sabato, Maggio 4, 2024
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AUTO RUBATA E RITROVATA: L’assicurazione paga i danni?

Auto rubata e ritrovata: l’assicurazione paga i danni?

 

Danni provocati all’automobile rubata, operatività della polizza rc auto: i pareri discordanti dei tribunali sul risarcimento al proprietario che ritrova il mezzo.

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Ti sei mai chiesto chi ti risarcirebbe qualora la tua auto, inizialmente rubata, dovesse essere ritrovata mezza rotta? La risposta che stiamo per dare potrebbe sembrarti paradossale: a volte è meglio non ritrovare l’auto che ritrovarla sfasciata. Questo perché, se nel primo caso opera la polizza “furto”, nel secondo non è detto che l’assicurazione sulla responsabilità civile (rc auto) possa coprire i danni. Tale è, almeno, l’interpretazione fornita dal Tribunale di Roma con una recente sentenza[1], anche se c’è chi la pensa diversamente [2]. Ma procediamo con ordine e cerchiamo di capire quando spetta il risarcimento dall’assicurazione se i ladri danneggiano l’auto rubata.

Immaginiamo che la nostra auto venga rubata dai ladri. Ci rechiamo dai carabinieri e sporgiamo la denuncia di furto. Dopo una settimana, le autorità ci telefonano per dirci che l’auto è stata ritrovata un po’ “malconcia”. Scopriamo che il cofano è completamente rientrato perché utilizzato come “testa di ariete” per sfondare la porta di un negozio e commettere una rapina. A questo punto, ci rivolgiamo alla nostra assicurazione e chiediamo il risarcimento, convinti che non ci potrà essere negato: se già, infatti, la nostra polizza prevede l’indennizzo per furto, a maggior ragione dovrebbe prevederlo – sventato il furto – se i danni da risarcire sono più contenuti rispetto all’intero valore del mezzo. Ma la nostra assicurazione contesta la richiesta: asserisce che la polizza rc auto copre solo i danni conseguenti alla circolazione del mezzo e non, invece, quelli derivanti da condotte dolose, quelle cioè volontariamente poste in essere per danneggiare o, addirittura, uccidere (si pensi al caso di chi utilizzi l’automobile per investire una persona). Chi ha ragione?

Qui la giurisprudenza offre soluzioni discordanti. Da un lato, infatti, c’è il precedente del Tribunale di Roma [1]che dà ragione all’assicurazione; dall’altro quello del Tribunale di Milano[2]che, invece, accoglie la richiesta dell’assicurato.

Secondo i giudici della capitale, i danni causati all’automobile da comportamenti dolosi non rientrano nel concetto di «circolazione» cui è collegata la polizza assicurativa obbligatoria. Pertanto non ha diritto ad essere risarcito il proprietario la cui auto sia stata rubata e usata dai ladri come ariete per penetrare all’interno di un negozio, sfasciandone la vetrina. Stesso discorso vale per qualsiasi altro danno cagionato al mezzo da una condotta volontaria. La volontà di danneggiare lascia al solo autore del danno l’intera responsabilità. E siccome il proprietario del mezzo non è responsabile insieme ai ladri per le condotte da questi poste in essere, tantomeno lo può essere la sua assicurazione.

Diversa l’interpretazione fornita dal Tribunale di Milano (la cui motivazione viene riportata in nota[2]), secondo cui, invece, una cosa è il rapporto tra assicuratore ed assicurato e un’altra è quello tra assicuratore e danneggiato (rapporto quest’ultimo con funzioni pubblicistiche in relazione alla finalità sociale perseguita di garantire il risarcimento ai danneggiati). Pertanto, in tal caso – si legge in una sentenza della Cassazione[3]– il Fondo di garanzia Vittime della Strada deve rispondere nei confronti del danneggiato anche nel caso di danno derivante da fatto doloso altrui.

Perciò, una volta accertato che il soggetto al centro di tale complesso di tutele è il danneggiato, sarebbe certamente contraddittorio ritenere che la legge abbia inteso escludere la tutela dell’automobilista nel caso di atti dolosi e cioè in una ipotesi in cui la esigenza di porre il danno a carico dell’assicuratore è (dal predetto “punto di vista” – privilegiato – del danneggiato) presente almeno quanto nelle ipotesi residue.

note

[1]Trib. Roma, sent. 30.03.2017.

[2]Trib. Milano, sent. del 30.11.2005: « Non può essere accolta e va quindi disattesa l’eccezione della compagnia assicuratrice della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore concernente la inoperatività della garanzia, in primo luogo per la volontarietà dell’investimento e, in secondo luogo, per non essere la condotta del conducente riconducibile alla circolazione stradale, avendo lo stesso utilizzato l’autovettura come arma impropria, con la finalità di causare la morte dell’attore. Fattispecie analoghe a quella di cui è causa sono state oggetto di esame da parte della Corte di Cassazione riguardando, la seconda di esse, un danno sofferto in conseguenza di un tentativo di rapina subito dalla danneggiata ad opera di ignoti, che, a bordo di un ciclomotore, avevano speronato quello sul quale viaggiava, e la prima una richiesta risarcitoria da parte della società proprietaria di un negozio di preziosi nei confronti della società proprietaria dell’autocarro e della compagnia di assicurazioni per danni provocati dal mezzo assicurato, utilizzato come ariete per sfondare la vetrina della gioielleria. In entrambe le fattispecie ricorre sia il carattere doloso della condotta del danneggiante – assicurato, sia l’uso improprio del veicolo in circolazione, utilizzato, nel primo caso, per compiere una rapina e, nel secondo, per sfondare la vetrina di un negozio al fine di commettere un furto. In entrambi i casi la Suprema Corte ha ritenuto che fosse operativa la garanzia assicurativa nei confronti del terzo danneggiato e che il carattere doloso della condotta del danneggiante-assicurato, avesse rilievo unicamente nel rapporto contrattuale interno, consentendo alla compagnia assicuratrice di esperire l’azione di rivalsa, a norma dell’art. 18 comma 2 l. n. 990 del 1969. Tale condivisibile orientamento giurisprudenziale si fonda sul dato normativo, per il quale, sebbene l’art. 1 l. n. 990 del 1969, per la delimitazione dell’ambito di applicazione della legge, e l’art. 18 l. cit. per l’esercizio della tutela diretta, contengano un riferimento alla figura del fatto illecito da circolazione di cui all’art. 2054 c.c., tuttavia tale ultima norma non configura una fattispecie autonoma di illecito civile, rispetto alla figura generale indicata nella clausola generale dell’art. 2043 c.c., per cui, rientrando l’illecito da circolazione nell’ambito di tale norma generale, che contiene un concetto di colpa inteso in senso generale, sia come condotta colposa da negligenza, imperizia e imprudenza, sia come condotta intenzionalmente lesiva o dolosa, non vi è ragione per escludere la condotta dolosa dall’ambito di applicazione della legge in esame. Nemmeno vi è motivo per ritenere tale interpretazione incompatibile con il disposto art. 1917 c.c., che esclude, nel suo comma 1, che l’assicurazione per la responsabilità civile possa operare per fatti dolosi, dovendosi ritenere che la disciplina generale dettata dal codice civile risulti derogata dalla disciplina speciale successiva dettata in materia di circolazione stradale (l. n. 990 del 1969), per cui l’esclusione in parola non opera nel caso di danno derivante da fatto doloso compiuto dal conducente di un veicolo nell’ambito della circolazione stradale. Per comprendere la ratio della disciplina dettata dalla l. n. 990 del 1969, rispetto a quella codicistica, appare opportuno sottolineare, come ha fatto la Suprema Corte nella sentenza n. 4798 del 1999, la netta separazione tra il rapporto tra assicuratore ed assicurato (ancora soggetto, sia pure con qualche riserva, alla disciplina privatistica del contratto) ed il rapporto tra assicuratore e danneggiato, che ha invece connotazione pubblicistiche in relazione alla finalità sociale perseguita dal legislatore di garantire, a quest’ultimo, il risarcimento anche quando il rischio non sia stato assunto nel contratto assicurativo e persino nell’ipotesi in cui il contratto non sia mai stato stipulato (art. 19 lett. b) l. cit.), ovvero che il veicolo investitore sia rimasto sconosciuto (art. 19 lett. a) l. cit.). In sostanza le esigenze sociali che sorgono dalla frequenza e dalla gravità degli incidenti connessi alla circolazione stradale hanno indotto il legislatore ad aggiungere alla disciplina privatistica concernente i rapporti tra i contraenti (assicuratore e assicurato) una disciplina di natura pubblicistica che, proprio in quanto volta alla tutela del danneggiato, si distacca in larga misura dalla predetta disciplina privatistica ed in rilevante misura prescinde dal contenuto del contratto assicurativo eventualmente stipulato e dalla stessa sussistenza di un contratto. Pertanto, mentre nell’ambito dei rapporti tra assicuratore e danneggiato è improprio parlare di rischio assicurato, poiché si è al di fuori della disciplina assicurativa privatistica propriamente detta, come dimostrato dal disposto dell’art. 18 l. cit., che sancisce il diritto del danneggiato di ottenere il risarcimento direttamente dalla compagnia assicuratrice, con il solito limite del massimale assicurativo, e senza che la compagnia possa opporre al terzo danneggiato eccezioni derivanti dal contratto. In altri termini la tutela del danneggiato è stata attuata dal legislatore tramite un autonomo complesso di norme nell’ambito del quale il concetto rischio assicurato è estraneo ed irrilevante, dato che la tutela del danneggiato deve operare (tendenzialmente) sempre e comunque, rimanendo ad essa estranei i rapporti tra assicuratore ed assicurato. Nell’ambito di tale ultimo rapporto la l. n. 990 del 1969 non ha inteso derogare al principio per il quale colui che compie intenzionalmente un atto dannoso deve pagare in prima persona le conseguenze di esso, con la conseguenza che non è consentito ad alcuno assicurarsi per le conseguenze di un fatto intenzionale (art. 1917 c.c.) e che pertanto deve ritenersi nulla anche nel capo dell’assicurazione obbligatoria (sempre limitatamente ai predetti rapporti) l’eventuale clausola che garantisca la copertura assicurativa anche per i fatti dolosi dell’assicurato. Pertanto, se la natura dolosa della condotta dell’assicurato non vale ad escludere l’operatività dell’assicurazione rispetto al terzo danneggiato, la stessa rileva nei rapporti interni, consentendo l’esercizio dell’azione di rivalsa (art. 18 l. n. 990 del 1969)».

[3]Cass. sent. n. 4798/1999. In tal senso: Trib. Milano 7 febbraio 1952, in Rep. Foro it. 1956, voce Assicurazione (contratto), n. 45; App. Roma 26 aprile 1955, id., 1955, voce cit., n. 67; App. Milano 13 aprile 1956, id., 1956, voce cit., n. 67; Cass. 12 ottobre 1957, n. 3769, id., 1958, voce cit., n. 200; App. Cagliari 16 marzo 1964, id., 1966, voce cit., n. 141; App.

Milano 15 gennaio 1965, id., 1965, voce cit., n. 141; Cass. 12 luglio 1965, n. 146, ibid., voce Competenza civile, n. 357; Cass. 21 novembre 1966, n. 2779, id., 1966, voce Assicurazione (contratto), n. 69; Pret. Cava dei Tirreni 6 ottobre 1978, id., 1979, voce cit., n. 292; Trib. Roma 22 novembre 1978, id., 1980, voce cit., n. 191; Cass. 17 maggio 1982, n. 3038, in Giust. civ. 1982, I, 2341; in Foro it. 1982, I, 2196; in Resp. civ. 1982, 571; in Arch. civ. 1983, 33; in Arch. circolaz. 1983, 32; Cass. 13 maggio 1983, n. 3293, in Lavoro e previdenza oggi 1983, 1405; Cass. 2 luglio 1990, n. 6771, in Arch. circolaz. 1990, 847; Cass. 18 dicembre 1990, n. 11977, in Rep. Foro it. 1990, voce cit., n. 135; Cass. 25 febbraio 1992, n. 2332, in Arch. circolaz. 1992, 832; Cass. 18 febbraio 1997, n. 1502, in Foro it. 1997, I, 2133; in Arch. circolaz. 1997, 500.

In dottrina: Fanelli, L’essenza dell’assicurazione obbligatoria automobilistica, in L’assicurazione dei veicoli a motore, Padova, 1977, 15 ss.; Cottino, I soggetti obbligati e i rischi assicurati, ibid., 9 ss.; Partesotti, Riforma dell’assicurazione obbligatoria r.c. auto e natanti, in Nuove leggi civ. 1978, 309 ss.

In senso contrario: Trib. Perugia 15 ottobre 1954, in Foro it. 1955, I, 939; Trib. La Spezia 24 novembre 1961, in Rep. Foro it. 1962, voce cit., n. 134; Trib. Napoli 23 aprile 1975, id., 1976, voce cit., n. 120; Trib. Padova 12 ottobre 1977, id., 1979, voce cit., n. 188; Cass. 30 ottobre 1979, n. 5679, ibid., voce cit., n. 187.

 

Cassazione civile, sez. III, 17/05/1999, n. 4798

Fatto

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 17 maggio 1994 la S.p.A. Assitalia, quale impresa designata dal F.G.V.S., impugnava nei confronti di Burchi Simona la sentenza 23.12.93 – 3.3.1994 con la quale il Tribunale di Roma l’aveva condannata a pagare alla Burchi la somma di L 96.951.090 a titolo di risarcimento dei danni che la stessa aveva subito in Roma il 27.2.1989 in conseguenza del tentativo di rapina subito ad opera di due ignoti, che a bordo di un ciclomotore avevano “speronato” quello sul quale viaggiava, condotto da tale Monica Filipponi.

Lamentava tra l’altro l’appellante che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto coperto dalla L. 990-69 anche il rischio di rapina, in violazione del principio sancito dall’art. 1917 C.C., nonché di quello stabilito dall’art. 1 L.990-69. La Burchi chiedeva il rigetto dell’appello e, in via incidentale, che le fosse liquidata una maggior somma.

Con sentenza 17.3 – 16.5.1995 la Corte d’Appello di Roma, in riforma dell’impugnata sentenza, respingeva la domanda di risarcimento di Burchi Simona e la condannava a rifondere all’Assitalia s.p.a. le spese di entrambi i gradi del giudizio.

Nella motivazione detta Corte esponeva tra l’altro le seguenti argomentazioni. Correttamente il Tribunale ha ritenuto, che l’assicurazione per i danni derivanti dalla circolazione dei veicoli è assicurazione di responsabilità civile, ma non ne ha tratto le debite conseguenze, imposte dal principio contenuto nella norma di cui all’art. 1917 C.C., 1° comma, che disciplina in generale tale tipo di assicurazione e che non risulta derogato da nessuna disposizione della L. 990-69, sull’assicurazione obbligatoria. Detto principio, a cui anzi si richiama espressamente il 1 comma dell’art. 1 L. 990-69 con l’esplicito riferimento all’assicurazione per la responsabilità civile di cui all’art. 2054 C.C., esclude dalla copertura i fatti dolosi. Pertanto, essendo incontestato che l’evento dannoso per cui è causa per l’effetto della collisione fra motoveicoli deliberatamente voluta e posta in essere al fine di rapina da ignoti, è da ritenere che non ricorrano i presupposti per l’applicabilità della normativa di cui alla L. 990-69 e successive modificazioni.

Contro questa decisione ricorre per cassazione Burchi Simona con un motivo.

Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con due motivi l’Assitalia; detta parte ha anche depositato memoria.

Diritto

Motivi della decisione

Occorre anzitutto disporre la riunione di ricorsi.

Con l’unico motivo la ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione degli att. 1917, 2043 e 2054 c.c., in relazione all’intero testo e spirito della 990-69, esponendo le seguenti argomentazioni. La sentenza è errata nella interpretazione della lettera e dello spirito della L. 990-60 (NDR: così nel testo), che è legge speciale, e come tale derogatoria alla legge ed alla normativa ordinaria (art. 1917 C.C.). Il Giudice d’Appello ha ritenuto che l’art. 1917 C.C. non sia derogato da nessuna disposizione della L. 990-69, ignorando il principio informatore della legge speciale sulla circolazione dei veicoli, principio di sicurezza e di solidarietà sociale, posto a base della L. 990-69. Il fatto poi che il sinistro “doloso” debba essere coperto da garanzia assicurativa fa appunto parte della specialità della norma. La ricorrente rileva infine che “.. la sentenza non è entrata nel merito della domanda incidentale proposta dalla Burchi…” e che su questa si dovrà pronunciare il giudice di rinvio.

Il motivo è fondato.

Per stabilire se il Fondo di Garanzia deve rispondere anche per atto doloso, sembra opportuno cominciare con lo stabilire se l’azione diretta ex art. 18 legge 990 si riferisca anche all’ipotesi di atto doloso, dato che la responsabilità del Fondo ex art. 19 e segg., come si evince dalla normativa in materia, è strettamente collegata a quella dell’assicuratore ex art. 18 nel disegno del legislatore.

Non risulta che questa Corte Suprema abbia mai affrontato specificamente le problematiche in questione in relazione a casi concreti in cui il danno da incidente stradale derivava da dolo dell’assicurato. Nella sentenza n. 3038 del 17.5.1982 ha affermato il seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi di furto di autoveicolo, del quale il proprietario non abbia impedito la circolazione contro la sua volontà con idonee cautele, l’assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile dipendente dalla circolazione dei veicoli a motore copre anche il danno provocato dolosamente dal conducente”.

Nella successiva sentenza n. 1502 del 18.2.97 (che appare concernere un caso in cui la conducente dell’auto era persona diversa dall’assicurato), questa Corte ha esposto il seguente principio di diritto” Poiché la responsabilità di cui al primo comma dell’art. 2054 cod. civ. È una specificazione di quella prevista dall’art. 2043 cod. civ., anche il danno dolosamente provocato dal conducente del veicolo è coperto dall’assicurazione obbligatoria (art. 1 legge 24 dicembre 1969 n. 990) e perciò l’assicuratore non può opporre al terzo danneggiato l’esclusione della garanzia assicurativa (art. 18 secondo comma legge 990 del 1969, norma sostitutiva, ai sensi dell’art. 1419 cod. civ., di clausole contrattuali o condizioni generali difformi), salvo rivalersi nei confronti dell’assicurato – o del conducente, se la circolazione è avvenuta contro la sua volontà – a norma di contratto”. Con riferimento a detta seconda decisione appare di particolare rilievo la parte iniziale della motivazione, nella quale si legge quanto segue. “… Con il primo motivo si deduce l’error iuris per la violazione degli artt. 1 e 18 della legge 1969 n. 990 e dell’art. 1917 del cod. civile, ed il vizio della motivazione, insufficiente e contraddittoria. La tesi è che avrebbe errato la Corte di merito nel ritenere inopponibile al terzo danneggiato la clausola contrattuale secondo cui l’impresa risarcisce i danni involontariamente cagionati a terzi” e dunque non i danni cagionati per fatto doloso. L’estensione del rischio (previsto dall’art. 1 delle condizioni generali del contratto) anche ai fatti dolosi sarebbe impedito dalle norme relative alla causa illecita del contratto (art. 1343,1418, 1419 cod. civile). In senso contrario si osserva., come esattamente ha rilevato la Corte leccese, che: a. l’art. 1 della legge 990-69 non opera alcuna distinzione tra fatti dolosi e fatti colposi, e si limita a richiamare la responsabilità prevista dall’art. 2054 cod. civile; b. la norma richiamata (art. 2054) non solo non esclude esplicitamente i fatti dolosi, ma deriva il suo contenuto direttamente da quel principio (o clausola generale di garanzia per l’illecito civile, come afferma autorevole dottrina condivisa dalla stessa Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 184 del 1986) generale stabilito dall’art. 2043 del codice civile, per cui “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona danno ingiusto, obbliga al risarcimento. Dalla correlazione logico sistematica tra la norma generale e la 1′ norma specificante consegue che la responsabilità ex art. 2054 comprende anche i fatti dolosi e che quindi tali fatti non sono estranei alla normativa dell’assicurazione obbligatoria;

(conf Cass. 17 maggio 1982 n. 3038); c. dal collegamento logico sistematico tra l’art. 1 e l’art. 18 della legge richiamata, si evidenzia che non sono opponibili al danneggiato le eccezioni di inesistenza del rischio, per la prevista esclusione del fatto doloso; ed in vero, essendo la legge speciale a carattere imperativo, rivolta, tra l’altro all’accrescimento della tutela del terzo danneggiato, con la previsione di forme solidaristiche d’intervento (come avviene nel caso di intervento del Fondo di Garanzia), tale clausola delimitativa del rischio non è opponibile al danneggiato, ai sensi del secondo comma dell’art. 18 della legge citata; d. la clausola legale di inopponibilità, prevista da norma imperativa, si sostituisce automaticamente, per effetto della eterointegrazione normativa, alla clausola nulla (cfr. art. 1419 secondo comma cod. civ. e v. Cass. 12 luglio 1965 n. 146; Cass. 13 maggio 1983 n. 3293). e. Ulteriore conferma (ma come semplice elemento rafforzativo esegetico) si trae dai lavori preparatori, e cioè dalla Relazione al Senato, in cui espressamente si propone l’interpretazione logico sistematica degli art. 1, 18 della legge n. 990-68 (NDR: così nel testo) e dell’art. 2054 cod. civile nel senso sopraindicato. f Deve infine condividersi l’orientamento dottrinale secondo cui il rapporto tra assicuratore e danneggiato, quale risulta configurato dalla legge sulla assicurazione obbligatoria, è di natura pubblicistica, venendo in evidenza il particolare interesse pubblico della tutela sociale dei danni derivati dalla circolazione stradale (cd. danni di massa) sicché le sue norme, in quanto favorevoli al danneggiato, espressamente previste dalla legge speciale, hanno forza imperativa e preminente vuoi sulle clausole contrattuali, vuoi su altra normativa promanante dalle condizioni generali del contratto, anche se predisposte con l’assenso ministeriale. g. Da ultimo deve rimarcarsi come l’attuale tendenza del diritto europeo per il risarcimento dei danni alla persona (come testimoniata dalla risoluzione 75-7 del marzo 1975, dal Colloquio di Parigi del 1988 e dall’avant, projet di direttiva sulla responsabilità “du fait de services”) tenda a comporre il mosaico dei diversi sistemi, superando il modello assurantiel e prevedendo forme di responsabilità obbiettiva, anche nel campo dell’assicurazione obbligatoria per la circolazione stradale. h. L’interpretazione fin qui condivisa non vulnera le possibilità di tutela dell’assicuratore, il quale ben potrà ripetere, quanto versato al danneggiato, sia dall’assicurato che dal terzo conducente (se la circolazione è avvenuta contro la volontà del proprietario) trattandosi di prestazione alla quale non è contrattualmente tenuto ….”.

Ciò premesso per quanto riguarda i più specifici precedenti giurisprudenziali, occorre passare all’esame delle norme in questione.

L’art. 1 L. 990-69 dispone che i veicoli debbono essere coperti dall’assicurazione per “…la responsabilità civile verso i terzi prevista dall’articolo 2054 del codice civile…”. La prevalente dottrina e giurisprudenza ritengono fondatamente che il richiamo dell’art. 2054 cit. si riferisca al tipo di responsabilità (quella relativa alla circolazione di veicoli) da detta norma disciplinata e non alla disciplina dettata (in tema di onere probatorio e presunzioni di colpa) e che quindi la “…responsabilità….! prevista dall’art. 2054…” c.c. sia semplicemente una species (caratterizzata unicamente dal fatto di derivare dalla circolazione di veicoli) del più ampio genus della responsabilità per fatto illecito (doloso o colposo) di cui all’art. 2043 c.c.

Dunque la lettera della legge autorizza a ritenere che, con riferimento alla disciplina di cui alla L. 990 cit e segg. sia configurabile una responsabilità dell’assicuratore (vedremo poi entro quale ambito) pure per i danni derivanti da atti dolosi.

Secondo parte rilevante della dottrina e della giurisprudenza l’unico serio ostacolo a detta interpretazione è costituito dall’art. 1917 c.c. il quale stabilisce che nell’assicurazione della responsabilità civile….. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi..”. Se però si collega tale norma con quella che all’art. 1900 c.c.

(contenuta nella sezione I: “DISPOSIZIONI GENERALI” del capo XX “DELL’ASSICURAZIONE”) stabilisce che “… L’assicuratore è obbligato per il sinistro cagionato da dolo o da colpa grave delle persone del fatto delle quali l’assicurato deve rispondere…”; e cioè se si ritiene applicabile (e non vi sono validi motivi per non farlo) quest’ultima disposizione di carattere generale (dettata dall’art. 1900 cit.) nello specifico campo dell’assicurazione della responsabilità civile, si perviene, senza particolari problemi interpretativi (e senza abbandonare in alcun modo i tradizionali principi della disciplina privatistica della materia), all’affermazione che nella materia disciplinata dalla L. 990 e segg. l’assicuratore deve rispondere anche per i danni derivanti da fatti dolosi (di terze persone) di cui l’assicurato deve rispondere.

Ma quid iuris nel caso di danno da fatto doloso dello stesso assicurato? Come conciliare la tesi di chi afferma rientrare nella garanzia assicurativa anche tale ipotesi con il contenuto dell’art. 1917 cit.? Parte della dottrina e della giurisprudenza considera insormontabile l’ostacolo costituito da detta norma nel senso che sulla base della medesima si dovrebbe escludere in ogni caso che un assicuratore possa rispondere di danni derivanti da fatti dolosi dell’assicurato.

Vi è chi parla allora di contratto nullo ex art. 1895 c.c. in quanto privo dell’elemento del rischio, ovvero afferma che seguendo la tesi sopra sostenuta si finirebbe per mettere l’avveramento del rischio nelle mani dell’assicurato e lasciare al suo arbitrio il verificarsi del fatto che genera l’obbligazione dell’assicuratore.

Tali obiezioni non sembrano decisive e possono essere superate sulla base delle seguenti considerazioni.

Da lungo tempo la maggior parte della dottrina e della giurisprudenza hanno rilevato che in seguito all’emanazione della L. 990 e segg. si è venuta ad operare una netta separazione tra il rapporto tra assicuratore ed assicurato (ancora soggetto, sia pure con qualche riserva, alla disciplina privatistica del contratto) ed il rapporto tra assicuratore e danneggiato, che ha invece connotazioni pubblicistiche (connotazioni che si sono manifestate tra l’altro con l’irrogazione di sanzioni che – v. l’originario contenuto dell’art. 32 – avevano significativamente, in origine, carattere penale) in relazione alla finalità sociale perseguita dal legislatore di garantire a quest’ultimo il risarcimento anche quando il rischio non sia stato assunto nel contratto assicurativo. A proposito di tale finalità appare opportuno citare ad esempio i seguenti casi che sono già stati oggetto di decisioni di legittimità: – A) Cass. n. 11977 del 18-12-1990: “La clausola del contratto di assicurazione della responsabilità civile per la circolazione di veicoli, che prevede l’inoperatività della garanzia nel caso in cui il veicolo assicurato sia condotto al momento del sinistro da persona non munita della prescritta patente di guida, è inopponibile dall’assicuratore al terzo danneggiato che si avvalga nei suoi confronti dell’azione diretta per il risarcimento ai sensi dell’art. 18 della legge n. 990 del 1969, trattandosi di eccezione derivante dal contratto e, pertanto, non opponibile al danneggiato a norma del secondo comma del citato art. 18, che così statuisce, in corrispondenza dell’impronta pubblicistica dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile dei veicoli e natanti, l’autonomia del diritto del terzo danneggiato rispetto al diritto dell’assicurato danneggiante nei rispettivi rapporti con l’assicuratore (salva la rivalsa di quest’ultimo, quando abbia risarcito il danno, nei confronti dell’assicurato)”; – B) Cass. n.. 6771 del 2-7-1990: “nell’ipotesi di circolazione di autovettura con targa di prova munita di assicurazione provvisoria ai sensi dell’art. 17 d.p.r. 24 novembre 1970 n. 973 (regolamento di esecuzione della legge 24 novembre (NDR: così nel testo) 1969 n. 990), la mancata esposizione della targa, pur presente nel veicolo, non comporta violazione dell’articolo 32 legge n. 990 del 1969, che concerne soltanto la circolazione di veicoli sforniti di garanzia assicurativa, neppure ove il contratto di assicurazione ricolleghi espressamente la propria efficacia alla esposizione della targa di prova, rimanendo pur sempre operante la copertura assicurativa nei confronti dei terzi danneggiati, ai sensi dell’art. 18 di detta legge (salva per l’assicuratore l’azione in via di rivalsa nei confronti dell’assicurato)”. – C) Cass n. 2332 del 25-2-1992:” In base al combinato disposto dell’art. 1 della legge 24 dicembre 1969 n. 990 il quale stabilisce, con una norma di carattere generale e senza eccezioni, l’obbligo dell’assicurazione per la responsabilità civile per i veicoli a motore senza guida di rotaie in circolazione su strade di uso pubblico (o su aree a queste equiparate) e dell’art. 9 del regolamento di esecuzione alla legge stessa approvato con d.p.r. 24 novembre 1970 n. 973 (il quale stabilisce che i veicoli che circolano a scopo di prova tecnica o di dimostrazione per la vendita debbono contenere, in sostituzione dei dati indicati nella lettera d), i dati della targa prova), anche i veicoli circolanti in prova sono soggetti all’obbligo assicurativo, che è adempiuto mediante la stipulazione di una polizza sulla targa prova, la quale assicura qualsiasi veicolo in circolazione con quella targa (trasferibile, ai sensi dell’art. 66 comma quinto codice della strada, da veicolo a veicolo), senza che resti escluso l’obbligo dell’assicuratore di risarcire il danno al terzo danneggiato, ove l’incidente da cui sia derivato il danno si sia verificato ad opera di veicolo circolante con targa di prova ma per uno scopo diverso da quello della prova tecnica (o della dimostrazione per la vendita) poiché tale irregolarità rileva soltanto nei rapporti tra assicuratore ed assicurato, non incidendo sulla esistenza del rapporto assicurativo, nè costituendo una eccezione opponibile al terzo danneggiato che agisca direttamente nei confronti dell’assicuratore, salva la rivalsa di questo verso l’assicurato a norma dell’articolo 18 secondo comma della legge n. 990 del 1969″.

Con riferimento alla specifica problematica in questione, se si considera l’ambito dei rapporti tra assicuratore ed assicurato, si deve ritenere che il legislatore, nel dettare la particolare disciplina in esame (L. 990 e segg.) non abbia affatto inteso derogare al principio che colui che compie intenzionalmente un atto dannoso deve pagare in prima persona le conseguenza di esso, con la conseguenza che non è consentito ad alcuno assicurarsi per le conseguenze di un proprio fatto intenzionale; e che pertanto deve ritenersi nulla anche nel campo dell’assicurazione obbligatoria (sempre limitatamente ai predetti rapporti) l’eventuale clausola che garantisca la copertura assicurativa anche per fatti dolosi dell’assicurato (mentre deve ritenersi valida la clausola che la garantisca per fatti dolosi non dell’assicurato ma di persone del fatto delle quali l’assicurato deve rispondere; v. sopra quanto esposto sul punto).

Le particolarità di detta disciplina riguardano invece solo l’ambito dei rapporti tra assicuratore e danneggiato: l’allarme sociale suscitato dalla gravità e frequenza degli incidenti connessi con la circolazione dei veicoli e natanti e la conseguente diffusamente sentita esigenza di predisporre in ogni caso una adeguata tutela dei danneggiati, hanno indotto il legislatore ad assicurare al danneggiato un risarcimento sempre e comunque (in linea generale), persino nell’ipotesi che un contratto assicurativo non sia mai stato stipulato (art. 19 lett. b) ovvero che il veicolo investitore sia rimasto sconosciuto (art. 19 lett. a), lo hanno cioè indotto ad aggiungere alla disciplina privatistica concernente i rapporti tra i contraenti (assicurato ed assicuratore) una disciplina di natura pubblicistica che, proprio in quanto volta alla tutela del danneggiato, si distacca in larga misura dalla predetta disciplina privatistica, ed in rilevante misura prescinde dal contenuto del contratto assicurativo eventualmente stipulato e dalla stessa sussistenza di un contratto.

Una volta assodato che questa è la ratio della normativa in questione (palesemente emergente da una serie di norme estremamente significative, come quella che all’art. 18 cit. prevede che “Per l’intero massimale di polizza l’assicuratore non può opporre al danneggiato, che agisce direttamente nei suoi confronti, eccezioni derivanti dal contratto…”), ed in particolare una volta accertato che il soggetto al centro di tale complesso di tutele è il danneggiato (e che il “punto di vista” privilegiato è il suo), sarebbe certamente incongruo ritenere che il legislatore abbia inteso escludere detta tutela nel caso di atti dolosi e cioè in una ipotesi in cui l’esigenza di porre il danno a carico dell’assicuratore è (dal predetto “punto di vista” – privilegiato – del danneggiato) presente almeno quanto nelle ipotesi residue.

Ad ulteriore conforto di quanto ora esposto si consideri che seguendo la tesi opposta sarebbe certo ben difficile comprendere perché il soggetto danneggiato da un conducente non assicurato dovrebbe essere privilegiato rispetto al soggetto danneggiato da un una persona assicurata sol perché questa ha agito con dolo. Si consideri infine che detta tesi opposta finirebbe per trovare in concreto ben scarsa applicazione dato che il danneggiato, nell’adempimento dell’onere probatorio sullo stesso incombente troverebbe ovviamente conveniente fermarsi alla prova della colpa del danneggiante e si guarderebbe bene dal fornire anche la prova (in genere più difficile) del dolo.

Appare chiaro a questo punto che le obiezioni sopra esposte in tema di rischio appaiono prive di pregio. Infatti non è affatto esatto che il contratto nella specie sarebbe privo di rischio o che l’avveramento del rischio verrebbe lasciato all’arbitrio dell’assicurato. Tali tesi confondono ancora una volta l’ambito dei rapporto tra assicurato ed assicuratore con l’ambito dei rapporti tra danneggiato ed assicuratore (o Fondo G.V.S.).

Nel primo ambito l’assicurato non può mai incidere sul verificarsi o meno del rischio assicurato in quanto un suo eventuale atto doloso tendente a far verificare un incidente porrebbe automaticamente il danno cagionato al di fuori della previsione contrattuale; infatti nei rapporti tra assicurato ed assicuratore, il rischio in concreto assicurato (le Compagnie di Assicurazione sono abitualmente ben attente a precisarlo in contratto) e comunque l’unico assicurabile (ex art. 1917 cit.) è solo quello derivante da atto colposo (ovvero da atto doloso nell’unico caso in cui i danneggianti siano soggetti dei cui fatti l’assicurato è tenuto a rispondere), con esclusione assoluta dei danni derivanti da atto doloso dell’assicurato (che pertanto non entrano affatto a far parte del rischio oggetto del contratto).

Nel secondo ambito di rapporti invece è improprio parlare di rischio assicurato dato che si è al di fuori della disciplina assicurativa privatistica propriamente detta. Infatti l’obbligo dell’assicuratore di risarcire il danneggiato nel caso si cui all’art. 18 cit. deriva (solo) da una specifica normativa dettata dal legislatore per esigenze che trascendono i contraenti, in quanto riguardano il danneggiato; normativa che pertanto (come si è visto) prescinde dalla disciplina del codice civile in tema di assicurazioni (e quindi anche in tema di rischio assicurato), prescinde inoltre dalla disciplina pattizia che si sono dati i contraenti e nel caso di cui all’art. 19 e segg. può (come si è già esposto) prescindere addirittura dall’esistenza di un contratto. In altri termini la tutela del danneggiato è stata attuata dal legislatore tramite un autonomo (nel senso suddetto) complesso di norme nell’ambito del quale il concetto di rischio assicurato è estraneo ed irrilevante, dato che la tutela del danneggiato deve operare (tendenzialmente) sempre e comunque e che quindi nei confronti di tale parte (nei limiti in cui diventa operativa detta disciplina di natura pubblicistica) diventano (in linea generale) estranei ed irrilevanti i rapporti assicurato – assicuratore (nell’ambito dei quali invece la permanenza del rischio assicurato è essenziale).

Appare opportuno aggiungere per completezza che il sorgere di detta particolare disciplina a tutela del danneggiato non ha fatto venir meno il vigore dei principi di carattere civilistico con riferimento ai rapporti tra assicuratore ed assicurato (nell’ambito dei quali anche gli interessi dell’assicuratore debbono trovare adeguata tutela); ed appare pertanto coerente con quanto sinora esposto il fatto che, una volta avvenuto il pagamento previsto dalla legge in favore del danneggiato, nell’ipotesi di cui all’art. 18 cit. l’assicuratore ha verso la propria controparte contrattuale (l’assicurato) il diritto di rivalsa disciplinato dal secondo comma di tale norma (e quindi ad es. qualora l’assicurato abbia provocato dolosamente i danni, l’assicuratore deve anzitutto pagare al danneggiato in base alla L. 990 e segg.; ma poi, dato che avrebbe avuto contrattualmente, e comunque ex art. 1917 cit., il diritto di rifiutare la propria prestazione ha diritto di rivalersi sull’assicurato); mentre nell’ipotesi di cui all’art. 19 L. cit. l’impresa designata ha l’azione di regresso ed il diritto di surroga previsti dall’art. 29.

Sulla base di quanto sopra esposto si deve concludere che il Fondo di Garanzia deve rispondere nei confronti del danneggiato anche nel caso di danno derivante da fatti dolosi. Il motivo va dunque accolto.

L’accoglimento del motivo di ricorso principale ha efficacia assorbente rispetto al primo motivo di ricorso incidentale con il quale l’Assitalia denuncia violazione dell’art. 360 c.p.c. n. 5 per omessa pronuncia lamentando che la Corte d’Appello ha omesso di decidere sulla domanda di condanna della Burchi a rimborsare quanto percepito in esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale l’Assitalia denuncia violazione dell’art. 348, secondo comma c.p.c. e dell’art. 87 disp. att. c.p.c. in relazione anche all’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa pronuncia, osservando che la Corte di merito aveva l’onere di dichiarare d’ufficio l’improcedibilità dell’appello proposto dalla Burchi in via incidentale.

Il motivo, nella sua parte chiara e specifica (che è poi l’unica ammissibile) ha per oggetto esclusivamente l’asserita improcedibilità dell’appello innanzi al Giudice di secondo grado; ed è infondato perché parla solo dell’onere di deposito del fascicolo di parte di primo grado; occorre infatti ricordare che come già rilevato più volte da questa Corte Suprema (v. tra le altre Cass. n. 12824 del 15-12-1995) “L’onere della presentazione del fascicolo di parte, fissato a pena di improcedibilità dell’appello dall’art. 348 cod. proc. civ., si riferisce al fascicolo di secondo grado, contenente i documenti indicati nell’art. 74 disp. att. cod. proc. civ. e relativi al giudizio d’impugnazione, e non anche a quello del grado precedente, il cui omesso deposito può spiegare rilievo solo sotto il diverso profilo dell’eventuale mancanza di atti necessari a sostegno di domande ed eccezioni della parte medesima”.

In conclusione va accolto il ricorso principale; quanto al ricorso incidentale, va dichiarato assorbito il primo motivo e va rigettato il secondo; va poi cassata in relazione l’impugnata sentenza rinviando la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Roma (che provvederà sulle domande delle parti ex art. 394 c.p.c.) e rimettendo a detto giudice di rinvio la pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

PQM

p.q.m.

La Corte riunisce i ricorsi; accoglie il ricorso principale; dichiara assorbito il primo motivo del ricorso incidentale e rigetta il secondo motivo del ricorso medesimo; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.

Così deciso a Roma l’8.1.1999.

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