare per il riesame, nell’ambito del quale – concludono le Sezioni unite – il pm può ben introdurre elementi di prova a carico che siano sopravvenuti all’applicazione della misura cautelare.
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