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“Tiremm innanz!”… ANDIAMO AVANTI

Nella odierna ricorrenza del compleanno d’Italia, di un Paese unito negli ideali, nei simboli, nei valori comuni.

Oggi, per l’occasione, in ricordo dei tanti e valorosi antenati che hanno dato la vita per conquistare l’indipendenza e la libertà della nostra amata Italia, voglio ricordare la frase tanto emblematica e densa di significato pronunciata da Amatore SCIESA[1] che, tratto in arresto la sera del 30 luglio 1851, perché trovato in possesso di alcuni manifesti rivoluzionari che egli aveva affisso in tante piazze della città di Milano, venne condannato a morte dal regime austriaco in seguito ad un processo sommario.

Nel mentre veniva condotto sul luogo della fucilazione, un gendarme gli propose di barattare il nome di alcuni rivoluzionari in cambio della propria libertà.

La risposta fu eloquente: “Tiremm innanz!”.

Questa deve essere la nostra comune risposta agli estremismi o fanatismi che in qualche caso hanno registrato episodi spiacevoli che, magari senza saperlo, possono aver tradito gli ideali che hanno consentito la costruzione della nostra storia, della nostra Patria.

Viva l’Italia, viva la Libertà.

Mattinata, 17 marzo 2011

Centocinquantenario 1861 – 2011  


[1]  Di umili origini, popolano, di professione tappezziere, nel 1850 entrò in contatto con alcuni gruppi clandestini repubblicani che lottavano contro il dominio che l\’Austria deteneva sul LombardoVeneto. Si era ad appena due anni dalle cinque giornate e il governatore generale feldmaresciallo Radetzky perseguiva una politica ferocemente repressiva, che non lasciava altro scampo ai lombardi che la sottomissione, la forca o l\’esilio, ma che d\’altra parte, ben lungi dal ridurre l\’opposizione politica e nazionale, la aizzava, anche se quest\’ultima era costretta ad esprimersi nelle forme più clandestine. Alla diffusione di manifesti rivoluzionari partecipò anche Sciesa: la sera del 30 luglio 1851 egli venne bloccato, in corso di Porta Ticinese, in possesso di detti manifesti, ed arrestato con l\’accusa di averne affisso alcune copie in via Spadari[1], a Milano.
Condannato a morte in un processo sommario istruito dal capitano auditore Carl Pichler von Deeben, Sciesa venne condotto alla forca: secondo una tradizione popolare, a un gendarme che, conducendolo al luogo di esecuzione, l\’aveva fatto passare sotto le finestre di casa sua, esortandolo a rivelare i nomi di altri rivoluzionari in cambio del rilascio, avrebbe risposto: “Tiremm innanz!” (“Andiamo avanti!“). In mancanza del boia, defunto alcuni giorni prima, venne fucilato.
Nella sentenza egli venne erroneamente chiamato
Antonio e da quel momento nacque l\’equivoco legato al suo nome.

La pena gli venne inflitta in applicazione della legge stataria, ribadita dal Radetzky, insieme allo stato d\’assedio, il 2 agosto 1851, appena pochi giorni prima:

 

« in considerazione della aumentata pericolosità di sette e di movimenti fanatici, che tentano di contrastare l\’autorità dell\’Imperial-Regio Governo … chiunque sarà colto nell\’atto di svolgere attività sovversiva in qualunque forma sarà consegnato alla Gendarmeria e immediatamente impiccato.  »

   

In pratica, Sciesa, che non godeva di alcuna particolare protezione, servì al governatore generale come esempio di severità, tant\’è che la sua condanna a morte precedette di poco quella del comasco Luigi Dottesio. Il fatto che egli si rifiutasse di indicare i nomi degli altri congiurati costituì solo un\’aggravante. In tal senso essa venne percepita all\’epoca come una importante conferma che Radetzky non avrebbe saputo offrire, ai \’cattivi sudditi\’ italiani dell\’Imperatore, altro che una rinnovata ed eterna repressione.

 

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