venerdì, Aprile 26, 2024
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ISTITUTO CENTRALE DELLE BANCHE POPOLARI ITALIANE “Banche cooperative e sviluppo solidale:

Le sfide per le banche popolari nel nuovo scenario

regolamentare

Intervento del Direttore Generale della Banca d’Italia

Fabrizio Saccomanni

Verona, 26 febbraio 2010

1. L’evoluzione della crisi

Le tensioni innescate dalla crisi “

 

subprime-Lehman” del 2007-08

continuano a influenzare, sia pure con intensità attenuata, gli andamenti

dell’economia mondiale e il sentimento sui mercati finanziari internazionali. È in

atto una ripresa dell’attività economica che si manifesta sostenuta nelle economie

emergenti (comprese quelle dell’Europa dell’est), ma nel complesso modesta e

fragile nelle economie avanzate, specialmente in Europa. Per l’area dell’euro il

consenso degli analisti privati e ufficiali prospetta una crescita in lieve

accelerazione tra l’1 e l’1,5 per cento nel biennio 2010-11, trainata

essenzialmente dalla domanda esterna, in un contesto di perdurante

disoccupazione e di stagnazione dei consumi e degli investimenti privati. Non

emergono rischi di inflazione nel medio termine.

Sui mercati finanziari, le condizioni di fondo sono sostanzialmente

migliorate rispetto ad un anno fa, anche se non mancano fasi di accentuazione

della volatilità dei tassi d’interesse e di cambio, delle quotazioni azionarie e degli

spreads

 

 

2

la ripresa, ma neanche tardiva per non compromettere la stabilità dei prezzi e

alimentare nuove bolle speculative sui mercati finanziari. Per le politiche di

bilancio, dovranno essere individuati fin da ora itinerari credibili di

normalizzazione al fine di garantire l’ordinato finanziamento dei fabbisogni degli

stati sovrani da parte del mercato. È comunque importante l’impegno dei paesi

dell’area dell’euro a intraprendere azioni decise e coordinate per garantire la

stabilità finanziaria dell’area.

2. La revisione della regolamentazione prudenziale proposta del Comitato

di Basilea

La revisione della regolamentazione finanziaria avviata nelle sedi

internazionali all’indomani della crisi testimonia la ferma volontà delle autorità,

politiche e tecniche, di ripristinare la fiducia nei mercati, rafforzare la stabilità del

sistema finanziario globale, garantire un’efficace applicazione delle norme e, in

ultima analisi, favorire l’efficiente allocazione delle risorse all’interno del

sistema economico.

I Capi di Stato e di Governo dei paesi del G20 – la massima assise

politica della cooperazione internazionale – hanno dato mandato al

 

Financial

Stability Board

 

(FSB) di formulare specifiche raccomandazioni, chiedendo ai

comitati tecnici di settore di tradurle in interventi concreti. Molteplici sono le

direttrici lungo le quali si è articolato il piano di azione: la revisione delle norme

prudenziali, l’estensione del perimetro della regolamentazione e della

supervisione, il miglioramento della

 

 

governance degli intermediari, il

rafforzamento della trasparenza e dell’informativa al mercato, l’intensificazione

della cooperazione tra autorità, sia nei periodi normali sia in quelli di crisi.

Significativi progressi si stanno compiendo anche sul fronte degli assetti

istituzionali di vigilanza, principalmente in Europa. La crisi ha mostrato che

3

un’organizzazione su base nazionale delle responsabilità di vigilanza non risulta

più adeguata alle crescenti sfide poste da mercati sempre più integrati e

caratterizzati dalla presenza di intermediari di grandi dimensioni, operanti in più

paesi dell’area.

La nuova architettura di vigilanza europea si baserà su due elementi

portanti: un Consiglio Europeo per il Rischio Sistemico (

 

European Systemic Risk

Board

 

, ESRB) e un Sistema Europeo di Vigilanza Finanziaria (European System

for Financial Supervision

 

, ESFS), quest’ultimo incentrato su tre autorità di

vigilanza su banche, assicurazioni e mercati mobiliari nelle quali saranno riuniti,

per i rispettivi settori, i vertici delle vigilanze dei paesi dell’Unione. Nel

complesso, l’accordo fin qui raggiunto sulla riforma costituisce un importante

passo avanti ponendo le condizioni per una effettiva armonizzazione delle regole

e delle prassi di vigilanza e un’efficace gestione dei rischi.

Sul fronte della regolamentazione, nel dicembre dello scorso anno il

Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato per la consultazione

un’articolata serie di proposte in materia di capitale e liquidità delle banche.

Alcuni aspetti ancora in discussione, primo fra tutti il trattamento da riservare

alle istituzioni sistemicamente rilevanti, saranno oggetto di specifiche proposte

nel corso di quest’anno.

I nuovi standard dovrebbero entrare in vigore alla fine del 2012 ma

saranno introdotti con la necessaria gradualità, anche attraverso la previsione di

disposizioni transitorie per un periodo sufficientemente lungo. Sarà anche

fondamentale assicurarne un’attuazione omogenea nelle diverse giurisdizioni,

impedendo quella “

 

 

 

competition in laxity”, che pure ha contribuito alla crisi. Il

FSB porrà in essere rigorosi processi di monitoraggio sulle modalità con le quali

le singole giurisdizioni applicheranno le nuove regole.

Gli elementi fondanti della proposta del Comitato di Basilea sono:

l’innalzamento della qualità del patrimonio di vigilanza, anche attraverso una

4

possibile revisione dei limiti minimi; l’estensione della copertura dei rischi ai

quali le banche sono esposte, in particolare attraverso il rafforzamento dei

requisiti patrimoniali a fronte del rischio di controparte; il contenimento del

grado di leva finanziaria del sistema, mediante l’introduzione di un requisito non

ponderato per il rischio (

 

leverage ratio) che prevenga un’eccessiva espansione

degli attivi nelle fasi di forte crescita economica; la riduzione della prociclicità

della regolamentazione, attraverso l’obbligo per le banche di accantonare risorse

nelle fasi espansive da utilizzare durante i periodi di crisi; infine, l’adozione di

regole quantitative per contenere il rischio di liquidità.

Non è questa la sede per entrare nel dettaglio dell’intera proposta. Mi

soffermerò piuttosto su due tra i punti principali della revisione regolamentare –

la nuova definizione di capitale e le regole sul rischio di liquidità – la cui

introduzione avrà effetti generalizzati sulle banche italiane, incluse quelle

popolari.

2.1 La nuova definizione di capitale

Il patrimonio di vigilanza è alla base della regolamentazione prudenziale

delle banche; esso costituisce il parametro sul quale è imperniato l’intero sistema

di controlli sugli intermediari e in base al quale il mercato valuta la loro solidità.

Il capitale rappresenta, infatti, il primo presidio a copertura delle perdite;

consente di sfruttare le opportunità di sviluppo e soddisfare la domanda di

finanza proveniente da famiglie e imprese.

L’esigenza di modificare la vigente definizione di capitale – risalente

all’Accordo sul Capitale del 1988, ossia Basilea 1 – era già da tempo presente

alle autorità internazionali.

5

Le proposte del Comitato di Basilea mirano a innalzare la qualità del

capitale, rendendo le banche più pronte ad affrontare le crisi e ad assorbire le

perdite. L’orientamento delle autorità è volto ad assicurare che la componente

predominante del patrimonio di base sia limitata alle azioni ordinarie e alle

riserve di utili (

 

common equity). I nuovi criteri tengono anche conto delle

specificità delle banche costituite in forma di società cooperativa; su questo, le

linee guida pubblicate per la consultazione dal Comitato Europeo dei Supervisori

Bancari (CEBS) lo scorso dicembre forniscono indicazioni puntuali.

Una delle più importanti lezioni della crisi è che l’obiettivo di garantire

effettive condizioni di

 

level playing field tra diverse giurisdizioni assume

particolare rilevanza sul terreno del capitale, dove non dovranno più essere

lasciati margini di flessibilità alle autorità nazionali.

Le deduzioni – ossia gli elementi che devono essere eliminati nel

computo del capitale – verrebbero armonizzate secondo criteri più rigorosi e

applicate generalmente alla componente di qualità più elevata del patrimonio. Gli

attuali coefficienti patrimoniali minimi relativi al patrimonio totale e a quello di

base saranno affiancati da un requisito relativo al

 

common equity. Saranno infine

introdotte regole più stringenti per l’ammissibilità nel patrimonio supplementare

degli strumenti di debito ibrido e subordinato.

La decisione che il Comitato è chiamato ad adottare al termine della

consultazione dovrà anche tenere conto degli strumenti di capitale già emessi,

così da consentire un graduale passaggio alla nuova normativa (

 

grandfathering),

con effetti positivi – oltre che sul livello di adeguatezza patrimoniale delle

banche e sul costo della raccolta – sulla capacità del sistema finanziario di

sostenere la ripresa economica.

6

2.2 Le regole sul rischio di liquidità

La crisi finanziaria ha mostrato con quanta rapidità e intensità possa

manifestarsi il rischio di liquidità sui mercati finanziari e quali effetti esso,

unitamente alla interazione con altri rischi, possa determinare sulla stabilità degli

intermediari e dell’intero sistema. Ha posto in evidenza la necessità di definire a

livello internazionale un sistema di regole puntuali in materia di liquidità.

Già nel 2008 il Comitato di Basilea e il CEBS avevano pubblicato due

documenti contenenti principi di carattere organizzativo per la gestione e la

supervisione del rischio di liquidità. Nell’integrare tali indicazioni, il documento

pubblicato dal Comitato di Basilea lo scorso dicembre ha proposto l’introduzione

di due regole quantitative. La prima (

 

liquidity coverage ratio) mira ad assicurare

che le singole banche siano in grado di fare fronte a un periodo di stress

prolungato con un adeguato cuscinetto di liquidità; la seconda (

 

net stable funding

ratio

 

) risponde all’esigenza di evitare squilibri strutturali nella composizione

delle passività e attività di bilancio lungo un orizzonte temporale di un anno. Le

due regole sono strettamente interrelate: un’oculata gestione della liquidità

strutturale evita il formarsi di ampi squilibri a breve.

Tra le due regole, la prima è stata particolarmente discussa in sede

internazionale; le evidenze che saranno raccolte nello studio d’impatto potranno

fornire importanti indicazioni sull’effetto delle diverse opzioni disponibili.

Faccio riferimento, in particolare, alla composizione del

 

 

buffer di attività liquide.

Nella fase di finalizzazione delle norme sarà essenziale trovare il giusto

punto di equilibrio tra la necessità che gli intermediari mantengano profili di

liquidità sufficientemente prudenti e l’esigenza di non ostacolare la funzione di

trasformazione delle scadenze tipica del sistema bancario ed evitare che i nuovi

requisiti si riflettano in un maggior costo e in una minore disponibilità di liquidità

per la clientela.

7

3. L’impatto del nuovo scenario regolamentare sulle banche italiane

Le soluzioni sottoposte alla consultazione sono il punto di partenza per

ulteriori affinamenti ed eventuali revisioni. A tal fine, il Comitato di Basilea ha

appena avviato un articolato studio d’impatto; una rilevazione simile sulle

banche europee, che terrà conto delle specificità del sistema finanziario e della

regolamentazione dell’Unione, è coordinata dal CEBS.

L’indagine mira a valutare gli effetti quantitativi delle modifiche

proposte sui bilanci delle banche e raccogliere utili elementi per “calibrare” il

livello definitivo di capitale e liquidità che gli intermediari dovranno detenere nei

prossimi anni. Analogamente alle simulazioni condotte durante i lavori di riforma

di Basilea 2, anche questo esercizio si baserà sui dati che le banche forniranno

alle autorità nazionali e beneficerà della stretta interazione tra banche e

supervisori. L’ampio campione di intermediari italiani che la Banca d’Italia ha

inteso coinvolgere (22 banche, tra le quali 9 popolari) potrà fornire utili

indicazioni sugli effetti delle proposte sul sistema italiano.

Nell’attesa di raccogliere indicazioni più puntali dallo studio d’impatto,

ci sembra tuttavia già possibile individuare le aree della proposta regolamentare

che potranno avere maggiori effetti sul sistema bancario italiano.

Sotto il profilo patrimoniale, le banche italiane appaiono meglio

attrezzate di quelle di molti altri paesi, che pure apparivano più capitalizzate

prima della crisi. I dati su base consolidata indicano a giugno del 2009 un

complessivo miglioramento della situazione patrimoniale rispetto al primo

semestre del 2008. Il coefficiente complessivo dell’intero sistema è aumentato

dal 10,4 all’11,3 per cento, quello relativo al patrimonio di base dal 7,4 all’8,1

per cento; il

 

core Tier 1 ratio è passato dal 6,8 al 7,5 per cento. Una tendenza

molto simile si osserva per le banche popolari.

8

Rimangono tuttavia aperti alcuni aspetti importanti della proposta

regolamentare che potrebbero determinare conseguenze di rilievo per gli

intermediari italiani.

È il caso delle attività per imposte anticipate, il cui ammontare assume

valori di assoluto rilievo per effetto dei vincoli nazionali alla deducibilità fiscale

delle perdite su crediti. Su questo fronte, lo studio d’impatto consentirà di

valutare opzioni alternative, come quella di dedurre le attività per imposte

anticipate solo per l’importo che eccede un determinato limite, in modo da

evitare che differenze nei trattamenti fiscali nazionali creino eccessive disparità

concorrenziali.

Anche la possibile deduzione integrale dal Tier 1 degli interessi di

minoranza e delle partecipazioni bancarie, finanziarie e assicurative potrebbe

avere impatti non trascurabili sul nostro sistema. La presenza di significative

quote di risorse di pertinenza di terzi riviene in larga misura dai processi di

aggregazione che hanno interessato il sistema italiano negli anni scorsi; riguarda

anche quelle banche popolari che sono caratterizzate da complessi assetti di

gruppo. Riteniamo tecnicamente ben fondata la proposta alternativa di tenerne

conto parzialmente, fino a un ammontare commisurato ai rischi delle singole

sussidiarie che tali interessi fronteggiano.

Quanto alle regole sulla liquidità, l’effetto dipenderà anche dalla

decisione finale circa le caratteristiche delle due regole quantitative. Il profilo di

liquidità delle banche italiane, anche grazie alla rafforzata azione di monitoraggio

avviata sin dal 2007 dalla Banca d’Italia, è solido ma poggia in misura

significativa su strumenti destinati al rifinanziamento della banca centrale.

Poiché le nuove regole porranno l’accento su strumenti che consentano alle

banche di fronteggiare intensi

 

shock di liquidità senza necessariamente

aumentare il ricorso alla banca centrale, vi è la necessità che le banche italiane

9

accrescano gradualmente nei propri bilanci il peso degli strumenti prontamente

liquidabili sul mercato.

La limitata operatività nel campo della finanza innovativa e nella

negoziazione di prodotti di credito strutturati induce a prevedere che l’impatto

dell’inasprimento dei requisiti patrimoniali sul

 

trading book risulterà

generalmente contenuto. Anche l’introduzione del

 

leverage ratio non dovrebbe

comportare conseguenze particolarmente rilevanti. Il grado di leva finanziaria del

sistema bancario italiano – misurato dal rapporto tra il totale dell’attivo di

bilancio e il patrimonio di base – è basso nel confronto internazionale: a fronte di

una leva pari a 34 per le principali banche europee nel giugno scorso, i maggiori

gruppi italiani registravano un valore di 24; per le sole banche popolari esso

risultava pari a 18.

4. Le banche cooperative: crescita e rischi

Negli ultimi dieci anni il peso delle banche cooperative nel sistema

creditizio italiano è aumentato in misura significativa. La quota degli impieghi

domestici ascrivibile a banche popolari e banche di credito cooperativo, pari al

21 per cento alla fine degli anni novanta, ha sfiorato il 31 per cento alla fine dello

scorso anno. La quota degli sportelli ha raggiunto il 40 per cento.

La forte espansione degli ultimi anni è un tratto comune alle due

categorie di banche a forma cooperativa: a partire dal 2000, il tasso medio annuo

di crescita degli impieghi verso controparti non bancarie è stato del 10,2 per

cento per le popolari e dell’11,9 per cento per le Banche di Credito Cooperativo

(BCC), contro una media del 6,6 per cento a livello di sistema.

Le banche popolari, soprattutto negli ultimi anni, sono cresciute in buona

parte per linee esterne. Sono state tra le protagoniste più attive del

10

consolidamento del sistema bancario nazionale; fusioni e acquisizioni hanno

coinvolto anche istituti che erano precedentemente al di fuori del mondo

cooperativo. Ne è risultata una significativa concentrazione dimensionale: i primi

cinque gruppi rappresentano oggi il 75 per cento degli attivi degli intermediari

con a capo una banca popolare, contro il 56 di dieci anni fa.

In questo percorso di crescita, la struttura dei portafogli creditizi si è

avvicinata a quella delle banche tradizionali, in particolare per gli intermediari

più grandi. Nel processo di convergenza non sono comunque venute meno alcune

caratteristiche proprie delle banche popolari, in particolare il peso del credito

erogato alle imprese. La prevalenza tra i prenditori di società di piccole e medie

dimensioni si riflette in livelli di concentrazione nei portafogli creditizi inferiori

alla media del sistema bancario italiano.

La crescita delle quote di mercato è divenuta più rapida nell’ultimo

periodo. Nel 2009, mentre i tassi di crescita dei prestiti erogati dai principali

gruppi bancari divenivano negativi, le popolari hanno accresciuto la propria

penetrazione in tutti i segmenti, così come del resto le banche di credito

cooperativo. Negli ultimi 24 mesi il tasso di crescita degli impieghi delle banche

popolari è stato del 6,5 per cento, a fronte di un aumento dell’1 per cento per gli

altri intermediari bancari. Il fenomeno è particolarmente evidente per il credito

erogato alle società non finanziarie e soprattutto alle famiglie.

L’attività di prestito delle banche popolari ha fortemente sostenuto la

clientela di riferimento durante la crisi, anche grazie a un modello di

 

business

tale da attenuare o ritardare l’impatto delle turbolenze finanziarie. La

concentrazione sul

 

core business dell’attività bancaria al dettaglio, tratto

distintivo del sistema bancario italiano, è particolarmente pronunciata per le

popolari. I prestiti incidono per il 77 per cento sull’attivo, contro il 72 della

media italiana; i debiti verso clientela sono il 54 per cento del

 

funding, contro il

45.

11

Una forte crescita comporta tuttavia anche rischi. L’espansione

dell’attività creditizia impone con urgenza alle banche popolari di rafforzare

l’attenzione ai rischi “tradizionali” dell’intermediazione finanziaria. Se da un lato

la recessione ha avuto un impatto negativo sulla qualità del credito della

generalità delle banche del sistema, dall’altro le banche popolari appaiono

particolarmente esposte. Negli ultimi due anni, il flusso di nuove sofferenze

rettificate in rapporto alla consistenza degli impieghi vivi si è mantenuto

costantemente superiore alla media dell’intero sistema; l’accumulazione di

questo flusso in rapida crescita comincia a farsi sentire sugli

 

stock.

5. La

 

governance delle banche popolari

Il modello giuridico e imprenditoriale delle banche popolari ha

consentito l’affermazione sul mercato di realtà aziendali solide, con positivi

ritorni per gli azionisti e benefici per l’economia del territorio. Il quadro

legislativo, originariamente disegnato per banche di dimensioni ridotte e a

vocazione locale, sembra però non rispondere più del tutto alle esigenze di

banche che si sono aperte ai mercati ufficiali e che, anche per l’effetto di

operazioni di concentrazione, hanno raggiunto dimensioni sistemiche.

L’attuale regolamentazione – caratterizzata da inderogabilità del voto

capitario, limiti al possesso azionario, clausola di gradimento, disapplicazione

dell’istituto della sollecitazione di deleghe di voto previsto per le società quotate

– potrebbe costituire un vincolo, specie in situazioni di crisi, al reperimento di

capitale di rischio. Il frazionamento della proprietà non rende agevole il controllo

sull’operato del

 

management; si possono determinare fenomeni di

cristallizzazione degli assetti di governo e di autoreferenzialità degli organi

sociali che, in passato, sono stati all’origine di crisi aziendali talvolta rilevanti.

12

L’evoluzione della regolamentazione deve salvaguardare i punti di forza

del modello della banca popolare,

 

in primis il voto capitario. Vanno attenuate

alcune rigidità del modello, prendendo spunto anche dalle esperienze estere di

cooperazione bancaria. Va confermato l’orientamento strategico al sostegno delle

economie locali, attraverso il finanziamento di imprese e famiglie dei territori di

riferimento e alla destinazione di parte degli utili ad attività sociali.

È necessario trovare un punto di equilibrio tra mantenimento delle

specificità cooperative ed esigenza di eliminare, soprattutto per le entità di

maggiori dimensioni, gli ostacoli a una

 

governance aperta, dinamica, capace di

cogliere tempestivamente i mutamenti del contesto esterno e di indirizzare e

coordinare efficacemente strutture di gruppo articolate e complesse.

Alcuni vincoli possono essere rimossi, o almeno attenuati, attraverso il

recepimento dei principi contenuti nelle disposizioni sul governo societario della

Banca d’Italia del 2008 e nella successiva nota di chiarimenti del 2009.

Nella fase di valutazione da parte della Banca d’Italia delle modifiche

statutarie si è sviluppata un’intensa interazione con gli intermediari. Nei

confronti delle banche popolari, in relazione alle peculiarità dell’azionariato e

della

 

governance, sono stati promossi adeguamenti statutari volti a garantire

negli organi aziendali una sufficiente rappresentanza a tutte le componenti della

base sociale e ad incentivare una più attiva partecipazione dei soci alle

assemblee.

Il comparto ha fornito prime concrete risposte alle sollecitazioni della

Banca d’Italia. Presso alcune realtà quotate il numero di rappresentanti eleggibile

dalle minoranze è stato ampliato; alcune banche non quotate hanno introdotto

meccanismi di voto, alternativi alla lista, potenzialmente idonei a consentire

rappresentanza alle minoranze; la maggior parte delle popolari ha incrementato,

seppure in misura differenziata, le deleghe di voto.

13

Ulteriori passi possono essere fatti. Le popolari possono, come previsto

dal codice civile, riservare a particolari categorie di soci (ad esempio, gli

organismi di investimento collettivo del risparmio) uno o più amministratori in

consiglio. Per alcune banche che adottano il voto di lista, il numero dei candidati

eleggibile dalle minoranze può essere ulteriormente incrementato e,

auspicabilmente, correlato ai risultati ottenuti in assemblea. I quorum per la

presentazione delle liste e per la validità dei voti possono essere ridotti.

Meccanismi per consentire rappresentanza alle minoranze, alternativi al voto di

lista, sono appropriati per intermediari con operatività circoscritta a ristretti

ambiti locali; alle altre popolari non quotate va progressivamente esteso il voto di

lista. Sussiste un ulteriore significativo spazio, nel rispetto della disciplina

civilistica, per l’ampliamento delle deleghe di voto. Va ulteriormente diffuso

l’utilizzo della video-conferenza nelle assemblee delle popolari il cui corpo

sociale sia particolarmente numeroso e la residenza dei soci si distribuisca tra più

località distanti fra loro.

Resta fermo che in ogni caso la lista con il più ampio consenso deve

poter esprimere una solida maggioranza nell’organo di supervisione strategica, a

garanzia dell’unitarietà della conduzione aziendale.

La revisione degli assetti di

 

governance per via di auto-regolamentazione

ha conseguito – e potrà ancora conseguire – miglioramenti importanti. Rimane

tuttavia la necessità di un più ampio intervento di riforma legislativa, come

testimoniato dalle numerose proposte di legge presentate in Parlamento da più

parti anche nella presente legislatura.

Gli attuali stringenti limiti alla partecipazione nel capitale, anche da parte

di soggetti di natura istituzionale, appaiono non più coerenti con la realtà di fatto

emersa dai processi di aggregazione. L’innalzamento di tali limiti, che dovrebbe

avvenire con la dovuta flessibilità statutaria e tenendo conto delle configurazioni

proprietarie delle singole banche, attenuerebbe i possibili vincoli – cui ho fatto

14

prima riferimento – al reperimento di capitale di rischio, in linea con quanto

auspicato anche dal Fondo Monetario Internazionale. A maggiori investimenti

nel capitale deve poter corrispondere un’adeguata presenza negli organi sociali,

specie per quelle categorie di investitori che sono in grado di sviluppare

un’azione positiva di stimolo e controllo sull’operato del

 

management.

In sede di recepimento della direttiva 2007/36/CE sui diritti degli

azionisti (cd.

 

shareholders’ rights) è stata operata la scelta di escludere le società

cooperative dall’ambito di applicazione di tutte le innovazioni introdotte nel

Testo Unico della finanza in tema non solo di deleghe di voto ma anche di

convocazione, informativa preassembleare, diritti di intervento e voto in

assemblea, informativa pubblica. Si allargherà, anziché ridursi, lo scalino

normativo tra le banche popolari e le altre società quotate. In un mercato dei

capitali aperto e competitivo, valutazioni negative del mercato sulla qualità delle

norme a protezione degli investitori possono tradursi in uno svantaggio

competitivo.

È auspicabile che si faccia uso della prevista delega legislativa per

apportare opportuni correttivi. Occorrerà assicurare agli azionisti delle banche

popolari quotate livelli di tutela non inferiori a quelli introdotti a favore degli

investitori nelle altre società quotate; occorrerà individuare soluzioni che

favoriscano un’effettiva partecipazione dei soci alla vita della società, senza

aprire la strada a una indiscriminata sollecitazione delle deleghe di voto.

6. Le banche popolari nel settore del risparmio gestito

La capacità delle banche popolari di valorizzare il proprio radicamento

sul territorio e offrire un servizio competitivo alla clientela si misurerà anche sul

fronte del risparmio gestito, dove andrà meglio definito il ruolo del sistema “a

rete” tipico del credito cooperativo.

15

Le banche popolari sono attive nel settore delle gestioni collettive del

risparmio sia con proprie società di gestione sia con alcune iniziative consortili;

al dicembre scorso, le masse dei fondi comuni aperti gestiti da società controllate

da tali banche ammontavano a circa 67 miliardi di euro, per una quota di mercato

del 15,7 per cento. Le banche popolari detengono poli di gestione di media

dimensione quanto a strutture e masse gestite, che si collocano in una fascia

intermedia tra quelle dei maggiori gruppi e un insieme numeroso di piccole SGR,

per lo più indipendenti e operative in settori alternativi (fondi chiusi immobiliari

e mobiliari).

Le SGR delle banche popolari risentono delle note criticità dell’industria

italiana del risparmio gestito, rappresentate da una struttura di offerta di tipo

tradizionale poco attraente (prodotti scarsamente innovativi, tendenzialmente

passivi e volti alla replica di

 

benchmark), dal forte legame con le reti distributive

di gruppo e da una scarsa indipendenza economica e strategica rispetto ai gruppi

di appartenenza.

Queste debolezze risultano acuite dalla crisi che, comprimendo le masse,

ha amplificato i problemi di redditività e di efficienza dell’attività di gestione,

con un impatto maggiore proprio sulle strutture di medie dimensioni non aventi

particolari caratteri distintivi in termini di offerta. Si avverte inoltre sempre più

marcata la concorrenza proveniente dalle grandi case di gestione estere; in

prospettiva, il recepimento della direttiva UCITS IV e l’introduzione del

passaporto europeo tenderanno a incrementare la competizione dal canale estero.

Appare necessario che anche le banche popolari imprimano una chiara e

coerente svolta alle strategie nel settore, decidendo se mantenere al proprio

interno le fabbriche di prodotto – effettuando i necessari investimenti per

innalzare la qualità e accrescere la propria competitività – ovvero concentrasi

nella distribuzione, massimizzando i vantaggi derivanti dall’articolata presenza

territoriale. In tale ambito, un aspetto fondamentale è rappresentato dalla scelta

16

sulle modalità più consone per la valorizzazione delle iniziative consortili

presenti nel settore.

7. Conclusioni

Il credito cooperativo rappresenta una ricchezza per il sistema bancario

italiano; si è rivelato sinora una risorsa preziosa per lo sviluppo economico del

Paese. Al suo interno, le banche popolari rappresentano una componente

rilevante quanto a volumi, penetrazione territoriale, sostegno all’economia.

La crisi che ha attraversato i mercati finanziari internazionali negli ultimi

due anni ci ha consegnato un sistema bancario italiano complessivamente stabile,

sia per la presenza di un insieme di regole meno indulgenti e un’azione di

vigilanza più incisiva rispetto ad altri paesi, sia per un’operatività mediamente

lontana dai modelli di

 

business più rischiosi, all’origine della crisi.

Il nuovo scenario regolamentare, che si va definendo alla luce delle

recenti proposte del Comitato di Basilea, chiederà alle banche di innalzare la

qualità del capitale utile a fini di vigilanza, di mantenere il grado di leva

finanziaria su livelli contenuti, di prestare maggiore attenzione alla gestione del

rischio di liquidità. La Banca d’Italia è consapevole che alcuni aspetti della

proposta in materia di capitale e liquidità potrebbero determinare effetti non

trascurabili per le banche italiane, incluse le popolari. Ci adoperiamo per

calibrare gli adempimenti normativi alle specificità del sistema italiano.

L’adeguamento alle nuove regole sarà graduale. È tuttavia prioritario che

le banche rafforzino sin d’ora la base patrimoniale utilizzando tutte le leve

gestionali a disposizione. Occorre migliorare il presidio dei rischi, soprattutto

quelli legati all’attività creditizia. Il basso tasso di crescita con cui l’economia

italiana sta uscendo dalla crisi rende tale esigenza più pressante. Ciò vale in

17

particolar modo per le banche cooperative, che hanno visto crescere negli ultimi

anni il proprio portafoglio prestiti a tassi particolarmente sostenuti. Esse sono

chiamate ora a rafforzare gli assetti per la gestione dei rischi e di

 

governance per

poter continuare a dare il loro contributo al sostegno delle realtà economiche e

sociali di cui sono espressione.

. Persiste nei mercati un sottofondo di incertezza sulla sostenibilità di

scenari di rilancio dell’attività finanziaria in un contesto di perdurante debolezza

dell’economia reale. Sono condizioni che si prestano all’inserimento di

componenti speculative.

Lo straordinario impianto espansivo delle politiche monetarie e fiscali

messo in atto all’indomani della crisi è ancora operante. La rimozione graduale di

alcune delle misure monetarie non convenzionali, adottate all’acme della crisi e

divenute non più necessarie, non attenua l’intensità dello stimolo alle economie.

Ma non vi è dubbio che l’eccezionale sostegno impartito dovrà essere

gradualmente rimosso. Come ha di recente sottolineato il Governatore Draghi,

per la politica monetaria, l’uscita non dovrà essere prematura, per non ostacolare

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